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Musica corale

Il 21 agosto Plácido Domingo Noche Española all’Arena di Verona

gbopera - Mar, 20/08/2024 - 18:15

A 55 anni esatti dal suo debutto italiano, avvenuto proprio all’Arena di Verona, Plácido Domingo guida un grande omaggio all’Anfiteatro e alla musica spagnola con cui è cresciuto e che ha contribuito a far conoscere nel mondo. Con lui, il soprano madrileno Saioa Hernández e il tenore messicano Arturo Chacón Cruz, entrambi già applauditi in Arena, sono le grandi voci protagoniste della festosa Noche Española, in scena mercoledì 21 agosto alle 21, arricchita dalle danze autentiche della Compañia Antonio Gades. Nel golfo mistico, i brani più celebri e importanti della zarzuela, l’opera lirica spagnola, saranno eseguiti dall’Orchestra di Fondazione Arena diretta dal maestro valenciano Jordi Bernàcer.
In programma venti brani, icone di oltre tre secoli di storia della zarzuela, patrimonio anch’esso candidato all’inserimento nella lista Unesco, e di cui Plácido Domingo, è il più celebre e fervente ambasciatore: le musiche e le storie di de Falla, Chapì, Sorozábal, Giménez, Moreno-Torroba, Albéniz, Turina prenderanno vita nel grande gala semi-scenico all’Arena di Verona con coreografie appositamente ideate per i solisti e dal ballo della Compañia Antonio Gades. Storie appassionate, melodie avvincenti, arie memorabili per festeggiare una vera e propria Noche Española, e portare questa ricchezza d’arte e cultura nello stesso anfiteatro che ha celebrato l’inserimento del canto lirico nel patrimonio immateriale dell’umanità.
Domingo, ha da sempre questa musica nel sangue, in quanto figlio d’arte. I suoi genitori furono infatti grandi interpreti della zarzuela, lavorarono a stretto contatto con gli stessi compositori -soprattutto Moreno Torroba- e la portarono dalla Spagna in Messico e America Latina, al punto che la madre Pepita Embil, di cui ricorre tra una settimana il trentennale della scomparsa, è conosciuta come “La Reina de la Zarzuela”. E Domingo torna a Verona a confermare il legame con l’anfiteatro dove ha debuttato nel 1969 (cantando come Calaf in Turandot e da protagonista Don Carlo) e dove si è esibito per oltre mezzo secolo, come solista e direttore d’orchestra.
La durata dello spettacolo è di due ore circa, comprensive di intervallo. Biglietti ancora disponibili su arena.it, in Biglietteria e nel circuito ticketone. Il maestro Domingo apre una settimana di opera all’Arena di Verona, che prosegue giovedì 22 con Aida nell’allestimento 1913, venerdì 23 con Carmen di Bizet e, sabato 24, col ritorno in Arena del divertente Barbiere di Siviglia.
Info: www.arena.it

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Le 40 cose a caso di… Anastasia Bartoli

gbopera - Lun, 19/08/2024 - 20:03

Tra una recita e l’altra dell’Ermione rossiniana, all’edizione 2024 del ROF, reduce da un successo personale la protagonista, il soprano Anastasia Bartoli
si è prestata al gioco delle nostre 40 domande…”a caso”. Aldilà di come lei stessa si definisce come una “Metallara prestata alla lirica, da questo gioco di domande-risposta esce sicuramente il ritratto di una  ragazza “determinata”, dai gusti chiari e definiti ma possiamo anche dire, parafrasando un vecchio  spot pubblicitario di un celebre cono gelato…”Sotto, sotto batte un cuore di panna”!
1) Social Media
Ho un rapporto difficile con i Social Media. Ne riconosco però l’importanza. Uso Instagram e Facebook ma solo per la mia professione.
2) Piatto
Sono una carnivora e quindi, da buona toscana apprezzo la “Fiorentina”.
3) Compositore
Fin da piccola ho amato Sergej Rachmaninov. Passavo ore ad ascoltare i suoi concerti per pianoforte che ancora oggi trovo carichi di potenza e bellezza travolgente.
4) Vacanza
La mia vacanza ideale è avere la soddisfazione di raggiungere una malga dispersa tra i monti, dopo ore e ore di cammino.
5) Pizza
Una classica “Bufalina”: pomodoro, mozzarella di Bufala e basilico.
6) Gelato
Amo di più il “salato” del “dolce”, ma se mi capita …direi “Stracciatella”.
7) Personaggio operistico
Lady Macbeth.
8) Colazione
All’americana: uova, crumble, bacon e un litro di caffè.
9) Stilista
Non sono una modaiola, o fashion victim. Non vesto cose “griffate”, non per scelta, ma perché in genere quello che mi piace o  che è nel mio stile lo trovo altrove. Se  dovessi, però, sceglierei Armani perché ha un tocco magico. I suoi coi suoi abiti fa sembrare tutti meravigliosi. Io vesto molto “casual”, prediligo il  total black, con  qualche borchietta o pailettes qua e là, scarpe con zeppe, o meglio  Platform, l’importante è che siano alte! Nella  mia parte “elegante” prediligo l’accoppiata  giacca/ pantalone ampio.  Questo per me è il must di   Armani! Pochi accessori: orecchini grandi e vistosi e le immancabili unghie lunghissime.
10) Teatro
La Fenice di Venezia, dove ho recentemente cantato “i Due Foscari”
11) Mezzo di trasporto
Quando mi è possibile, uso la bicicletta.
12) Spettacolo televisivo
Non guardo la televisione.
13) Passione
Stare in cucina mi piace da morire. Soprattutto creare piatti nuovi, che mixano i nostri sapori con quelli orientali. Di certo amo un tipo di cucina molto saporita e anche speziata! Il paracadutismo, una delle passioni più forti e travolgenti che abbia mai avuto in vita mia. l’ho praticato per 5 anni è stata una vera scuola di vita, mi ha insegnato pazienza, perseveranza, costanza, forza, nervi saldi e velocità decisionale. Tutte caratteristiche che servono anche nel canto! È chiaro che aver dovuto scegliere fra questi due mondi è stato difficile e doloroso, ma assolutamente necessario per potermi dedicare pienamente al canto.
14) Animale.
Il gatto. È un animale da conquistare. Non è come il cane che ti da un amore incondizionato, sempre e comunque, trovo che che il gatto sia più “umano” è indipendente ma c’è, con la sua presenza silenziosa. Se mi capita di non stare bene lui si mette  vicino a me, sul letto e sta lì quasi a supervisionare  che tutto vada bene cioè è una compagnia silenziosa ma profonda i colori nero nero Non avevo dubbi
15) Colore
Nero…forever!
16) Supereroe
Wonder woman.
17) Favola
I tre porcellini
18) Attrazione al Luna Park
Le montagne russe.
19) Attrici e attori
Adoro Judy Dench, e tra gli attori Ian McKellen.
20) Ruoli maggiormente cantati
Ho avuto molti debutti di ruoli, attualmente, anche per i prossimi impegni che mi aspettano è sicuramente Lady Macbeth.
21) Letto
Quello di casa mia, anche se, purtroppo, ci dormo pochissimo, forse per quello è il mio preferito. Letto “gigante” e strapieno di cuscini! Deve poter accogliere comodamente me e il mio gattone Remý Martin!
22) Film
Tutto il ciclo di films dedicati a  “Alien”, dal primo all’ultimo…A giorni esce  “Alien Romulus”
23) Automobile
La macchina, come il letto, deve essere grande, alta e prestante. Il top per me è guidare un fuoristrada su per le montagne, assolutamente su sterrato.
24) Città europea
Parigi…purtroppo non ci sono ancora andata…Però mi è piaciuta molto Marsiglia.
25) Giocattolo di quando eri bambina
Devo ammettere di essere stata anche io una “vittima” della Barbie.
26) Materia scolastica
Letteratura greca. Anche io, come tutta la mia famiglia veniamo dal “Classico”
27) Accessorio
Scarpe…purtroppo per lo spazio in caso
28) Ristorante
La cucina cinese è indubbiamente una delle mie preferite e uno dei must da ordinare è l’”uovo dei cent’anni” una prelibatezza che spaventa un po’ perché di fatto è un uovo lasciato marcire in una marinatura speciale per lungo tempo. Ma assicuro che è incredibilmente buono!
29) Indumento
I pantaloni
30) Cantante/ti
In primisi i miei gruppi metal del cuore:o Nightwish, Him, Sonata Arctica, Stratovarious, Rhapsody, Metallica, Helloween, Scorpions, Rage, Rammstein….sono troppi da elencare, diciamo che c’è una vasta scelta di artisti metal che adoro.. Poi non posso nascondere la mia  passione per la musica la musica di Lucio Battisti, Michele Zarrillo Marco Masini…abbastanza strana,…vabbè! Nella lirica vado indietro. Al mio top ci sono Renata Tebaldi e Ghena Dimitrova.
31) Marmellata
Agrumi e Zenzero.
32) Personaggio dei fumetti o dei cartoni animati?
Paperino.
33) Motto?
“Luctor et emergo ex flammis orior”… Lotto ed emergo dalle fiamme!
34) Snack
Le olive.
35) Romanzo?
“La signora delle Camelie” di Dumas
36) CD
È vero che amo follemente il Metal, ma la verità è che amo tutta la bella musica, di qualsiasi genere sia. Non ho un album favorito, ma ho una particolare predilezione per la musica barocca, che è forse quella che ascolto di più, tra l’altro in molti gruppi metal ci sono palesi richiami e citazioni proprio barocche. In particolar modo ascolto Handel, Vivaldi e Rameau e mi beo della bellezza che hanno creato.
37) Pittore?
Botero..
38) Canzone o aria?
Tra le arie che amo metto al primo posto “D’Oreste e D’Ajace” dall’Idomeneo di Mozart.
39) Profumo
“Acqua di Parma” e comunque molto speziati, essenze che hanno un carattere deciso.
40) Gadget
Le cuffiette bluetooth e lo smartwatch

 

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Le Cantate di Johann Sebastian Bach: dodicesima Domenica dopo la Trinità

gbopera - Dom, 18/08/2024 - 00:54

Seconda Cantata per la Dodicesima Domenica dopo la Trinità è   ‘Lobe den Herren, den mächtigen König der Ehren’ BWV 137 , seconda versione di quella  eseguita  il 19 agosto 1725. L’ipotesi che sia stata utilizzata anche come cantata nella funzione per il cambio del consiglio comunale è stata spesso avanzata e probabilmente è vera, ma non ci sono prove concrete. Bach prese come testo le parole del Lied scritto nel 1680 da Joachim Neander; non apportò alcuna modifica, quindi senza la normale procedura che prevedeva la riorganizzazione o parafrasi  dei versi centrali elaborati nelle arie. Assai marcato in questa partitura il legame con la melodia del Corale. In questo caso quella di Hast du denn, Jesu, dein Angesicht gänzlich verborgen . La sua melodia appare  sente in ogni movimento, in quello iniziale e in quello finale nella linea del soprano del coro, nel nr.2,  nella linea del contralto solista. Nel nr.3 compare nelle battute iniziali delle 2 voci,  nel nr.4 il tema  è suonata per intero dalla tromba che si affianca alla voce del tenore. Bach dà ai cinque movimenti (non ci sono recitativi) una forma complessivamente simmetrica, nella seconda metà della quale il tema del Corale  assume un carattere sempre più individuale. Nel primo e nell’ultimo movimento è cantato a pieno coro, mentre nei movimenti interni ha un carattere più concertante, Il coro introduttivo ha  uno splendido sviluppo con lo scambio concertante tra voci e la parte strumentale, arricchita da trombe, oboi,  archi e timpani. Il corale emerge nella parte superiore di questo movimento corale polifonicamente libero che poi si fa più compatto alle parole “Kommet zu Hauf, Psalter und Harfen, wacht auf”. La seconda strofa del Corale è cantata dal contralto (Nr.2), accompagnato da una deliziosa figura del violino concertante (Bach adattò questo brillante movimento per l’organo quando pubblicò i Sei Corali con Schübler). La terza strofa ha la forma di un duetto con due oboi obbligati (Nr.3); con l’introduzione delle voci, si nota subito che la linea dell’oboe del ritornello introduttivo è basata sul corale, anche se qui trasposto in minore. Il movimento successivo, un’aria del tenore (nr.4) con il testo della quarta strofa, è anch’esso in minore, ma è armonicamente di particolare interesse in quanto accompagnato dalla melodia corale della tromba in maggiore. La linea indipendente della tromba nel movimento corale finale (Nr.5) chiude la cantata in un clima solenne.
Nr.1 – Coro
Loda il Signore, potente re di gloria,
anima mia adorata, questo è il mio desiderio.
Unisciti alla folla,
arpa e cetra, svegliatevi!
La musica risuoni.
Nr.2 – Aria (Contralto)
Loda il Signore che tutto governa splendidamente,
che su ali d’aquila sicuro ti conduce,
che ti dà sostegno
secondo quanto desideri;
non te ne sei accorto?
Nr3 – Aria/Duetto (Soprano e Basso)
Loda il Signore che ti riveste di splendore,
che ti dona la salute e ti è vicino come un amico;
in tanta sofferenza
il Dio della grazia non ha forse
steso le sue ali sopra di te?
Nr.4 – Aria-Corale (Tenore)
Loda il Signore che con chiarezza ti ha benedetto,
che fa piovere dal cielo fiumi d’amore;
pensa a tutto ciò
che l’Altissimo può fare,
lui che ti viene incontro con amore.
Nr.5 – Corale
Loda il Signore, ciò che è in me lodi il suo nome!
Tutto ciò che respira lo lodi con i figli di Abramo!
Egli è la tua luce,
anima, non lo dimenticare;
nel lodarlo, concludi con Amen!
Traduzione Emanuele Antonacci

www.gbopera.it · J.S.Bach: Cantata “Lobe den Herren, den mächtigen König der Ehren” BWV 137

 

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Artitude 2024

gbopera - Ven, 16/08/2024 - 08:38

Artitude 2024: La quarta edizione del festival itinerante esplora Silenzio, Vuoto e Solitudine come spazi di creatività e ricerca interiore.
Torna Artitude, il festival d’arte contemporanea organizzato da ThroughArt, che quest’anno celebra la sua quarta edizione. Con un tema evocativo e profondo, “Silenzio, Vuoto e Solitudine”, il festival offre un viaggio artistico interiore attraverso tre tappe in località incantevoli della Valle d’Aosta: Saint-Nicolas, Aosta e Saint-Pierre. Artitude non è solo un festival, ma una celebrazione della creatività e dell’arte in tutte le sue forme”, afferma Giorgia Madonno, fondatrice di ThroughArt. “Quest’anno, esploreremo come il silenzio, il vuoto e la solitudine possano essere potenti strumenti di crescita personale e artistica”. Sebbene spesso percepite negativamente, “Silenzio, Vuoto e Solitudine” possono lasciare il necessario spazio per momenti di intensa creatività e introspezione. Attraverso l’arte, questi temi diventano veicoli per esplorare la complessità del presente e trovare nuove forme di espressione e connessione. Silenzio, Vuoto e Solitudine oscillano tra polarità opposte, tra un negativo e un positivo che si prestano a esplorare modalità di comprensione del mondo e della vita molto diverse tra loro: quella orientale e quella occidentale.
Tutto il  il festival in dettaglio: www.throughart.net

 

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Gaspare Spontini (1774 – 1851): “La vestale” (1806)

gbopera - Gio, 15/08/2024 - 12:26

Tragedia lirica in tre atti su libretto di d’Étienne de Jouy. Marina Rebeka (Julia), Stanislas de Barbeyrac (Licinius), Tassis Christoyannis (Cinna), Aude Extrémo (La Grande Vestale), Nicolas Courjal (Le Souverain Pontife), David Witczak  (Un Consul / Le Chef des Aruspices). Flemish Radio Choir, Thomas Tacquet (maestro del coro), Les Talens Lyriques, Christophe Rousset (direttore). Registrazione: Parigi, Recorded at La Seine Musical,  17-20 giugno 2022. 2 CD Fondazione Palazzetto Bru Zane
La Vestale” rappresenta in musica l’esempio più illustre dello stile impero, di quel neoclassicismo solenne che l’Impero napoleonico aveva eletto a stile di stato e che per le sue capacità rappresentative sarebbe stato adottato da gran parte delle corti d’Europa. Più ancora di Cherubini, Spontini è il compositore che più sa incarnare quell’estetica solo apparentemente tradizionale ma già scossa dai fremiti di quel nuovo mondo che si dischiudeva al passaggio delle armate napoleoniche.
La Vestale” andata in scena all’Opéra il 15 dicembre 1807 con il patrocinio personale dell’imperatrice Giuseppina è al contempo il punto di arrivo del classicismo riformato francese di Gluck e dei suoi continuatori e dall’altro una sorta di prototipo di quella che sarà l’ormai prossima stagione del grand’opéra. Musicalmente sublime l’opera riesce a trovare il delicato punto di equilibrio tra il rigore formale classico e la purezza tutta gluckiana di alcuni passaggi – si pensi soprattutto alle scene corali e di preghiera – e l’emergere di un’urgenza espressiva nuova e quasi beethoveniana degli affetti dei due protagonisti.
Quest’opera – come molte di quella stagione – ha però perso molta attrattiva con l’affermarsi del gusto pienamente romantico e le riprese novecentesche – pur storiche per il prestigio degli interpreti coinvolti – erano quanto di più lontano ci fosse al gusto e allo stile di questi lavori. La Fondazione Palazzetto Bru dopo aver fatto riscoprire “Olympie” propone ora una versione filologica – per la prima volta con strumenti originali – e integrale dell’opera più nota di Spontini con un cast di altissimo livello che rende pienamente giustizia a questa musica.

Conoscitore profondo e sensibile della musica pre-romantica Christophe Rousset guida Les Talens lyriques in una prestazione magistrale. Rousset ha pienamente presente la duplicità della partitura e gioca a esaltarne i contrasti e le contrapposizioni che animano dall’intero anche i singoli brani. Si ascolti con quale efficacia il rigore gluckiano dell’ouverture e sconvolto dell’emergere dai toni beehoveniani dell’Allegro così teso e nervoso. Pulizia e intensità espressiva, cura del dettaglio e visione complessiva sono perfettamente fusi nella visione di Rousset ed eseguiti con assoluta maestria dall’orchestra. Altrettanto sugli scudi il Flemish radio choir – forse la miglior compagine corale al mondo in questo repertorio – che nonostante i numeri ridotti dona tutta la grandiosità alle pagine d’occasione e ha una delicatezza cameristica nei momenti più intimi forse impensabile per compagini con impostazione più tradizionale.
Il cast è quasi quanto di meglio si possa mettere oggi insieme per questo titolo.
Magnifica la Julia di Marina Rebeka. La cantante lettone – pur attiva in un repertorio molto vasto – ha una particolare affinità con questo mondo espressivo. La voce di una luminosità morbida e radiosità, la dolcezza setosa e carezzevole dell’emissione si adattano come un guanto a questa musica mentre la solidità vocale e l’autorevolezza dell’accento le permettono di completare un ritratto ricco e sfaccettato. Interprete sensibile e musicista raffinata la Rebeka trova i giusti accenti in un ruolo in cui se prevale il tono di nobile lirismo non mancano momenti di accensione passione come quell’esplosione su “Impitoyables dieux” in cui la linea è sconvolta da un’energia non lontana da quella che si esprime nei furori dell’Elettra mozartiana.

Stanislas de Barbeyrac è un Licinius di notevole baldanza vocale. Voce solida e molto robusta, timbro giusto per un ruolo sostanzialmente baritenorile, accento aulico e magniloquente. Manca di contro una maggior dolcezza, una capacità di abbandonarsi maggiormente nei passi più lirici, in lui il proconsole prevale sempre sull’amante.
L’amico Cinna – la coppia virile è palesemente modellata su Oreste e Pylade de l’”Iphigenie en Tauride” di Gluck – trova ottimo esecutore in Tassis Christoyannis che schiarisce la voce avvicinandosi anche come timbro – oltre che come espressività – alle caratteristiche di Licinius a ribadire la vicinanza spirituale dei due amici.
Vera rivelazione – almeno per il pubblico italiano – Aude Extrémo affronta la Grande Vestale con una splendida voce di contralto calda e profonda mente sul piano espressivo l’autorità della sacerdotessa si carica di una dolcezza quasi materna nel duetto con Julia. Nicolas Courjal (Souverain Pontifie) ha il suo momento di gloria nei furenti declamati del III atto mentre nel resto dell’opera ci è parso un po’ carente di autorità e non così convincente come in altre occasioni.
Ottime le parti di fianco, pienamente godibile la registrazione e come sempre ricchissimo il libretto di accompagnamento – in francese e inglese – che come sempre rappresenta uno dei punti di forza di queste registrazioni.

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Assumpta es Maria in caelum

gbopera - Gio, 15/08/2024 - 09:32

Canto Gregoriano: Assumpta est Maria in caelum – Beata es Virgo Maria – Bartlomej Pekiel (XVII sec; Jorgen Presten: Assumpta est Maria / Quae est ista; Girolamo Chiti (1715-1759): Assumpta es Maria; Guido Cimoso (1804-1878): Assumpta es Maria

www.gbopera.it · Assumpta es Maria in caelum
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101° Arena di Verona Opera Festival 2024: Andrea Battistoni dirige la Sinfonia nr.9 di Beethoven

gbopera - Mer, 14/08/2024 - 10:42

101° Arena di Verona Opera Festival 2024
Orchestra e Coro dell’Arena di Verona
Direttore Andrea Battistoni
Maestro del coro Roberto Gabbiani
Soprano Erin Morley
Mezzosoprano Anna Maria Chiuri
Tenore Ivan Magrì
Basso Alexander Vinogradov
Ludwig van Beethoven: Sinfonia n. 9 in re minore op.125
Verona, 11 agosto 2024
A tre anni di distanza dall’ultima esecuzione, la monumentale Nona sinfonia di Beethoven è tornata all’Arena di Verona a festeggiare i duecento anni dalla prima esecuzione, avvenuta a Vienna il 7 maggio 1824, e ad assolvere al desiderio del musicista tedesco di riunire l’intera umanità in un abbraccio universale. Una sorta di sigillo testamentario in un genere che già aveva consegnato altri importanti capolavori ma questa volta con la novità di un finale affidato al quartetto vocale e al coro sui versi di An der Freude scritti nel 1785 da Friedrich Schiller. Un’ode a cui Beethoven attribuisce un significato ideologico ed un punto di approdo di un viaggio tormentato: come riportato da Cesare Orselli nelle note di sala “non un’esultanza irrazionale ed istintiva ma una sofferta conquista cui perviene l’eroe morale, presenza costante della poetica beethoveniana”. Questo immenso affresco sinfonico/corale si apre con un ampio movimento in cui i musicologi hanno voluto vedere tutta la creatività tormentata del compositore di Bonn, un turbinìo di stati d’animo che parte dalla cupa e misteriosa introduzione segnata da una certa ambiguità tonale per arrivare al fortissimo, una sorta di grido lancinante. Una pagina grandiosa, contraddistinta da più nuclei in lotta tra di loro, quasi un caos primordiale dove ogni elemento cerca di emergere sugli altri incardinato in una struttura non bene definita e la cui interpretazione è ancora oggi oggetto di ampie discussioni. La lettura di Andrea Battistoni non è sembrata tuttavia protesa alla ricerca di un messaggio di cui farsi vettore quanto a trovare il bandolo della matassa in una partitura complessa ed oggettivamente intricata da gestire nell’assieme. Il direttore veronese possiede un gesto energico e comunicativo, elemento essenziale per condurre a termine l’esecuzione ma con qualche prova in più ci sarebbe stato un maggior guadagno nella tavolozza timbrica, nel fraseggio e nelle sfumature. Molto meglio lo Scherzo seguente dove direttore ed orchestra hanno trovato piena sintonia nelle intenzioni sinfoniche, anche se dalla nostra postazione si udiva un fastidioso ritorno in eco dei corni; non inferiore il terzo movimento, Adagio molto e cantabile, pagina di mirabile ispirazione tesa alla sfera del sublime con la quale il misantropo Beethoven sembra cercare la pacificazione con il genere umano. Qui in modo particolare sono emerse le sezioni degli archi nelle variazioni con momenti di vibrante lirismo, sempre abbozzato ma mai realmente approfondito. Il momento più atteso era ovviamente il finale con la celebre ode di Friedrich Schiller, An die Freude, (inserimento rivoluzionario per l’epoca ma ripreso dai compositori a venire) che vede l’introduzione del quartetto dei solisti e del coro, nello specifico Erin Morley (soprano, al suo debutto all’Arena), Anna Maria Chiuri (mezzosoprano), Ivan Magrì (tenore) e Alexander Vinogradov (basso). In tutta onestà questi solisti non hanno praticamente mai brillato, Morley e Chiuri erano al limite dell’udibilità mentre Magrì non è apparso a proprio agio. Ora sappiamo che la scrittura beethoveniana è assai ingrata nei confronti delle voci e su questo grava anche il perentorio giudizio di Verdi che riteneva superba la sinfonia criticandone però la parte vocale; il risultato non è stato brillante, mancando spesso quella spinta musicale, quell’afflato particolare che i versi di Schiller dovrebbero suggerire e che creano l’interazione interpretativa con il coro. Quest’ultimo, istruito e diretto da Roberto Gabbiani, è apparso vocalmente stanco e provato dalle concomitanti recite di Aida, Tosca e Carmen, con suoni ruvidi e talvolta sguaiati. In sostanza si è trattato di un’esecuzione dignitosa ma priva di chiaroscuri e di contrasti di cui la partitura è ampiamente disseminata. Le alte temperature di questi giorni hanno avuto una parziale incidenza ma la sensazione è quella di un’operazione culturale messa in campo frettolosamente più per dovere di ricorrenza (il bicentenario) che per reale volontà di programmazione. Eppure la IX merita ben altra considerazione, è una creazione immensa ma insidiosa, capace di vendicarsi se trattata con leggerezza; un vero peccato perché le masse artistiche della Fondazione Arena risultano di vera eccellenza se messe nelle condizioni di poter lavorare bene. Pubblico abbastanza numeroso ma lontano dal tutto esaurito, con applausi al termine di ogni movimento: in una afosa serata estiva, il messaggio universale dei versi di Schiller perdona anche questo vezzo in nome della fratellanza e dell’appartenenza al Creato. Foto Ennevi per Fondazione Arena

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Milano, Exhibition Hub Art Center: “Titanic: An Immersive Voyage” dal 07 al 24 Ottobre 2024

gbopera - Lun, 12/08/2024 - 16:16

Milano, Exhibition Hub Art Center
TITANIC: AN IMMERSIVE VOYAGE
Situata presso l’Exhibition Hub Art Center in via Valtellina 5, Scalo Farini, Milano, la mostra Titanic: An Immersive Voyage “ aperta fino al 27 ottobre 2024. Questa esibizione unica combina reperti autentici con la più moderna tecnologia multimediale per ricreare la storia del Titanic. Il 14 aprile 1912, il Titanic, una meraviglia dell’ingegneria del tempo e la nave più grande mai costruita, iniziò il suo viaggio inaugurale da Southampton verso New York. Tuttavia, la collisione con un iceberg nella notte tra il 14 e il 15 aprile segnò una delle tragedie marittime più note, lasciando un’impronta indelebile nella cultura popolare attraverso film, letteratura e teorie alternative. La mostra è progettata per immergere i visitatori nella vita a bordo e nei dettagli del naufragio del Titanic. Espone oltre 300 oggetti storici, tra cui artefatti recuperati dal relitto stesso e dalle sue navi sorelle, l’Olympic e il Britannic. Elementi notevoli includono documenti originali sulla costruzione della nave, biglietti della White Star Line, e persino gli arredi lussuosi del suo famoso scalone, ispirati alla reggia di Versailles. Un altro aspetto toccante dell’esposizione sono le storie personali dei passeggeri, raccontate attraverso lettere e diari, come quelli di Thomas Andrews, il progettista capo del Titanic, che offrono una prospettiva intima sulla tragedia. L’elemento multimediale della mostra utilizza realtà virtuale e proiezioni 3D per permettere ai visitatori di “visitare” il relitto del Titanic sul fondo dell’oceano e rivivere gli eventi della tragica notte. In aggiunta, oggetti di scena dal film “Titanic” del 1997 arricchiscono l’esibizione, collegando la rappresentazione cinematografica alla realtà storica. La durata della visita varia tra 60 e 90 minuti, offrendo un’esperienza educativa e avvincente che avvicina i visitatori non solo alla storia marittima, ma anche alle storie personali legate alla leggendaria nave. Qui per tutte le informazioni.

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Pompei, Parco Archeologico: “Tragedia e Tesori nell’Ultima Scoperta di Pompei: Due Vittime e un Tesoro Ritrovati in Regio IX”

gbopera - Lun, 12/08/2024 - 10:25

Tragedia e Tesori nell’Ultima Scoperta di Pompei: Due Vittime e un Tesoro Ritrovati in Regio IX
Durante gli scavi nell’Insula 10, emerge un cubicolo dove un uomo e una donna si rifugiarono invano dall’eruzione del 79 d.C., trovando la morte insieme a monili preziosi. Il ritrovamento offre nuove preziose informazioni sulla vita quotidiana dei pompeiani.
Continuano i rinvenimenti nell’area di scavo della Regio IX, Insula 10 di Pompei, dove sono in corso indagini archeologiche nell’ambito di un più ampio progetto volto alla messa in sicurezza dei fronti di scavo.  L’ultimo ritrovamento, di cui è stato appena pubblicato sull’E-Journal degli Scavi di Pompei un primo inquadramento scientifico, è un ambiente all’interno del quale sono state trovate due vittime dell’eruzione, un uomo e una donna. Quest’ultima trovata sul letto portava con sé un piccolo tesoro con monete d’oro, d’argento e bronzo, e alcuni monili tra cui orecchini in oro e perle. Il piccolo vano, un luogo di servizio usato come cubicolo (stanza da letto) provvisorio durante i lavori di ristrutturazione della casa, posto alle spalle del già documentato Sacrario blu e con accesso dal grande salone decorato in II stile , fu scelto come rifugio dalle due persone, in attesa della fine della pioggia di lapilli che, da ore, stava invadendo gli spazi aperti, nel resto della casa. Lo spazio, grazie all’infisso chiuso, rimase sgombro dalle pomici che riempirono, invece, il salone adiacente, bloccando di fatto la possibilità alle due vittime di riaprire la porta e scappare. Intrappolate nell’angusta stanzetta trovarono la morte col sopraggiungere dei flussi piroclastici. Le impronte nella cenere hanno permesso di ricostruire gli arredi e individuarne l’esatta posizione al momento dell’eruzione: un letto, una cassa, un candelabro in bronzo ed un tavolo con piano in marmo, con la suppellettile in bronzo, vetro e ceramica ancora al suo posto. Il progetto di scavo si inserisce in un approccio più ampio, sviluppato negli ultimi anni con l’obiettivo di migliorare la tutela e l’assetto idrogeologico dei fronti di scavo. In base ai dati raccolti in questo periodo, il Parco Archeologico è impegnato a calibrare il proprio approccio, mettendo al centro gli aspetti del restauro, della salvaguardia e dell’accessibilità del patrimonio e circoscrivendo accuratamente le aree di scavo all’interno della città sepolta nel 79 d.C. Al tempo stesso, importanti investimenti ministeriali e governativi sono destinati a nuovi scavi nel territorio circostante, da Civita Giuliana a Villa dei Misteri e all’antica Oplonti nel Comune di Torre Annunziata. “L’opportunità di analizzare i preziosissimi dati antropologici relativi alle due vittime rinvenute all’interno del contesto archeologico che ne ha segnato la tragica fine, permette di recuperare una quantità notevole di dati sulla vita quotidiana degli antichi pompeiani e sulle micro storie di alcuni di essi, con una documentazione precisa e puntuale, confermando l’unicità del territorio vesuviano. – dichiara il Direttore del Parco, Gabriel Zuchtriegel – Un lavoro che vede la collaborazione tra archeologi, antropologi e vulcanologi impegnati nella ricostruzione degli ultimi istanti di vita di uomini, donne e bambini periti durante una delle più grandi catastrofi naturali dell’antichità. Pompei rimane un grande cantiere di ricerca e restauro, ma nei prossimi anni ci aspettiamo importanti sviluppi negli scavi archeologici e nella valorizzazione anche dal territorio, anche grazie agli investimenti Cipess annunciati in questi giorni dal Ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano.“ Photocredit@ParcoArcheologicodiPompei

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Bayreuther Festspiele 2024: “Tannhäuser”

gbopera - Dom, 11/08/2024 - 15:27
Bayreuther Festspiele 2024, Festspielhaus
“TANNHÄUSER”
Opera romantica in tre atti, musica e libretto di Richard Wagner  Landgraf Hermann GÜNTHER GROISSBÖCK Tannhäuser KLAUS FLORIAN VOGT Wolfram von Eschennach MARKUS EICHE Walther der Vogelweide SIYABONGA MAQUNGO Biterolf  OLAFUR SIGURDARSON Heinrich der Schreiber MARTIN KOCH Reimar von Zweiter  JENS-ERIK AASBØ Elisabeth ELISABETH TEIGE Venus IRENE ROBERTS Ein jungerHirt FLURINA STUCKI
Le Gateau Chocolat LE GATEAU CHOCOLAT
Oskar MANNI LAUDENBACH
Orchestra e Coro dei Bayreuther Festspiele Direttore Nathalie Stutzmann Maestro del Coro Eberhard Friedrich
Regia Tobias Kratzer
Scene e Costumi Rainer Sellmeier
Luci Reinhard Traub
Video Manuel Braun Drammaturgia Konrad Kuhn Ripresa dell’ allestimento del 2019 Bayreuth Festspielhaus, 4 agosto 2024
La splendida messinscena del Tannhäuser ideata per i Bayreuther Festspiele del 2019 da Tobias Kratzer appartiene sicuramente ai massimi esiti artistici del teatro wagneriano negli ultimi decenni e io quest’ anno sono tornato a vederla per la terza volta. Tobias Kratzer, trentanovenne regista nato a Landshut nel Niederbayern e formatosi alla Bayerische Theaterakademie August Everding, che in Germania si è fatto un nome soprattutto con la Götterdämmerung messa in scena nel 2017 al Badische Staatstheater di Karlsruhe, insignita del prestigioso Deutscher Theaterpreis Der Faust e che dopo l’ enorme successo di questa produzione ha lavorato con tutti i maggiori teatri tedeschiha realizzato una messinscena che per forza espressiva del racconto scenico, audacia innovativa e coerenza ferrea di narrazione deve essere senza dubbio annoverata fra i migliori spettacoli wagneriani visti negli ultimi anni. Nella partitura wagneriana, eseguita nella versione di Dresden, il regista bavarese vede e sente nella sua concezione scenica tutta la forza trasgressiva del Wagner più acerbo, giovane e rivoluzionario, sia dal punto di vista musicale che da quello sociale e politico, ed è questa la chiave con la quale va letto il suo allestimento, basato su immagini forti e provocatorie ma perfettamente coerenti con la narrazione e pienamente in sintonia con le caratteristiche del testo. Kratzer racconta la storia di Tannhäuser come quella di un artista stanco della cultura ufficiale e in cerca della libertà di espressione, che a un certo punto decide di rientrare nel suo mondo di origine dove però la sua audace creatività  provoca uno scandalo che lo costringe ad allontanarsi, in cerca di una redenzione che non arriverà mai. Il clown, la drag queen e il ragazzo deforme che é vestito esattamente come il personaggio di Oskar Matzerath nel celebre romanzo Die Blechtrommel di Gunter Grass che hanno scandalizzato una parte del pubblico conservatore, in questo allestimento sono semplicemente l’ immagine di un mondo degenerato da cui Tannhäuser vuole riscattarsi. È un’ idea logica, che funziona benissimo e non ha proprio nulla di dissacrante. La straziante immagine finale, con Wolfram che ricopre il corpo di Elisabeth morta dissanguata, sorretto da Tannhäuser in una posa che richiama quella della Pietà di Michelangelo, conclude in maniera commovente uno spettacolo che suscita emozioni di alta intensità e colpisce anche ancora oggi per la carica emotiva, il perfetto coordinamento fra video, recitazione e musica, la raffinatezza delle citazioni e del racconto scenico.  Rispetto alle recite del 2019, il cast della parte musicale era quasi completamente cambiato.Nathalie Stutzmann, che nelle recite dell’ anno scorso era stata la seconda donna a salire sul podio del Festspielhaus, ha realizzato una direzione tutto sommato soddisfacente anche se non molto originale. La direttrice e contralto francese è stata coadiuvata in maniera ideale dalla stupenda orchestra e dal coro, che sotto la direzione di Eberhard Friedrich si è imposto come autentico coprotagonista della serata. Per quanto riguarda la compagnia di canto, Klaus Florian Vogt come protagonista ha preso il posto dello scomparsoo Stephen Gould, che è stato ricordato con un’ immagine inserita nel video proiettato durante l’ Ouverture, salutata da un lungo applauso. Vogt ha cantato piuttosto bene anche se con una certa freddezza espressiva, che si notava soprattutto nel grande monologo del terzo atto. Il soprano nonrvegese Elisabeth Teige, che come lo scorso anno impersonava con grande successo il ruolo di Elisabeth oltre a quello di Senta nel Fliegende Holländer, ha messo in mostra tutte le qualità della sua voce ampia e squillante da vero Hochdramatischer Sopran wagneriano, che si imponeva per la sicurezza delle note acute e il tono fervido del fraseggio grazie al quale è stata in grado di realizzare al meglio il tono di accesa passione in Dich, teure Halle e l’ angoscia disperata  della preghiera Allmächt’ge Jungfrau, hör mein Flehen! oltre che di svettare con grande sicurezza sulle altre voci nel concertato finale del secondo atto. Buona anche la Venus del quarantunenne mezzosoprano californiano Irene Roberts, anche lei in possesso di una voce robusta e omogenea. Nella parte del Landgraf, Günther Groissböck ha cantato con sufficiente autorevolezza di fraseggio. Unico elemento rimasto del cast originale era il Wolfram di Markus Eiche, cantante dalla classe davvero di livello superiore, come sempre nobile nel fraseggio e magnifico nell’ esecuzione della celebre aria O du, mein holder Abendstern, cantata con un tono di amara e cruda disillusione perfettamente in linea con la raffigurazione scenica. Alla fine il pubblico del Festspielhaus ha applaudito a lungo tutti i componenti di una messincena che continua ad essere molto apprezzata anche dopo cinque anni dalle sue prime apparizioni. Per quanto mi riguarda, posso dire che il mio soggiorno a Bayreuth è stato anche quest’ anno ampiamente soddisfacente. Foto ©Enrico Nawrath
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Le Cantate di Johann Sebastian Bach: Undicesima Domenica dopo la Trinità

gbopera - Dom, 11/08/2024 - 02:22

Siehe zu, dass deine Gottesfurcht nicht Heuchelei sei BWV 179, eseguita la prima volta a Lipsia l’8 agosto 1723 è la seconda delle tre Cantate per l’undicesima domenica dopo la Trinità. Il coro iniziale poggia su un versetto tratto dal cap.34 del Siracide: “Vedi che il tuo timor di Dio non sia ipocrita e non servire Dio con cuore falso!” un brano in stile di Mottetto risolto in una imponente “fuga” nella quale i soli archi hanno un semplice ruolo di raddoppio della parte vocale con l’apporto del Basso Continuo. Le due arie in partitura  sono pagine di grande bellezza e di profonda intensità melodica. quasi due movimenti centrali di un concerto. La prima (nr.3 cantata dal tenore) che procede sorretta  da 2 oboi e da un violino che conducono un discorso concertante all’unisono, abbandonandosi ad ampi melismi. L’altra aria (nr.5 cantata dal soprano) con 2 oboi da caccia e il Continuo è tutta dolcezza e pietà come si conviene a una partitura che ha in primis il valore di “predica” concertante. Il testo con l’invocazione “erbarme dich”, “abbi pietà” anticipa il contenuto del Corale conclusivo. Questa cantata venne eseguita unitamente alla BWV 199 scritta a Weimar, probabilmente in omaggio  al Duca Federico II° di Sassonia-Gotha, presente in quei giorni a Lipsia e il cui genetliaco si celebrava il 9 agosto, vale a dire il giorno dopo l’esecuzione delle 2 Cantate. Il festeggiamento ebbe luogo presso l’Università con un discorso in latino e l’esecuzione di un’ode, pure su testo latino, composta da Bach, ma della quale non conosciamo null’altro.
Nr1 Coro
Vedi che il tuo timor di Dio non sia ipocrita
e non servire Dio con cuore falso!
Nr.2 – Recitativo (Tenore)
La cristianità attuale
è in pessime condizioni:
molti cristiani nel mondo
sono tiepidi come i laodicèi
e superbi come i farisei,
che esteriormente si presentano pii
e piegano a terra la loro testa come una canna,
mentre il loro cuore è pieno di arrogante orgoglio;
certo, entrano nella casa di Dio
e compiono i loro doveri esteriori,
ma ciò li rende veri cristiani?
No, anche gli ipocriti fanno altrettanto.
Nr.3 – Aria (Tenore)
Un’immagine dei falsi ipocriti
è data dalle mele di Sodoma,
che sono putride all’interno
e luccicanti all’esterno.
Gli ipocriti, belli in superficie,
non sono ammessi al cospetto di Dio.
Nr.4 – Recitativo (Basso)
Chi è all’interno come all’esterno
può chiamarsi un vero cristiano.
Così il pubblicano nel tempio,
che umilmente si batte il petto,
non si considera un santo;
costui ti serva,
o uomo, come lodevole esempio
per la tua penitenza;
anche se non sei un brigante, un adultero,
né un ingiusto diffamatore,
non credere per questo
di essere puro come un angelo!
Confessa umilmente a Dio i tuoi peccati,
così troverai grazia e soccorso!
Nr.5 – Aria (Soprano)
O mio Dio, abbi pietà,
confortami e mostrami la tua grazia!
I miei peccati mi affliggono
come una carie nelle ossa,
Aiutami Gesù, Agnello di Dio,
affondo nel fango profondo!
Nr.6 – Corale
Io, povero uomo, povero peccatore
di fronte al cospetto di Dio.
Ah Dio, ah Dio, sii indulgente
e non portarmi in giudizio!
Pietà di me, pietà di me,
Dio di misericordia!
Traduzione Emanuele Antonaci

www.gbopera.it · J.S.Bach: Cantata “Siehe zu, dass deine Gottesfurcht nicht Heuchelei sei” BWV 179

 

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Trento, Castello del Buonconsiglio: “Dürer e gli altri. Rinascimenti in riva all’Adige”

gbopera - Gio, 08/08/2024 - 22:38

Trento, Castello del Buonconsiglio
DÜRER E GLI ALTRI. RINASCIMENTI IN RIVA ALL’ADIGE
a cura di Bernard Aikema, Laura Dal Prà, Giovanni Maria Fara, Claudio Salsi
A Trento, il castello del Buonconsiglio ospita una mostra di grande richiamo per celebrare il centenario del museo. Incentrato sul nome di uno dei massimi protagonisti della storia dell’arte europea, Albrecht Dürer, il progetto della mostra ambisce a rappresentare la creazione di quel fenomeno unico che è il Rinascimento trentino. Nei magici anni tra il 1470 e il 1530, il Rinascimento italiano veniva infatti qui vissuto in modo del tutto originale. grazie all’incontro di artisti prestigiosi e la commistione di linguaggi, il Trentino diviene laboratorio alchemico di un’arte nuova che fonde la visione italiana con la tradizione tedesca e fiamminga. Il Trentino e il Tirolo costituivano una piccole enclave autonoma tra le grandi potenze dell’epoca, le sedi vescovili di Bressanone e Trento risultavano poli attrattivi per gli artisti per la possibilità di ricche committenze, in un momento storico di magmatica trasformazione culturale in tutta Europa. Il proposito della mostra è di render conto di come tale trasformazione dia origine a diversi “Rinascimenti in riva all’Adige” in un percorso che conta con quasi cento opere su carta, dipinti e arti applicate in varie tecniche. Oltre ad opere di Dürer, sono esposti lavori di Alvise Vivarini, Bartolomeo Dill Riemenschneider, Jorg Artzt, Max Richlich e del Romanino, unitamente ad altri maestri vissuti in Trentino o che là hanno lasciato la loro impronta artistica, provenienti da prestigiosi musei quali la Galleria degli Uffizi di Firenze, il Kunsthistorisches Museum di Vienna,, il Museum Ferdinandeum di Innsbruck ed altri. La centralità di Dürer nel concept dell’evento espositivo non è dovuta solo alla sua enorme fama, ma al fatto che in un momento di forti divisioni culturali, Dürer unisce la tradizione fiamminga con quella tedesca e con l’innovaziaone italiana, realizzando un’opera rivoluzionaria che farà scuola in Europa. Fu lui a coniare la traduzione Rinascimento in Wiedererwachung, e fu grazie a lui che artisti come Cranach, pur legatissimo alla Controriforma, si aprono alla visione italiana. Nel primo viaggio in Italia, nel 1494-95, Dürer sosta davanti al Castello del Buonconsiglio, dimora del principe vescovo, che ritrae nel famoso acquerello, immerso in una soffusa atmosfera luminosa. L’aspetto selvaggio dei monti esercita un grande fascino su Dürer e il paesaggio alpino, che ispirerà nuovi scenari per le sue opere, diventa protagonista in composizioni potenti che evidenziano l’incontro con Mantegna e Bellini. Durante il suo viaggio, Dürer manifesta in una lettera il suo disappunto per esser considerato dagli artisti italiani abile nell’arte dell’incisione, appresa fin da ragazzo nella bottega d’orafo dl padre, ma non si sa quanto nel colore. Lui, profondamente tedesco, volle immergersi nel mondo inatteso dell’arte nuova italiana, dove la prospettiva domina, il corpo risplende nella nudità e le citazioni dei greci e dei neoplatonici sono legittime. Nel secondo viaggio del 1505-07 a Venezia il suo linguaggio nordico si fonde con il senso dello spazio rinascimentale e i colori della pittura veneta, realizzando capolavori che ottengono grande riconoscimento. Un punto culminate dell’esposizione è senza dubbio rappresentato dall’Adorazione dei Magi dipinto nel 1504 per il principe di Sassonia. L’armonia di proporzioni coinvolge i protagonisti e il paesaggio arricchito di rovine classiche, sullo sfondo l’artista introduce un modulo paesaggistico ispirato all’ambiente alpino. Il confronto con la pittura veneta emerge potente nella smagliante cromia, nei volti traspare la ritrattistica italiana mentre è tutta fiamminga la resa dei dettagli delle vesti dei Magi e dei loro doni completa la fusione tra arte italiana e tedesca. La mostra si conferma nel percorso inappuntabile sotto il profilo divulgativo e coerente nei propositi. Gli apparati esplicativi sono essenziali e aiutano il pubblico a contestualizzare con sintesi ben centrate le opere e il complesso processo che vede incrociarsi contaminazioni e influenze che danno vita al nuovo linguaggio del Rinascimento alpino. L’allestimento conta con la splendida cornice delle sale del palazzo e si avvale di sobri e eleganti pannelli, ed anche se l’illuminazione a tratti dà luogo a riflessi, non disturba la gradevolezza e la fruibilità dell’insieme espositivo. Una grande figura cui viene riservata una parte dell’esposizione è quella del principe vescovo Bernardo Cles, vero signore del Rinascimento, promotore della costruzione del Magno Palazzo decorato con gli splendidi affreschi di Girolamo Romanino, Dosso e Battista Dossi, Fogolino. Residenza sontuosa e piena espressione del Rinascimento italiano, sorgerà accanto a Castelvecchio, fortezza medioevale, emblema di un’epoca ormai finita. Il principe vescovo cura i rapporti tra Papato e Impero con acume politico e grande capacità diplomatica e con la sua cultura in perfetto equilibrio tra il mondo italiano e quello tedesco, Bernardo Cles diviene figura paradigmatica e motore di un cambiamento epocale per il territorio “tra i monti”. Dato che il punto focale della mostra non è costituita nel suo intento solo da Dürer ma dal rapporto dinamico che si crea in Trentino fra i linguaggi del nord Europa e la nuova arte italiana, la tradizione tedesca, che si annuncia parte viva della fusione, è ben raffigurata da varie opere di rilievo. Fra queste emergono i capolavori di Lucas Cranach come Vir dolorum e Cristo fra i dottori e la splendida Crocefissione di Riemechneider, artista che rappresenta una delle più alte espressioni del linguaggio plastico tardogotico tedesco. L’ultima parte della mostra è dedicata interamente agli artisti presenti sul territorio. A Trento, la comunità di lingua tedesca che ricopre incarichi di prestigio in ambito politico ed ecclesiastico è sensibile al linguaggio tardogotico degli artisti di Oltralpe, ma è aperta al rinnovamento italiano. Le stampe dei maestri germanici come Schongauer, Altdorfer e Dürer divengono modelli e fonte d’ispirazione per molti artisti italiani e così prende sostanza il tessuto di quel Rinascimento alpino, che con la sua originalità costituisce un evento unico nel panorama artistico europeo. Photocredit @presscastellodelbuonconsiglio.

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Paestum, Magazzini del Museo Archeologico Nazionale. “Oltre il museo: storie dai depositi di Paestum”

gbopera - Gio, 08/08/2024 - 18:21

OLTRE IL MUSEO: STORIE DAI DEPOSITI DI PAESTUM
La vita dell’antica città di Poseidonia – Paestum non si esaurisce nei monumenti dell’area archeologica o nei manufatti esposti nel museo. A Paestum, accanto alla storia antica, esistono molte altre storie, più o meno contemporanee, che vanno oltre ogni sala espositiva, ogni percorso di visita o didascalia. Sono le storie di persone, professionalità, attività, scelte ed emozioni che animano i depositi di Paestum, nuovamente visitabili tutti i giorni dal 18 giugno 2022. “Dopo la chiusura forzata a causa delle restrizioni Covid-19, siamo felici e orgogliosi di riprendere stabilmente le visite ai depositi di Paestum.” dichiara il direttore, Tiziana D’Angelo. L’obiettivo è quello di accompagnare i visitatori ‘oltre il museo’, fino al cuore del Parco, dove materialmente avvengono le cose, prima della musealizzazione. Il progetto è stato rivoluzionario fin dal suo primo lancio nel 2018 quando, per la prima volta in un museo archeologico, i depositi sono diventati parte stabile del percorso di visita. I depositi di Paestum, che si estendono per circa 1400 mq e conservano 1 milione di reperti, si presenteranno tutti i giorni così come sono, senza ritocchi e trucchi. Chi entra vedrà il deposito in tutta la sua bellezza, non immacolata, ma verace. Visitare i depositi significa vivere l’esperienza unica di entrare negli ingranaggi di una macchina culturale complessa e affascinante ed esplorare i suoi molti segreti ascoltando la voce di chi lavora in questi ambienti. Sono certa che al termine del percorso nei depositi i visitatori avranno capito, apprezzato e amato ancora di più il nostro Parco”. Gli assistenti alla vigilanza del museo sono il cuore pulsante delle visite ai depositi. Con una passione ineguagliabile, questi professionisti trasmettono ai visitatori l’amore per il loro lavoro e per il territorio. Ogni visita diventa un’esperienza coinvolgente grazie alle loro narrazioni che vanno oltre le semplici descrizioni archeologiche. Raccontano storie ed esperienze legate al territorio, mostrando un amore immenso per la propria terra e il patrimonio che custodiscono. Questo approccio appassionato e umano rende ogni visita un’esperienza unica e vale sicuramente la prenotazione. Dietro a molti reperti nei magazzini ci sono storie di recupero del patrimonio da parte dei Carabinieri e della Guardia di Finanza. Questi racconti includono episodi tristi di distruzione del patrimonio, vendita clandestina, ma anche straordinari recuperi e storie di valorizzazione e restauro. Condividere queste storie aggiunge un ulteriore livello di profondità alla visita, mostrando il costante impegno per la protezione e la valorizzazione del patrimonio culturale. Se le lastre tombali esposte nel museo danno già un’idea della concezione che avevano dell’aldilà i Lucani e delle loro capacità artistiche, le lastre e le tombe custodite nei magazzini del museo di Paestum ne ampliano a dismisura la percezione. Centinaia di lastre stanno qui sotto, al di sotto del pavimento del museo, in attesa di raccontare anche loro la propria storia.  La magia di Paestum non si ferma ai reperti storici: è l’energia e la passione degli assistenti alla vigilanza che trasformano ogni visita in un viaggio emozionante attraverso il tempo, la storia e la cultura di una terra ricca di meraviglie che rende anche il reperto più complesso in un oggetto che ci parla e che ci scuote nel profondo.

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Annunciato il 46° Rossini Opera Festival 2025.

gbopera - Gio, 08/08/2024 - 17:35

Nel corso del secondo dei ROF Talks, tenuto nella Sala della Repubblica del Teatro Rossini, è stato annunciato il programma del Rossini Opera Festival 2025.
La 46a edizione della manifestazione si terrà dal 10 al 22 agosto 2025, e presenterà tre titoli operistici, con due nuove produzioni ed una ripresa. Inaugurerà il Festival il 10 agosto una nuova produzione di Zelmira, diretta da Giacomo Sagripanti, che torna a Pesaro dopo il Moïse et Pharaon del 2021. La messinscena sarà affidata all’estro del regista spagnolo Calixto Bieito, al suo debutto pesarese. La seconda nuova produzione, in scena dal 12 agosto, sarà L’Italiana in Algeri, diretta da Dmitry Korchak, già sul podio al ROF nella Cambiale di matrimonio del 2020, e ideata da Rosetta Cucchi, che a Pesaro ha firmato in passato Adina (2018) e Otello (2022). Sarà invece ripreso, dall’11 agosto, Il Turco in Italia di Davide Livermore, molto apprezzato al ROF del 2016, affidato alla direzione di Diego Ceretta, al debutto operistico a Pesaro. Quanto al programma concertistico, accanto ai Concerti di Belcanto e ai Concerti lirico-sinfonici (uno dei quali proporrà tre Cantate rossiniane in nuova edizione critica), sarà proposta la Messa per Rossini, scritta in occasione del primo anniversario della sua morte.

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The Synthetists Revisited

gbopera - Gio, 08/08/2024 - 00:06

Jules Strens (1893–1971): Gil Blas, Symphonic Variations, Op. 2 (1921). Marcel Poot (1901–1988): Tartarin de Tarascon, Humorous Suite (1924). Francis de Bourguignon (1890–1961): Récitatif et Ronde, Op. 94 (1951). Gaston Brenta (1902–1969): Zo’har, Choreographic Fantasy (1928). Théo Dejoncker (1894–1964): Guitenstreken (Gaminerie) (date unknown). Maurice Schoemaker (1890–1964): Brueghel Suite, Symphonic Variations (1928). Royal Band of the Belgian Air Force. Matty Cilissen (direttore). Registrazione: luglio 2022 presso Perwex, Perwez, Belgium. T. Time: 73′ 55″. 1 CD Naxos 8.579135

Chiamati anche “i sette di Bruxelles”, i Synthétistes furono un gruppo di sette compositori che, nel 1925, in occasione del sessantesimo compleanno del loro docente di composizione, Paul Gilson, compositore belga e docente di armonia e contrappunto presso il Conservatorio della capitale belga, si unirono con lo scopo di diffondere la nuova musica sinfonica che avrebbe dovuto costituire una sintesi tra le acquisizioni delle tendenze musicali contemporanee e la loro applicazione in forme ben definite ed equilibrate. A formare questo gruppo furono  René Bernier, Francis de Bourguignon, Gaston Brenta, Théo Dejoncker, Marcel Poot, Maurice Schoemaker e Jules Strens i quali decisero, anche per ragioni pratiche e allo scopo di avere la possibilità di divulgarle più facilmente, di scrivere o trascrivere le loro composizioni per orchestra a fiati dando vita a una produzione di circa 75 opere che sono rimaste largamente sconosciute a un largo pubblico in quanto, solo in pochi casi, sono state pubblicate. Oggi, grazie al lavoro di ricerca di Luc Vertommen, questo corpus è ritornato alla luce e alcune significative opere sono state registrate in prima mondiale in questa interessante proposta discografica della Naxos. Il programma si apre con Gil Blas, opus 2 (1921) di Jules Strens (1893 – 1971), una serie di 5 variazioni, ispirate all’eponimo personaggio uscito dalla penna di Alain-René Lesage, grazie alle quali il giovane compositore vinse il concorso di composizione Concerts Ysaÿe nel 1922. Seguono: Tartarin de Tarascon, Humorous Suite (1924) di Marcel Poot, che, eseguita per la prima volta il 23 novembre 1924, è ispirata a Les Aventures prodigieuses de Tartarin de Tarascon d’Alphonse Daudet; lo Zo’har (1928) di Gaston Brenta, una fantasia coreografica, eseguita per la prima volta il 27 febbraio 1930 dalla Musique des Guides sotto la direzione di Arthur Prevost e ispirata all’omonimo romanzo di Catulle Mendès; Guitenstreken-Gaminerie(Bambinaia) di Théo Dejoncker, una pagina di musica descrittiva destinata al cinema muto, e, infine, Brueghel Suite, Symphonic Variations (1928) di Maurice Schoemaker (1890–1964), ispirata ai dipinti di Bruegel e soprattutto alle emozioni che essi producevano in lui. Si tratta di lavori di piacevole ascolto per i quale, certo, non si grida ai capolavori dimenticati, ma che rivelano comunque un solido mestiere da parte dei compositori. Ottima  l’esecuzione da parte della Royal Band of the Belgian Air Force diretta da Matty Cilissen il quale non solo trova tempi adeguati, ma riesce ad esaltare i colori di queste partiture comunque interessanti e ben strumentate. 

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Bayreuther Festspiele 2024: “Tristan und Isolde”

gbopera - Mer, 07/08/2024 - 20:37
Bayreuther Festspiele 2024 “TRISTAN UND ISOLDE” Azione in tre atti. Musica e libretto di Richard Wagner Tristan ANDREAS SCHAGER Isolde CAMILLA NYLUND Kurvenal OLAFUR SIGURDALSON König Marke GÜNTHER GROISSBÖCK Brangäne CHRISTA MAYER Melot  BIRGER RADDE Ein Hirt  DANIEL JENZ Ein Steuermann LAWSON ANDERSON Stimme eines junges Seemans MATTHEW NEWLIN
Orchestra e Coro dei Bayreuther Festspiele Direttore Semyon Bychkov Maestro del Coro Eberhard Friedrich Regia Thorleifur Örn Arnarsson Scene Vytautas Narbutan Costumi Sybille Wallum Drammaturgia Andri Hardmeier Luci Sasha Zauner Nuovo allestimento  Bayreuth, 3 agosto 2024
Per uno come me, innamorato della musica di Wagner sin da quando ero un ragazzino, il viaggio a Bayreuth costituisce ogni anno una tappa estiva obbligatoria. Assistere ai drammi musicali wagneriani nel teatro voluto e concepito dal Maestro per adempiere a tutte le esigenze richieste dalla sua musica, dopo aver salito la collina vedendo la sagoma del Festspielhaus che si svela poco a poco e aver sentito le fanfare che dalla terrazza danno il segnale dell’ inizio: tutto questo contribuisce a formare un’ esperienza assolutamente unica e imperdibile per chi ami veramente le opere del compositore di Leipzig. La relativa scomodità della sala è compensata abbondantemente dall’ acustica favolosa, davvero unica nel suo genere, che consente di percepire anche i minimi dettagli della strumentazione e aiuta moltissimo l’ espansione delle voci a motivo della fossa orchestrale profonda e coperta da un tetto a forma di conchiglia. Ne risulta un impasto timbrico assolutamente unico nel suo genere e diverso da quello di qualunque altro teatro al mondo.  Tra gli spettacoli a cui ho assistito durante il mio soggiorno nella cittadina bavarese, più precisamente situata nella Franken, zona settentrionale del Freistaat, il più impostante era sicuramente il nuovo allestimento del Tristan und Isolde che ha sostituito dopo solamente due anni la pregevole produzione ideata da Roland Schwab. La nuova messinscena era affidata al regista islandese Thorleifur Örn Arnarsson, conosciuto in Germania per le sue produzioni di lavori di prosa in teatri importanti come lo Schauspiel Hannover, il Burgtheater Wien, il Thalia Theater Hamburg e la Volksbühne Berlin, dove è stato per due anni Schauspieldirektor. Purtroppo la parta visiva dello spettacolo è risultata una mezza delusione. La regia era a mio avviso piuttosto mediocre e impacciata e nello svolgersi del racconto teatrale sembrava evidente che Arnasson, trovandosi alle prese con una drammaturgia essenziale e scarna come quella del Tristan und Isolde, talmente particolare e ridotta all’ osso che l’ autore stesso la definisce Handlung in drei Aufzügen e non dramma musicale, abbia presentato una realizzazione scenica piuttosto banale di tutti i complessi problemi contenuti della concezione teatrale pensata da Wagner. Le immagini sceniche inoltre apparivano piuttosto brutte e antiestetiche, in particolare quelle del secondo e terzo atto dove la sovrabbondante presenza di oggetti evocava l’ atmosfera di una rigatteria piuttosto che quella di un dramma di amore e morte. Riassumendo, si è trattato decisamente di un passo indietro rispetto alla precedente produzione bayreuthiana dell’ opera, che a me era sembrata molto più funzionale e risolta nella realizzazione.
Anche la parte musicale non  ha pienamente soddisfatto. Semyon Bichkov, che tornava nuovamente a far musica nella buca orchestrale del Festspielhaus dopo il Parsifal di qualche anno fa, ha diretto in maniera abbastanza convincente, con il giusto grado di passionalità e una scrupolosa ricerca di colori orchestrali vari e raffinati. Dopo un primo atto ben eseguito ma piuttosto impersonale, la sua interpretazione prendeva slancio sino ad arrivare a un terzo atto davvero notevole per carica teatrale e senso sublimato della sofferenza. In sintesi, possiamo dire che si trattava di una direzione di notevole qualità, musicalmente matura e molto meditata. Per quanto riguarda la compagnia di canto, ci siamo trovati di fronte a una serie di pregi e difetti. Camilla Nylund, che debuttava la parte di Isolde, ha cantato con sicurezza e disinvoltura, ma anche con una pronuncia assai poco curata, tanto che in molti punti si faceva fatica a percepire le parole del testo. Andreas Schager, il miglior tenore wagneriano dei nostri tempi, ha gestito la voce in maniera abbastanza prudente nei primi due atti. Così facendo ha potuto superare senza problemi le tremende difficoltà vocali del terzo atto, trovando anche belle sfumature di fraseggio nei due monologhi. Poco interessanti sono sembrate la prestazioni di Olafur Sigurdalson (Kurwenal) e Christa Mayer (Brangäne), le cui voci suonavano entrambe abbastanza grige e anonime. Completamente sfalsata era la caratterizzazione di Re Marke presentata dal basso altoatesino Günther Groissböck, che ha cantato con un tono rabbioso quasi da Canio il monologo in cui il vecchio re dovrebbe esprimere la delusione e l’ amarezza provata di fronte al tradimento compiuto dal suo migliore amico. Non so se questa sia stata un’ idea del cantante oppure del direttore o del regista, ma in ogni caso si trattava di un completo travisamento del carattere della parte. Buona la prova delle parti di fianco e alla fine una lode speciale va attribuita alla stupenda orchestra dei Bayreuther Festspiele, la cui bravura è esaltata al massimo dalla sensazionale acustica del teatro che permette di percepire tutte le più piccole sfumature strumentali. Anche per questo motivo, assistere a una recita dei Bayreuther Festspiele costituisce un’ esperienza davvero unica. Foto ©Enrico Nawrath
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“Aida” dal 10 agosto al 5 settembre al 101° Arena di Verona Opera Festival 2024

gbopera - Mer, 07/08/2024 - 17:19

A 111 anni esatti dalla prima Aida in Arena, Il 10 agosto, per la prima di cinque rappresentazioni, rivivrà la magia della prima notte d’opera in Arena: era infatti il 10 agosto 1913 quando le note del capolavoro di Verdi riecheggiarono per la prima volta fra le pietre del millenario anfiteatro. L’allestimento che torna in scena è quello che nel 1982 volle Gianfranco de Bosio, regista, docente e per due volte Sovrintendente dell’allora Ente Lirico. Con un’operazione pioneristica di ricostruzione storica, partendo dai bozzetti dell’architetto Ettore Fagiuoli e dalle poche foto d’epoca, creò una nuova tradizione, non solo un omaggio al 1913 ma un dialogo continuo e costruttivo con gli interpreti di oggi. Questo allestimento, il più fortunato e replicato nella storia dell’Anfiteatro, ad oggi conta 267 rappresentazioni (oltre un terzo delle 759 recite complessive di Aida in Arena) lungo 22 edizioni del Festival dal 1982: nell’ultima ripresa del 2019, curata personalmente da de Bosio, le scenografie furono restaurate e nuovi proiettori permisero disegni luci inediti, in particolare per il notturno sul Nilo dell’atto terzo. Anche il resto della produzione vuole ricostruire la magia del teatro d’opera come fu concepita a fine ‘800: per i costumi ci si è liberamente ispirati agli originari figurini dell’egittologo Auguste Mariette, colui che fornì a Verdi l’intreccio dell’opera, mentre la regia segue le disposizioni sceniche che lo stesso compositore curò per la prima milanese dell’opera nel 1872 nella movimentazione di solisti, ballo, figuranti, con gli ovvi adattamenti che un maestro del teatro quale era de Bosio seppe fare per l’ampiezza e la peculiarità degli spazi areniani.
Sul podio, Daniel Oren dirige l’Orchestra di Fondazione Arena, il Coro preparato da Roberto Gabbiani, e un cast di voci di rilievo internazionale: Aida è il soprano Maria Josè Siri, Radames il tenore Piotr Beczała, Amneris il mezzosoprano Ekaterina Semenchuk, Amonasro il baritono Luca Salsi, Ramfis il basso Alexander Vinogradov. Il cast si completa con il Re di Simon Lim, il Messaggero di Carlo Bosi e la Sacerdotessa di Francesca Maionchi. Dopo il debutto del 10 agosto, altri interpreti di prestigio si alternano, come Elena Stikhina (22/8) e Anna Pirozzi (29/8 e 5/9) nei panni di Aida, Ivan Magrì (18/8) e Gregory Kunde (dal 22/8) come Radames, Ludovic Tézier (29/8) e Youngjun Park (le restanti date) come Amonasro, nonché Riccardo Fassi, Giorgi Manoshvili, Riccardo Rados.
Il Ballo di Fondazione Arena recupera le coreografie originali di Susanna Egri, sotto la diretta supervisione dell’autrice, con stelle della danza quali solisti: Eleana Andreoudi (cui succederà Futaba Ishizaki), Gioacchino Starace e Denys Cherevychko. La coreografa Susanna Egri segue questa produzione di Aida in Arena dal 1982, intraprendendo uno studio assiduo e ricerche accurate per portare in scena un lavoro fine e minuzioso rinnovato nel 2013, che rievoca il gusto ottocentesco del contesto in cui è stata composta l’opera, mettendo ulteriormente in risalto l’eccezionalità del palcoscenico areniano esaltata da questo spettacolo.

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Senza trucco!… Jessica Pratt

gbopera - Mer, 07/08/2024 - 00:20

Il nome di Jessica Pratt non ha certo bisogno di molte presentazione. Tutti i melomani ne conoscono le qualità artistiche e vocali. In questi giorni la ritroviamo a Pesaro dove inaugurerà oggi, 7 agosto l’edizione 2024 del ROF con Bianca e Falliero (l’opera verrà trasmessa su RAI 5 a partire dalle 21.15)
Definisciti in tre parole
Eclettica, felice e animalista.
Segno zodiacale
Gemelli ascendente Scorpione.
Sei superstiziosa?
Si.
In cosa si manifesta
Un po’ le solite cose non passo sotto le scale nozze, se cade del sale lo butto dietro spalle, queste piccole cose, però per me è cercare di non pensare mai a delle cose negative, specialmente in relazione al mio lavoro perché poi  accadranno. Per me è importante cercare sempre di pensare positivamente a quello che vuoi, lavorare per quello che desideri realizzare e cercare di non pensare troppo alla possibilità che che le cose possano andare male.
Qualche rito scaramantico?
No. Penso solo ad essere sempre preparata.
Il tuo rapporto con la spiritualità?
Molto personale. Sono cresciuta anglicana, mi piace entrare in Chiesa ogni tanto però ho  perché mi piace Chiesa in se stessa, mi può affascinare con i suoi riti, sono però convinta che tante religioni servivano a controllare un popolo. Adesso siamo un po’ più indipendenti sulle scelte spirituali.
Hai mai sofferto di invidia?
Si…si..(risata) invidio l’energia fisica del mio cane…che io non ho.
Che cosa avresti fatto se non avessi fatto la cantante?
La veterinaria.
La tua famiglia ti ha influenzato nelle tue scelte?
Mio padre è un cantante lirica mia madre, mia madre un’artista.  Io avevo iniziato a studiare scultura, poi ero anche attratta dal mondo animale ma alla fine ha prevalso il canto.
Un ricordo della tua infanzia
I giochi in giardino con il mio gatto.
Il  profumo che si lega alla tua infanzia?
Il profumo della lavanda. La mia famiglia ha cambiato casa abbastanza spesso casa e ogni volta che andavamo in una casa nuova mio padre piantava piante di  lavanda. Anche io ho piantato lavanda nel giardino di casa mia.

Un momento di grande orgoglio.
Quando mia sorella ha avuto il primo figlio, era una  cosa molto importante per me ed ero  molto orgoglioso di lei.
Una grande delusione invece?
Quando molti anni fa ha avuto problemi di salute e per molto tempo non riuscivo a camminare. Ero molto delusa, arrabbiata con me stessa, perché il corpo non  mi obbediva.
Che cosa ti manca di più nella vita di oggi?
La spensieratezza della giovinezza,  ai tempi degli studi.
La cosa che ti emoziona maggiormente
La natura.
Che cosa ti annoia invece?
La vita in città.
Che cosa ti  cosa ti diverti di più
I miei animali.
Credi di più nell’amicizia o nell’amore?
Nell’amicizia, ma  con la A maiuscola per me è strettamente legata all’amore e al rispetto e  quindi la parola amicizia ha un valore grandissimo.
Hai un sogno ricorrente?
Quando si avvicina  produzione e non sono abbastanza preparata mi capita di sognare di andare a vado in teatro per cantare, che ne so, Tancredi e mi  dicono invece che devono cantare Bohème. Entro nel panico….è sogno che mi dice sottovoce che devo iniziare a iniziare a studiare…(risata!)
Il tuo rapporto con il denaro
È utile per fare delle cose ma non non più di quello.
In cosa sei più spendacciona
Sicuramente in spese per gli animali e in vestiti.
Hai collezionato o collezioni qualcosa?
Da ragazzina collezionavo le bambole antiche, ne conservo ancora qualcuna anche se mio marito le trova inquietanti. Sono sicuramente piena di libri.
Che cosa leggi?
Un po’ di tutto….storico, biografico, vado un po’ ad istinto. Quando sono venuta in Italia e avevo pochi soldi, avevo scoperto che la letteratura classica, da Dickens a Tolstoj e altri li potevi comperare con pochi euro. Perciò ho fatto di necessità virtù e ho letto molti autori classici.  Adesso vado un po’ ad istinto, quando viaggio compero sempre un paio di libri.

In quale città ti identifichi.
Come ho detto non amo molto le città ma trovo che a Napoli, dove per altro vivono i mei suoceri, ci sia un’energia molto speciale.
Colore preferito
Il rosso.
Il fiore preferito
La peonia.
Cantante o cantanti preferiti…lirici o no…
Frank Sinatra, se poi andiamo nella lirica sono veramente tanti. Da  Mariella Devia grande fonte di ispirazione per iniziare il mio percorso in Rossini, Lella Cuberli che mi ha insegnato per tanti anni e poi la Caballè, la Sutherland e altri.
Ti ricordi il primo disco che hai comperato
Ricordo che mio fratello mi regalò una cassetta di Janet Jackson perché dovevo andare andare a fare un’operazione in ospedale. Il mio primo cd, un recital della Callas, lo ricevetti invece da mio  padre.
Un film che hai amato
“Crouching Tiger, Hidden Dragon: Sword of Destiny”  un film avventuroso del regista cinese Yuen Wo Ping.
La stagione dell’anno che preferisci
L’autunno. Perché dalla natura arriva un certo senso di rilassamento dopo l’intensità dell’estate e si va verso l’inverno.
Il tuo rapporto con la tecnologia.
Mio marito è un informatico perciò io non mi impegno più di tanto perché ho sempre un supporto sicuro. Mi arrangio.
E  con la televisione?
Molto blando, anche quando sono arrivate in Italia non ho mai avuto la tv. Ogni tanto guardiamo qualche serie o film su Netflix  e  quando ci sono i miei suoceri qualche Tg.

La politica?
Trovo che un po’ ovunque abbia raggiunto dei toni eccessivi di polemica, aggressività veramente preoccupanti.
Le cause che ti stanno più a cuore
I diritti per la tutela dell’infanzia, ma anche degli degli animali
Giorno o notte.
Diciamo che io sarei una mattiniera. Adesso che siamo in estate, non amando il caldo, le giornate mi pesano, e quindi comincio a riprendermi alla sera e alla notte.
La tua situazione più rilassante
Dedicarmi al giardinaggio
Qual è la musica che di solito fa di sottofondo alle tue giornate?
Musica Jazz. Da ragazza ho fatto parte di un gruppo musicale Jazz.
La vacanza o il viaggio che vorresti fare.
Viaggio così tanto che starmene a casa è la vacanza ideale.
Il tuo rapporto con il cibo.
Pieno di buoni propositi nel voler essere brava ma che rimangono sulla carta.
Il tuo piatto preferito?
Zucchine alla scapece che è anche il mio piatto forte in cucina accanto alle melanzane alla parmigiana, risotti e paste varie….più veloci da cucinare.
Vino bianco o roso?
Rosso.
A chi non conoscesse la tua voce cosa faresti ascoltare di te?
Credo qualcosa di Rossini o Donizetti
Come segui l’evoluzione della tua voce
Studio con diversi maestri cercando di sviluppare in un modo omogeneo organico, naturale e di non spingere la voce a cambiamenti che nella realtà non ci sono. Io comunque vorrei sempre cantare il “belcanto” forse anche un po’ più pesante, ma sempre in un contesto di soprano “lirico” non vorrei spostarmi a Verdi o Puccini autori che non sono nella mia natura.
Se in questo momento ti fosse data l’opportunità di scegliere un ruolo cosa cosa sceglieresti?
Di ripetere una delle 40 opere che ho in repertorio che, attualmente è legato principalmente a 3 o 4 titoli. Solo con “Demetrio e Polibio” c’è stato una sorta di miracolo, perché l’ho cantato 2 volte, a Pesaro e a Napoli. Molti altri titoli li ho cantati una volta sola ed è un peccato perché ho avuto l’opportunità di cantare opere molto belle.

È in questo contesto che è partito il progetto della “Tancredi records 
Sì. La volontà di creare si creare qualcosa indipendentemente dalle mode. Ci sono tante registrazioni ma continuano a registrare le stesse. Capisco che le case discografiche hanno bisogno di vendere, ma c’è un pubblico che ha voglia anche di sentire qualcosa di diverso, anche noi cantanti vorremmo e certe cose registrate bene non solo i live nelle quali non possiamo intervenire….Anche se io, sinceramente non mi ascolto mai. Nel primo cd, accanto alle pagine più note da Sonnambula e Puritani, ho registrato la ben più rara Emilia di Liverpool, così come il finale del secondo atto di Linda di Chamounix nell’edizione critica, o la scena della pazzia dalla Lucia di Lammermoor nella tonalità originale e con la glass harmonica. E’ una esperienza molto bella per me, perché sei tutta concentrata sulla cura del fraseggio e sul suono, non hai il problema della recitazione, della scena.
E cosa c’è in programma per il futuro?
Ancora con i complessi del Maggio Fiorentino abbiamo già registrato un album rossiniano, mentre per il prossimo anno abbiamo in programma un cd mozartiano. Puntiamo anche a registrazioni di opere complete. A tale proposito vorrei anche iniziare a pubblicare degli spartiti di opere rare, a me piace molto nel tempo libero trascrivere manoscritti.
Ci sono opere che ti sei detta “mai più”?
Certo…Sicuramente la Giovanna d’Arco di Verdi e poi vivo un rapporto di odio/amore per la Regina della Notte del Flauto Magico. Una parte che ti carica di tensione perché tutta giocata su 2 arie, la seconda poi è e sicuramente la più attesa dell’opera e quindi ti giochi tutto in quel momento. Ogni volta mi dico “basta”…ma poi capita che canto ancora il ruolo.

Il tuo rapporto con il successo e il pubblico
Con il pubblico ho un rapporto speciale. Ho persone che mi seguono da anni e ritrovo spesso nei vari teatri, in particolare qui in Italia e in Spagna. Sono come amici, perché parliamo dopo le recite fanno un po’ parte grande della mia vita. Non vivo bene il rapporto con il successo, perché mentalmente non lo assaporo, perché penso solo alle cose negative a quello che seconde me non è andato.
Che cosa fai un’ora prima di salire sul palco
Quando sono in teatro, al trucco, sono tranquilla. Le ansie le provo di più il giorno prima della recita: non riesco a uscire e parlare. Rimango chiusa in casa.
Cosa non manca mai nel tuo camerino.
Nulla di particolare…solo l’acqua.
Cosa pensi quando ti guardi allo specchio?
Che sto invecchiando…(risata)
Stato d’animo attuale?
Ansia che cresce perché siamo prossimi a un debutto..
Il tuo motto?
Sempre avanti!
Foto di Alessandro Moggi, Benjamin Ealovega, Marco Borrelli, Michele Monasta

 

 

 

 

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45° Rossini Opera Festival 2024: a Pesaro dal 7 al 23 agosto 2024

gbopera - Mar, 06/08/2024 - 09:24

La 45esima edizione del Rossini Opera Festival è ormai ai nastri di partenza. Il Sovrintendente Ernesto Palacio ha sottolineato: “Si tratta di un cartellone che propone un cast artistico ricco di debuttanti a Pesaro, ben 14, e di 25 cantanti nati nell’ambio dell’Accademia Rossiniana. Continuiamo a guardare avanti, insomma, creando nei nostri corsi i cantanti rossiniani del futuro e rivolgendo la nostra attenzione anche ad artisti nuovi, mai venuti a Pesaro. Il programma è noto da tempo, ma vorrei sottolineare la vera e propria rarità rappresentata dalla Messa di Ravenna, eseguita per la prima volta nella revisione sulle fonti della Fondazione Rossini curata e diretta da Ferdinando Sulla”. In allegato tutti i dettagli dell’edizione 2024 del ROF

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Ercolano, Parco Archeologico: “L’antica spiaggia restituita al Mondo”

gbopera - Dom, 04/08/2024 - 08:00

Rinasce l’Antica Spiaggia di Ercolano: Un Tesoro Archeologico Restituito al Mondo
Dopo un lungo restauro, l’antica spiaggia della città romana sepolta dal Vesuvio riapre al pubblico, offrendo un’esperienza unica tra storia e bellezza naturale.
L’antica spiaggia di Herculaneum ha riaperto al pubblico, segnando un momento storico per il Parco Archeologico di Ercolano. Alla cerimonia inaugurale, presieduta dal Ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano e dal Direttore del Parco Francesco Sirano, è stata celebrata la conclusione di un complesso progetto di restauro, che ha restituito alla collettività un angolo prezioso del passato. La riqualificazione della spiaggia è il risultato di un lungo processo di ricerca, scavo archeologico, restauro e ingegneria, reso possibile grazie alla collaborazione con il Packard Humanities Institute nell’ambito del “Herculaneum Conservation Project”. Questo intervento ha permesso di ridisegnare l’antica linea costiera, riportandola alla sua forma originaria, proprio come appariva prima della devastante eruzione del Vesuvio del 79 d.C. I visitatori possono ora passeggiare liberamente lungo l’intera superficie della spiaggia, immergendosi nella storia e nell’atmosfera della città antica lambita dal mare. Il nuovo layout dell’area, finanziato dal CIS Vesuvio Pompei Napoli, non solo arricchirà immediatamente l’esperienza di visita, ma porterà nel medio termine alla ricongiunzione con la Villa dei Papiri, creando un percorso culturale di grande valore. La documentazione fotografica d’archivio legata ai lavori di scavo degli anni ’90 mostra la presenza, nella zona della spiaggia, di una piattaforma in tufo segnata da lunghe incisioni parallele che furono interpretate come segni lasciati nel tufo dalle chiglie delle barche. Indagini recenti hanno dimostrato che il litorale nel corso dei secoli ha più volte cambiato il proprio livello alzandosi e abbassandosi almeno dal III secolo a.C. In quel momento il banco di tufo era parzialmente fuori dal mare: il tufo veniva estratto per utilizzarlo come materiale di costruzione e le onde del mare hanno modellato la superficie tufacea con delle incisioni parallele e curvilinee. Inoltre il progressivo abbassamento del livello del banco, a causa di fenomeni legati al vulcanesimo, insieme all’azione delle onde ha depositato le sabbie che hanno progressivamente creato la spiaggia romana del 79 d.C. L’antica spiaggia appariva come una spiaggia di sabbia vulcanica di colore nero da cui emergeva, in alcuni punti, la piattaforma tufacea sottostante. Aveva una leggera inclinazione verso il mare la cui linea di battigia doveva trovarsi pressappoco dove oggi termina l’area di scavo. Sulla spiaggia non si svolgevano solo attività marinare, ma era usata anche per raggiungere la città e per salire attraverso delle rampe verso le case affacciate direttamente sul mare e per rifornire le terme di suburbane di legna. Nella notte dell’eruzione del 79 d.C. oltre a più di 300 fuggiaschi, sulla spiaggia c’erano anche animali tra i quali muli e cavalli. I fuggiaschi furono sorpresi nel cuore della notte dall’arrivo della prima nube ardente che, con una temperatura di oltre 400° e una velocità di 80 kmh, raggiunse la città e provocò la morte istantanea, per shock termico, di tutti gli abitanti. L’arrivo delle ondate di fango vulcanico dal Vesuvio ricoprí poi i resti dei loro corpi, sigillandoli nella posizione in cui si trovavano al momento della morte. Dallo studio di questi scheletri sono stati ricavati importanti dati biologici sull’alimentazione e sulle malattie degli antichi ercolanesi. I fuggiaschi avevano portato con sé oggetti preziosi, come gruzzoli di monete e gioielli, ma anche lucerne per farsi luce nella fitta oscurità provocata dall’eruzione e le chiavi di casa, segno che avevano avuto il tempo di chiudere le porte prima di fuggire. A fine 2021, l’antica spiaggia ha restituito lo scheletro dell’ultimo fuggiasco di Ercolano, un uomo di circa 40/45 anni di età. Si trovava probabilmente in riva al mare o nelle aree della città soprastante, trascinato dalla forza dell’eruzione insieme ai suoi averi, conservati in una sacca di tessuto. Lo scavo di laboratorio del pane di terra che racchiudeva la sacca ha evidenziato che all’interno essa conteneva un porta monete di legno con uno scompartimento all’interno del quale vi erano degli anelli, e alcune tavolette per scrivere sempre di legno, il cui contenuto ci sarà chiarito dal prosieguo del micro scavo. Sull’antica spiaggia oltre allo scheletro sono stati ritrovati moltissimi reperti di legno trascinati dal flusso piroclastico. Arbusti, radici di alberi ad alto fusto, grandi travi, frammenti di cornici e pannelli appartenenti probabilmente a controsoffitti e alle coperture degli edifici, oltre ad assi di legno, puntoni e altri elementi forse di barche. Tutto questo rende gli scavi di Ercolano unici al mondo. Negli ultimi decenni, l’area aveva subito un progressivo degrado, trasformandosi in un acquitrino a causa della corrosione e del ristagno delle acque. La complessità del progetto ha richiesto un approccio multidisciplinare per garantire la sicurezza e la fruibilità della spiaggia, con la creazione di percorsi accessibili e la valorizzazione del fronte a mare della città. Il Direttore del Parco, Francesco Sirano, ha espresso grande soddisfazione per il risultato ottenuto: “L’antica spiaggia è un luogo unico al mondo. Abbiamo lavorato per ridurre il rischio di allagamenti e per stabilizzare i fronti di scavo. Oggi, il paesaggio del 79 d.C. è stato ripristinato, permettendo ai visitatori di esplorare un’area di grande valore storico e archeologico.” Jane Thompson, responsabile del partenariato con il Packard Humanities Institute, ha celebrato il successo del progetto, evidenziando il contributo del team interdisciplinare che ha reso possibile questa trasformazione.  L’antica spiaggia di Herculaneum non è solo un luogo di bellezza storica, ma anche una testimonianza vivida delle drammatiche vicende che colpirono la città durante l’eruzione del Vesuvio. Il progetto ha permesso di risolvere i problemi idraulici che affliggevano l’area, rendendo la spiaggia accessibile e sicura. L’impianto di illuminazione, infine, aggiunge un tocco di magia alle visite serali, rendendo ancora più suggestiva la fruizione del fronte mare dell’antica Ercolano. L’antica spiaggia, ora risplendente nella sua rinnovata bellezza, attende di essere esplorata e ammirata, offrendo un’esperienza unica nel panorama archeologico mondiale. Photocredit@ParcoArcheologicodiErcolano

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