Roma, Nuovo Teatro Ateneo
LA NUOVA STAGIONE SPERIMENTALE
Uno dei luoghi più rilevanti e iconici della storia del teatro italiano riapre ufficialmente le sue porte e lo fa con un cartellone di grande pregio culturale, consono alla sua storia straordinaria. Il Nuovo Teatro Ateneo presenta dal 26 settembre al 19 dicembre 2024 la sua Stagione teatrale sperimentale. Il Nuovo Teatro Ateneo è un’istituzione culturale di grande rilevanza che si inserisce nella lunga tradizione teatrale e accademica della città di Roma e di tutta la storia del teatro italiano. Il Teatro Ateneo fu costruito nel 1935. Nel 1954 fu fondato l’Istituto del Teatro, con il compito primario di programmare l’attività del Teatro Ateneo. Ad esso si appoggiò l’insegnamento di Storia del teatro e dello spettacolo della Facoltà di Lettere e filosofia, tenuto prima da Giovanni Macchia e poi da Ferruccio Marotti. Successivamente, dal 1980 al 2014, il Centro Teatro Ateneo ha contribuito a tutti gli effetti a fare del Teatro Ateneo un luogo noto a livello internazionale. La nascita del Teatro Ateneo è il frutto di un’idea di valorizzazione della cultura teatrale all’interno dell’università, con uno spazio dedicato a produzioni artistiche e ad eventi che possano coinvolgere non solo gli studenti, ma anche il pubblico cittadino. Durante gli anni, il Teatro Ateneo ha visto esibirsi numerosi artisti di fama, contribuendo così a consolidare la reputazione del teatro come un crocevia di talenti emergenti e affermati. Il Teatro Ateneo ha saputo adattarsi ai mutamenti sociali e culturali, affrontando tematiche attuali e rilevanti e rimanendo al passo con le esigenze del pubblico moderno. Questo approccio dinamico ha contribuito a rendere il Teatro Ateneo non solo un luogo di spettacolo, ma anche un’importante fucina di idee e di creatività. Oggi, il Nuovo Teatro Ateneo ambisce ad essere nuovamente un faro di cultura a Roma, rappresentando un esempio di come l’arte possa integrare e arricchire le esperienze della comunità accademica e cittadina, promuovendo il dialogo e la condivisione attraverso la magia del palcoscenico. Forte della sua grande e prestigiosa storia – che ha visto passare sulle tavole del palcoscenico i più grandi nomi del teatro italiano ed europeo – il Nuovo Teatro Ateneo propone la sua prima Stagione sperimentale, che si distingue per una programmazione che spazia dal teatro classico alla drammaturgia contemporanea e alla danza. Dopo un lungo periodo di chiusura terminato nel 2020, il Nuovo Teatro Ateneo intende riproporsi sulla scena culturale romana con un cartellone formato da quattordici spettacoli di prosa e di danza di richiamo nazionale e internazionale. La scelta degli spettacoli è stata effettuata dai docenti delle discipline dello spettacolo di Sapienza – in particolare, dai proff.ri Vito Di Bernardi, Guido Di Palma, Stefano Locatelli e Sonia Bellavia – ed è stata coordinata dal Centro Sapienza Crea-Nuovo Teatro Ateneo, diretto dal prof. Marco Benvenuti. “La prima stagione teatrale sperimentale del Nuovo Teatro Ateneo vuole segnare, concretamente, la riapertura del nostro Teatro a tutta la Comunità Sapienza e al territorio, con un calendario di appuntamenti che mira a ricollocarlo nel panorama culturale del Paese. – dichiara la Rettrice Antonella Polimeni. – Andremo a proporre un programma di quattordici spettacoli di prosa e di danza, opere che affrontano grandi questioni del nostro tempo e che vedono coinvolti anche molti giovani artisti della scena nazionale e internazionale. L’obiettivo è rendere la programmazione del Nuovo Teatro Ateneo fedele al motto di Sapienza “IL FUTURO È PASSATO QUI”, onorando quindi la tradizione del nostro Teatro e dei Maestri che lo hanno reso grande, Gigi Proietti, Carmelo Bene, Eduardo De Filippo per citarne solo alcuni, conciliandola con le nuove correnti culturali e artistiche che stanno segnando il panorama internazionale. Vogliamo, inoltre, offrire uno spazio in cui giovani talenti possono proporre, e condividere con il grande pubblico, la propria arte. Unendo così, ancora di più, la tradizione all’innovazione, il passato al futuro, vivendo il presente”. “La stagione teatrale sperimentale del Nuovo Teatro Ateneo, che presentiamo oggi, è una grande sfida sul piano culturale – dice il Direttore del Centro Sapienza Crea-Nuovo Teatro Ateneo Marco Benvenuti – che dimostra la vitalità e la capacità di innovare da parte di un’istituzione pubblica qual è Sapienza. Sono certo che i quattordici spettacoli di prosa e di danza che ospiteremo nell’autunno di quest’anno sapranno raccogliere l’interesse di un vasto pubblico, interno ed esterno all’Ateneo, e costituiranno il punto di partenza per nuove e più ampie iniziative non solo sul piano delle arti performative, ma anche su quello della musica, del cinema e dei media digitali”. In concomitanza con l’avvio della stagione teatrale sperimentale, Sapienza ha anche deciso di selezionare un Direttore artistico per il Nuovo Teatro Ateneo. La procedura è pubblica e sarà possibile presentare la propria domanda di partecipazione accendo al sito del Centro Sapienza Crea-Nuovo Teatro Ateneo. La stagione – presentata al pubblico il 26 settembre alle ore 15.00 – alla presenza della Rettrice Antonella Polimeni, proporrà alle ore 20.30 l’anteprima di Eraclidi di Euripide, con la traduzione a cura di Anna Maria Belardinelli, coordinatrice del progetto Theatron. Teatro antico alla Sapienza, e con l’ideazione e la regia di Adriano Evangelisti, direttore artistico.
Roma, Teatro Sistina
I SETTE RE DI ROMA
scritto da Gigi Magni
musicato da Nicola Piovani
Con Enrico Brignano,Pasquale Bertucci, Lallo Circosta, Giovanna D’Angi, Ludovica Di Donato, Michele Marra, Michele Mori, Ilaria Nestovito, Andrea Perrozzi, Andrea Pirolli, Emanuela Rei ed Elisabetta Tulli
Scene di Mauro Calzavara
disegno luci di Marco Lucarelli
costumi di Paolo Marcati
coreografie di Thomas Signorelli
regista assistentePierluigi Iorio
prodotto da Vivo Concerti & Enry B. Produzioni
A 35 anni dalla prima messa in scena di una rappresentazione che ha fatto la storia del teatro italiano, Enrico Brignano riporta sul palco lo spettacolo scritto da Gigi Magni e musicato da Nicola Piovani: “I 7 re di Roma” (prodotto da Vivo Concerti & Enry B. Produzioni), uno show della grande tradizione targata “Garinei e Giovannini” e che vide protagonista in scena Gigi Proietti. Sarà il Teatro Sistina di Roma (e non poteva essere altrimenti) a ospitare il debutto de ‘I 7 Re di Roma’ (dall’8 ottobre 2024) che però girerà per tutta Italia, toccando Torino (Teatro Alfieri dall’11 dicembre), Padova (Gran Teatro Geox dal 18 dicembre), Bologna (Europaditorium dal 9 gennaio 2025), Bari (Teatro Team dal 22 gennaio), Napoli (Teatro Augusteo dal 30 gennaio), Milano (Teatro Arcimboldi dal 19 febbraio), Firenze (Teatro Verdi dal 6 marzo) e Catania (Teatro Metropolitan dal 23 marzo). L’attore rilegge coraggiosamente questo grande classico cercando un equilibrio tra la tradizione e i tempi moderni, rispettando la versione precedente, ma con un’attenzione ad una fruizione più adatta al pubblico odierno, abituato alla rapidità e a durate più contenute (l’adattamento al testo è curato da Manuela D’Angelo). I mitici sette re all’origine della fondazione di Roma si susseguiranno, in un rocambolesco alternarsi di travestimenti di Brignano, tra canzoni, balli e vicende più e meno note, riconducibili agli albori della storia. Tra mito e realtà, Brignano ci riporterà indietro nel tempo insieme a una compagnia giovane e brillante, per mostrare che in fondo, per quanto i tempi cambino, la natura dell’uomo resta sempre la stessa e, a distanza di secoli, ciò che persegue è ancora l’ideale di libertà che rende una vita degna di essere vissuta. “Questo spettacolo, che reputo il più impegnativo della mia carriera interpretando 11 personaggi diversi e mantenendo la regia originale di Garinei, è un omaggio a Proietti, a Magni, a Piovani, a Garinei, alla Capitale”, spiega Brignano che definisce i ‘I 7 Re di Roma’ (di cui cura la messa in scena) come il suo “spettacolo del cuore. Ricordo che noi giovani attori del Laboratorio di Gigi, appunto 35 anni fa, eravamo estasiati da questo show e lo imparammo tutti a memoria, in una vera fase di innamoramento del teatro e del nostro Maestro. Certo oggi i tempi sono cambiati da allora: “E difatti questa rappresentazione vuole essere sì un omaggio, ma non una copia, a partire da una mia rilettura personale delle scene e dei contenuti. Alcuni riferimenti andati in scena 35 anni fa oggi non sono più percorribili, o magari ce ne sono altri da aggiornare”. Tra gli obiettivi di Brignano, poter dare l’occasione anche ai più giovani di poter far rivivere loro l’emozione di uno show come questo: “Mi fa ben sperare il fatto che i miei figli, che hanno 7 e 3 anni, conoscono a memoria tutti brani dello spettacolo: li cantano e se io sbaglio, mi correggono perché il pubblico dei bambini è implacabile. Quando a casa ripassavo i testi e loro mi chiedevano di raccontare una favola la sera, gli ho descritto le gesta di personaggi come Romolo, Numa Pompilio, Anco Marzio, del gigante Caco e di Ercole. E le hanno recepite con grande attenzione”. Sul palco, insieme a Brignano, Pasquale Bertucci, Lallo Circosta, Giovanna D’Angi, Ludovica Di Donato, Michele Marra, Michele Mori, Ilaria Nestovito, Andrea Perrozzi, Andrea Pirolli, Emanuela Rei ed Elisabetta Tulli. Scene di Mauro Calzavara, disegno luci di Marco Lucarelli, costumi di Paolo Marcati, coreografie di Thomas Signorelli, regista assistente Pierluigi Iorio.
Venezia, Scuola Grande San Giovanni Evangelista, Festival “Passione violoncello”, 21 settembre-24 ottobre 2024
“PASSIONE VIOLONCELLO”
Quatuor Cambini-Paris
Violini Julien Chauvin, Karine Crocquenoy
Viola Pierre-Éric Nimylowycz
Violoncello Atsushi Sakai
Altro violoncello Marion Martineau
Charles-Nicolas Baudiot: Quintette avec deux violoncelles no 1, op. 34; Auguste Franchomme: Romance pour violoncelle et quatuor à cordes, op. 10; Théodore Gouvy: Quintette avec deux violoncelles no 1 en mi mineur
Venezia, 21 settembre 2024
Anche quest’anno la Sala Capitolare della Scuola Grande di San Giovanni Evangelista ha fatto da sontuosa cornice al concerto inaugurale del festival d’autunno – organizzato dal Palazzetto Bru Zane-Centre de Musique Romantique Française – divenuto ormai un’attesa consuetudine veneziana, che richiama un pubblico sempre più numeroso. L’attuale rassegna, Passione violoncello – apertasi il 21 settembre, per concludersi il 24 ottobre 2024 – è dedicata, come indica il titolo, non a un autore o a un periodo della storia musicale francese, bensì ad uno strumento: il violoncello. Considerato il portavoce, forse per eccellenza, della sensiblerie romantica, il violoncello raggiunge il culmine della propria evoluzione nell’Ottocento, coniugando l’affinamento tecnico, gradatamente raggiunto, a una vocazione espressiva incline al sentimento, grazie anche alla ricchezza avvolgente del timbro, che lo caratterizza. Valorizzato dai compositori dell’epoca, tra cui vari violoncellisti – che esplorano nelle pagine da loro scritte le potenzialità dello strumento, allargandone i confini tecnico-espressivi –, lo strumento si emancipa definitivamente dal tradizionale ruolo di accompagnamento.
È all’interno dei salotti che, nell’ottocento si sperimentano le formazioni strumentali più svariate. Grande entusiasmo – per quanto momentaneo – fu suscitato, in questi luoghi, dove si riuniva la mondanità, il quintetto con due violoncelli, dimostrando quanto il pubblico fosse attratto dal virtuosismo del violoncello principale, trattato come solista, cedendo nel contempo al fascino emanato dal suono prettamente romantico dello strumento. Fiorì, dunque, in Francia un ricco repertorio per questa formazione, ancora tutto da riscoprire, con buona pace di Schubert e del tuo celebre Quintetto.
Interpreti dei titoli in programma erano i solisti del Quartetto Cambini-Paris – che si dedica al repertorio musicale celebre, eseguito su strumenti d’epoca, e contemporaneamente alla riscoperta di compositori francesi dimenticati – composto da Julien Chauvin e Karine Crocquenoy (violini), Pierre-Éric Nimylowycz (viola), Atsushi Sakai (violoncello), ai quali si è unita, per l’occasione, Marion Martineau (altro violoncello) che, in duo con Atsushi Sakai, affronta un repertorio sei-settecentesco e contemporaneo.
Equilibrio, senso dell’insieme, eleganza e rotondità del suono, adeguatezza rispetto al codice estetico relativo ai pezzi proposti: queste le caratteristiche salienti della performace offerta dagli esecutori, le cui indubbie doti interpretative erano complementari ad una preparazione tecnica superlativa.
Questo si è colto nel quintetto di Bodiot – uno dei violoncellisti-compositori, cui si è fatto cenno – probabilmente pubblicato nel 1837, quando il maestro si ritirò dal Conservatorio di Parigi. Un’esecuzione, in cui il primo violino ha svolto egregiamente il proprio ruolo di solista, ma anche gli altri stumentisti hanno affrontato con bravura i passaggi virtuosistici, che l’autore loro affida.
Virtuosismo e cantabilità hanno caratterizzato Romance di Auguste Franchomme – primo violino dell’Opéra Italien –, che qui si confronta con un genere all’epoca di gran moda, partendo con una linea melodica chiara dal carattere pastorale, che privilegia i valori lunghi e ricorre alla ripetizione di certi ritmi (come il motivo semiminima puntata-croma-semiminima), per poi dare spazio al virtuosismo del violoncello principale e concludere con doppie corde ed espressivi arpeggi. Ottimo bilanciamento delle parti e inappuntabili interventi da parte dei singoli strumentisti, cui Gouvy richiede un impegno notevole, hanno caratterizzato l’esecuzione del quintetto di Gouvy, un lavoro, che guarda a Boccherini, Schubert, Onslow e forseconsiderato troppo “tedesco” all’epoca in cui nacque. Calorosissimo successo con numerose chiamate.
Mike Bongiorno 1924-2024: Un Viaggio Immersivo Nella Storia della Televisione Italiana
La mostra al Palazzo Reale celebra il centenario della nascita del leggendario presentatore, raccontando la sua carriera straordinaria e il suo impatto profondo sulla cultura popolare italiana.
La mostra “Mike Bongiorno 1924-2024”, ospitata a Palazzo Reale di Milano dal 17 settembre al 17 novembre 2024, è un’esposizione che celebra la vita e la carriera di uno dei più importanti protagonisti della storia della televisione italiana. Realizzata in occasione del centenario della nascita di Mike Bongiorno, questa mostra rappresenta un viaggio immersivo nella vita di un uomo che ha segnato profondamente la cultura e la società italiana per oltre sei decenni. Curata dal figlio Nicolò Bongiorno, insieme ad Alessandro Nicosia e con la consulenza di Daniela Bongiorno, l’esposizione è organizzata dal Comune di Milano – Cultura, con il patrocinio del Ministero della Cultura e la collaborazione di importanti partner come Rai, Mediaset e altri sponsor di spicco come Barilla e DR Automobiles. La mostra si distingue per un allestimento scenografico coinvolgente che permette ai visitatori di attraversare diverse epoche della carriera di Mike, grazie a ricostruzioni fedeli di ambienti e momenti iconici, come lo studio radiofonico americano degli anni ’40 e la celebre cabina del quiz Rischiatutto. Il percorso espositivo è arricchito da una serie di filmati di repertorio Rai e Mediaset, insieme a video biografici che raccontano non solo la storia di Bongiorno, ma anche le trasformazioni della società italiana dagli anni ’20 fino ai giorni nostri. L’intera esposizione è pensata per offrire ai visitatori un’esperienza interattiva, in cui possono rivivere dal vivo il mondo dei quiz e immergersi nella cultura popolare che Mike Bongiorno ha contribuito a creare. La mostra sottolinea anche il ruolo cruciale che Bongiorno ha avuto nella formazione dell’identità televisiva italiana e nel consolidamento della memoria collettiva del Paese, grazie alla sua capacità di comunicare con semplicità e immediatezza, raggiungendo un vasto pubblico. Mike Bongiorno è stato uno dei volti più iconici della televisione italiana, con una carriera che si è estesa per oltre sessant’anni. Nato il 26 maggio 1924 a New York da genitori italiani, Bongiorno si trasferì in Italia da giovane. Durante la Seconda Guerra Mondiale, partecipò alla Resistenza come staffetta partigiana, venendo arrestato dai nazisti e imprigionato per sette mesi nel campo di concentramento di Mauthausen. Dopo la guerra, iniziò la sua carriera giornalistica e radiofonica negli Stati Uniti, per poi rientrare in Italia dove debuttò nel 1955 con Arrivi e partenze, il primo programma di intrattenimento della neonata Rai. Il suo linguaggio diretto e semplice conquistò subito il pubblico. Tuttavia, fu con i quiz televisivi che Bongiorno raggiunse la vera celebrità, contribuendo a fare di questo genere un fenomeno di massa. Programmi come Lascia o raddoppia?, Rischiatutto e TeleMike lo consacrarono come il “Re dei quiz”, confermandolo come pioniere dell’intrattenimento televisivo in Italia. Un tratto distintivo del suo successo fu la capacità di instaurare un rapporto empatico con il pubblico. Il suo stile, apparentemente spontaneo e colloquiale, era concepito per coinvolgere tutta la famiglia, tanto che veniva spesso definito “uno di famiglia”. L’approccio semplice, unito ai suoi celebri lapsus e gaffe, lo rese una figura amabile e immediatamente riconoscibile. La carriera di Bongiorno si sviluppò parallelamente ai grandi cambiamenti della società italiana, attraversando la ricostruzione del dopoguerra, il boom economico e l’avvento della televisione commerciale. Bongiorno fu una delle poche personalità a lavorare con successo sia per la Rai che per Mediaset, contribuendo all’affermazione della televisione privata negli anni ’80. Oltre ai quiz, presentò il Festival di Sanremo undici volte, consolidando ulteriormente il suo ruolo di figura chiave della televisione italiana. Mike Bongiorno lavorò attivamente in televisione fino alla fine della sua vita, dimostrando una capacità unica di restare rilevante per il pubblico attraverso i decenni. Morì l’8 settembre 2009 a Monte Carlo, lasciando un’eredità indelebile nella cultura popolare italiana, tanto che il suo nome è diventato sinonimo di televisione stessa. La sua abilità nel mantenere un legame autentico con il pubblico, senza mai prendersi troppo sul serio, ha fatto di lui una delle personalità più amate della storia della TV italiana. Un catalogo appositamente pubblicato da Silvana Editoriale accompagna l’esposizione, offrendo ai visitatori ulteriori dettagli storici, documenti e testimonianze su Mike Bongiorno e il suo impatto duraturo sulla cultura italiana. Questa mostra non è solo una celebrazione della vita di Mike Bongiorno, ma anche un tributo al suo impatto culturale e al ruolo cruciale che ha avuto nella definizione dell’identità televisiva italiana, contribuendo alla formazione della memoria collettiva del Paese. Photocredit @2003 Archivio Fondazione Mike Bongiorno
Vol. 1: Harpsichord Concerto No.1 in D minor, BWV 1052; Harpsichord Concerto No.5 in F minor, BWV 1056; Harpsichord Concerto No.8 in D minor, BWV 1059R (Reconstruction by Masato Suzuki); Harpsichord Concerto No.2 in E major, BWV 1053. Bach Collegium Japan. Masato Suzuki (clavicembalo e direzione). Registrazione: Luglio 2018 presso la Yamaha Hall, Tokyo, Giappone. T. Time: 66′ 34″ 1CD BIS Records Bis-2401
Vol. 2: Harpsichord Concerto No.6 in F major, BWV 1057; Harpsichord Concerto No.4 in A major, BWV 1055; Harpsichord Concerto No.7 in G minor, BWV 1058; Harpsichord Concerto No.3 in D major, BWV 1054. Bach Collegium Japan Masato Suzuki (clavicembalo e direzione). Registrazione: 22-26 luglio 2019 presso la Yamaha Hall, Tokyo, Giappone. T. Time: 60′ 03″ 1CD BIS Records Bis-2481
Composti dopo il 1729, anno in cui Bach assunse la direzione del Collegium Musicum di Lipsia, i Concerti per clavicembalo e archi nacquero fondamentalmente come trascrizioni di cantate scritte in precedenza. Questi concerti, che ci sono stati tramandati da un manoscritto autografo conservato presso la Biblioteca di Stato di Berlino che ne contiene 7 oltre ad un frammento, consistente in 9 battute, di un ottavo concerto, costituiscono il programma di un doppio album dell’etichetta BIS Records nella quale è possibile ascoltare anche la ricostruzione dell’Ottavo concerto realizzata da Masato Suzuki, il quale, basandosi sul fatto che le battute del frammento erano quasi identiche a quelle iniziali della Sinfonia della Cantata N. 35 Geist und Seele wird verwirret, ha trascritto altri due altri movimenti, uno lento e uno veloce, della suddetta cantata mantenendo solo un oboe, al quale ha affidato una parte preponderante nel secondo movimento, dei tre presenti nella partitura originale. Autentici capolavori, questi lavori, che risentono dal punto di vista formale dei concerti vivaldiani, alcuni dei quali, peraltro, Bach trascrisse per clavicembalo solo, differiscono dalle cantate, di cui sono delle trascrizioni per il fatto che Bach adattò mirabilmente la parte vocale, soprattutto, a uno strumento come il clavicembalo, incapace di tenere a lungo il suono, per il quale è necessario operare delle diminuzioni ornamentali alle melodie che diventano, nei tempi lenti, in particolare, delle gemme del lirismo barocco. Di ottimo livello l’esecuzione da parte del Bach Collegium Japan diretto da Masato Suzuki il quale interpreta questi concerti anche da solista su un clavicembalo costruito nel 1987 da Willem Kroesbergen basandosi su un Couchet. Dotato di un’ottima tecnica che gli consente di superare con facilità le agilità di queste partiture, Masato Suzuki risulta particolarmente espressivo nei movimenti lenti dove trova anche un ottimo affiatamento con gli altri strumentisti soprattutto nei rubati. Del resto la performance è connotata tutta da un ottimo equilibrio tra il solista e l’ensemble d’archi, ai quali si aggiungono ora l’oboe ora i flauti (Concerto n. 6), che non lo sovrasta mai e che anzi lascia ad esso lo spazio che gli compete.
Ercolano, Parco Archeologico
ERCOLANO DIGITALE: L’Innovazione al Servizio della Storia
Al Parco Archeologico di Ercolano, il nuovo progetto digitale offre un’esperienza immersiva tra passato e futuro, con strumenti interattivi che arricchiscono la visita e la gestione del patrimonio archeologico.
Al Parco Archeologico di Ercolano mondo reale e mondo virtuale si fondono grazie a Ercolano Digitale: è online la nuova piattaforma costruita a partire dai dati scientifici, nata per gestire, condividere e promuovere lo straordinario patrimonio di culturale del sito archeologico di Ercolano. Con Ercolano Digitale, il Parco si è dotato di efficaci e innovativi “strumenti digitali” in grado non solo di assicurare il monitoraggio e la conservazione dei reperti e fornire uno straordinario supporto per orientare in modo strategico le attività di conservazione ma anche per promuovere e condividere la ricchezza del suo patrimonio archeologico attraverso nuove forme di fruizione sia online che direttamente nell’area archeologica. Il Parco mira così a instaurare e consolidare con i visitatori rapporti più durevoli e di beneficio reciproco – prima, durante e dopo la visita. La piattaforma consente di ottimizzare e migliorare tutti quei processi interni tipici di luogo della cultura, come quelli connessi alle attività di inventariazione, catalogazione e di conservazione, condividendo con le comunità scientifiche di riferimento e con il grande pubblico di tutto il mondo quel bagaglio unico di conoscenza e bellezza rappresentato dalla straordinaria collezione archeologica dei reperti ercolanesi, che restituiscono uno spaccato veramente unico della vita quotidiana dei Romani nel I secolo d.C. Sono stati catalogati oltre 10.000 reperti, tutti già consultabili, in open-data, nell’apposita sezione dell’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione. Attraverso lo studio dei Giornalie Diari di scavo risalenti all’epoca dei grandi scavi condotti daAmedeo Maiuri, è stato possibile individuare per oltre il 90% dei reperti il luogo in cui essi emersero nel corso delle indagini archeologiche nella prima metà del ‘900, ricollocandoli idealmente nel contesto di ritrovamento. Mettere a disposizione questi dati aprirà nuove chiavi di lettura della storia del sito e restituirà la naturale vocazione di Ercolano come vera e propria “città museo e laboratorio” a cielo aperto. Nuove ricostruzioni virtuali tridimensionali di interi contesti, oltre 1500 modelli digitali 3D, migliaia di immagini organizzate in gallerie tematiche e tour virtuali consentono oggi al visitatore di godere di una visita a 360° attraverso il nuovo sito web del Parco (https://ercolano.cultura.gov.it/). Il Web Day del 24 settembre fissa il momento a partire dal quale i visitatori potranno viaggiare virtualmente tra le strade dell’antica città, studiare ed osservare dal proprio computer le meraviglie ercolanesi. Inoltre i più giovani, ma non solo, potranno conoscere i personaggi che hanno reso Herculaneum, uno dei siti archeologici più importanti al mondo, attraverso un videogioco che li condurrà indietro nel tempo e a più di 25 metri sotto terra! “Amplifichiamo gli effetti della visita che diventa custom designed e smart – dichiara il Direttore Francesco Sirano – i visitatori e gli eternauti, grazie a un set di strumenti digitali interattivi, potranno personalizzare la loro visita partendo dal nuovo sito web ufficiale. L’obiettivo non è sostituire il mondo fisico, bensì andare verso approccio più immersivo attraverso il Web, per offrire all’esperienza di visita un mix di elementi digitali e oggetti reali. Diverse le opportunità di esplorazione del sito, con molteplici registri comunicativi e più livelli di approfondimento degli aspetti unici e caratterizzanti dell’antica Ercolano, che tengono conto delle fasce di età e di interesse, così come delle diverse abilità di chi visita il sito. Avviamo un percorso di rilascio progressivo di ulteriori contenuti che saranno via via disponibili in numerose lingue e in versione audio per i non vedenti, ampliando significativamente l’inclusività del percorso di visita. Oltre all’applicazione per disabili cognitivi “Avventura ad Ercolano”, già disponibile, ci aspettano ancora ulteriori ampliamenti nel prossimo futuro: si sta concludendo la fase di testing della nuova APP che sarà messa a disposizione gratuitamente per tutti i visitatori i quali potranno dialogare con la città antica attraverso una rete bluetooth fisica installata nel sito. Ciascuno potrà così costruire la sua propria personale esperienza in base ai suoi interessi o sfruttando gli itinerari tematici. E a breve renderemo disponibile il portale open data che completerà la condivisione di questa vera e propria rivoluzione che proietta Ercolano nel futuro. “Ercolano Digitale rappresenta un punto di svolta per il Parco di Ercolano – dichiara l’archeologo Simone Marino, funzionario responsabile del progetto – Uno sforzo corale senza precedenti di tutto il personale che ci ha consentito di portare a termine un progetto estremamente complesso nell’arco di meno di due anni con risultati straordinari. Più di 80 persone coinvolte tra personale interno e appaltatori, tra cui archeologi, restauratori, esperti di grafica 3D, fotografi, consegnatari, addetti alla vigilanza e all’accoglienza, e non da ultimo personale amministrativo. Ercolano Digitale non è soltanto una piattaforma ma un vero e proprio nuovo “strumento digitale”, fondamentale per la gestione di un sito complesso come quello di Ercolano”. Alla base dell’idea progettuale vi è la consolidata e pluriennale collaborazione istituzionale pubblico-privata con il Packard Humanities Institute, ente filantropico statunitense che da oltre vent’anni, attraverso l’Istituto Packard per i Beni Culturali, sostiene le attività dell’Herculaneum Conservation Project. “Si tratta del coronamento di oltre 20 anni di attività ad Ercolano – dichiara Ascanio D’Andrea, data-manager dell’Herculaneum Conservation Project e progettista di Ercolano digitale – che vede la luce a valle di una intensa e continua collaborazione multidisciplinare tra il partner pubblico e quello privato per la cura del sito. Restituire in forma organizzata, accessibile e secondo i più moderni standard di digitalizzazione l’immenso patrimonio ercolanese ci permette di guardare al futuro con maggiore serenità ed in maniera più consapevole. Sono in fase di ottimizzazione i protocolli di interoperabilità per la condivisione dei dati raw che consentiranno, nelle prossime settimane, di rendere accessibile, attraverso un portale open-data dedicato, migliaia di informazioni inedite sulla storia e le attività di questo straordinario sito archeologico che è Ercolano.” Il progetto multidisciplinare è stato realizzato con fondi PON Cultura e Sviluppo FESR 2014-2020.
Roma, Sala Umberto
dal 27 Settembre al 29 Settembre 2024
INIMITABILI:MAZZINI – D’ANNUNZIO – MARINETTI
drammaturgia Angelo Crespi
musiche originali Sergio Colicchio
tratto dall’omonimo programma di Rai Cultura
produzione Teatro della Toscana • Società per Attori s.r.l. • RG Produzioni
Regia di Edoardo Sylos Labini
Tre italiani inimitabili, le loro vite straordinarie, i loro pensieri, le loro azioni. Tutto questo racconta il nuovo spettacolo di Edoardo Sylos Labini (drammaturgia di Angelo Crespi), uno spettacolo unico, ma diviso in tre capitoli che saranno messi in scena singolarmente in tre giorni diversi. Sylos Labini accompagnato in scena dalle musiche originali del maestro Sergio Colicchio e da video e immagini di repertorio farà viaggiare gli spettatori dentro la vita di questi uomini coraggiosi e controcorrente che hanno contributo a costruire l’immaginario culturale del nostro Paese. Lo spettacolo Gli Inimitabili prende spunto da una trasmissione televisiva di Rai3, in onda da marzo 2024, in cui Edoardo Sylos Labini porta in video le vite di Mazzini, d’Annunzio e Marinetti. Un esperimento nuovo — in termini contemporanei si definirebbe crossmediale — in cui la scrittura televisiva diventa la sinopia di un testo teatrale che, a sua volta, non ha paura, sostenuto da un complesso gioco drammaturgico, di perlustrare le frontiere e le potenzialità narrative del video. Su tutto aleggia la parola e il desiderio di parola, che accomuna, pur nelle diversità, l’opera dei tre protagonisti.
Venerdì 27 Settembre GIUSEPPE MAZZINI -> Acquista i biglietti
Sabato 28 Settembre GABRIELE D’ANNUNZIO -> Acquista i biglietti
Domenica 29 Settembre FILIPPO TOMMASO MARINETTI -> Acquista i biglietti
Roma, Museo Storico della Fanteria
ANTONIO LIGABUE. I MISTERI DI UNA MENTE.
Al Museo Storico della Fanteria, l’arte del pittore e scultore interprete del lato oscuro della psiche umana nella mostra “Antonio Ligabue ‒ I misteri di una mente”
L’autunno 2024 segna il grande ritorno dell’arte di Antonio Ligabue a Roma, città che, nel 1961, gli tributò la prima importante personale che lo consacrò tra i più importanti artisti italiani del XX secolo. Dal 28 settembre, al Museo Storico della Fanteria, la mostra Antonio Ligabue ‒ I misteri di una mente prodotta da Navigare srl con il patrocinio di Regione Lazio e Città di Roma, celebrerà l’arte del pittore e scultore nativo di Zurigo, con oltre 60 opere provenienti da collezioni private italiane in un progetto espositivo curato da Micol Di Veroli, Dominique Lora e Vittoria Mainoldi. La mostra racconta il percorso artistico di Antonio Ligabue attraverso 64 opere tra sculture, dipinti a olio, disegni e puntesecche, con l’obiettivo di offrire una nuova lettura del suo lavoro, che lo affranchi dall’abusata etichetta di artista Naïf, per analizzare la sua produzione alla luce del dato biografico di una personalità complessa, originale e geniale, e mostrare a pieno l’unicum che Ligabue rappresenta nella storia dell’arte. Con un percorso cronologico e un allestimento composto da 5 aree: Animali da cortile, Animali selvaggi, Cani, Animali da bosco, e Autoritratti, fiori e campagne, la mostra dà la possibilità di analizzare il lavoro dell’artista nella sua evoluzione, attraversata dalla ricerca e dalla continua tensione sperimentatrice, accompagnate da una singolare intensità emotiva, riflesso della sua lotta personale per la sopravvivenza e la comprensione del mondo che lo circonda. La mostra è una iniziativa di Difesa Servizi SpA, realizzata in coproduzione con Diffusione Cultura Srl. Partner del progetto: AICS – Associazione Italiana Cultura e Sport di Roma. Produzione: Navigare Srl
Roma, Palazzo Massimo, Palazzo Altemps, Castel Sant’Angelo
ROMA FOTOGRAFIA FUTURE
Dal 30 settembre al 30 novembre 2023, ROMA FOTOGRAFIA – FUTURE sarà il fulcro di una rassegna dedicata all’immagine, aprendo le porte a eventi accessibili a tutti. Il mondo visivo, nelle sue molteplici forme, diventerà il protagonista indiscusso della manifestazione, guidando i visitatori attraverso suggestive installazioni multimediali. Grazie all’uso di schermi LED Panel, questi contenuti prenderanno vita nei luoghi più emblematici della Capitale: dal Museo Nazionale Romano, con le sedi di Palazzo Massimo e Palazzo Altemps, fino all’iconico Castel Sant’Angelo. ROMA FOTOGRAFIA 2023 – FUTURE trasforma Roma in un vasto palcoscenico urbano, offrendo un’occasione unica per esplorare, attraverso il potente linguaggio della fotografia e dei visual, temi centrali legati agli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’Agenda 2030. Concetti fondamentali come Ambiente, Innovazione, Inclusione, Sostenibilità e Rigenerazione culturale saranno al centro dell’attenzione, proponendo una riflessione profonda e visivamente coinvolgente. L’iniziativa è promossa da Roma Fotografia in collaborazione con il Ministero della Cultura, e co-progettata insieme al Municipio I Roma Centro, con il patrocinio della Regione Lazio. A sostenere l’evento ci sono prestigiosi partner come il Museo Nazionale di Castel Sant’Angelo, il Museo Nazionale Romano, Leica Camera Italia, il Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), Aeroporti di Roma e Building Communication. Per maggiori dettagli e per consultare il programma completo, è possibile visitare il sito ufficiale della manifestazione all’indirizzo roma-fotografia.it.
Roma, Teatro Vascello
DE PROFUNDIS
Di Oscar Wilde
traduzione di Camilla Salvago Raggi
versione teatrale di Glauco Mauri
voce del prologo Marco Blanchi
Con Glauco Mauri
musiche Vanja Sturno
luci Alberto Biondi
allestimento scenico Laura Giannisi
produzione Compagnia Mauri Sturno
Il “De Profundis” è una lunga lettera dedicata al suo giovane amico Alfred Douglas con il quale ebbe per qualche anno un’intima relazione. Ma in due anni di carcere Alfred non gli scrisse mai una sola riga. Verso la fine della sua condanna Oscar Wilde ebbe il permesso di scrivere una lettera. Al mattino gli veniva consegnato un foglio e alla sera quel foglio gli veniva ripreso riempito dalle parole di solitudine, di angoscia ma anche dalla speranza che la maturazione del dolore può dare ad un’anima disperata. Solo alla fine della prigionia gli furono consegnati tutti i fogli da lui scritti. È una lettera di dura verità e di dolcissimo dolore. Poesia, poesia di vita vera, tra le più vere che ho avuto la gioia di incontrare nei miei lunghi anni. Spero sia così anche per voi. È uno spettacolo particolare dove so di correre dei rischi, lo so e di questo ne sono entusiasta perché umilmente convinto di proporre al teatro qualcosa di nuovo. Glauco Mauri
Glauco Mauri, uno dei più grandi artisti teatrali italiani, porta in scena “De Profundis” di Oscar Wilde, sua la versione teatrale della lunga lettera, quasi una autobiografia, che Wilde con la sua arte arguta e intelligente ha trasformato in una parabola universale della sofferenza, del valore dell’arte e dell’amore. Mauri con il suo lavoro di elaborazione ha mirato innanzi tutto a eliminare le parti troppo letterarie, le non poche imperfezioni (dovute alle pesanti restrizioni carcerarie), le omissioni e gli spazi temporali non rispettati nell’epistola, per renderla “scenicamente più efficace”. Non un romanzo, ma una lunghissima lettera indirizzata al giovane Bosie (Alfred Douglas) che Wilde scrisse durante gli ultimi mesi della prigionia nel carcere di Reading. Con l’arrivo del nuovo direttore, più sensibile nei suoi riguardi, gli fu concesso l’uso di carta e penna, severamente proibito dal durissimo regime carcerario a cui erano sottoposti gli omosessuali. Tuttavia Wilde poté leggere per intero quanto aveva scritto solo all’uscita dal carcere, quando gli furono consegnati tutti i fogli. Nel 1895 Oscar Wilde, notissimo scrittore e commediografo all’apice del successo (tre sue commedie erano contemporaneamente rappresentate nei teatri londinesi) fu condannato a due anni di lavori forzati, il massimo della pena per i reati legati all’omosessualità. Al carcere duro, che minò fortemente il suo fisico, si unirono la bancarotta finanziaria (i suoi libri non si vendettero più e le commedie ritirate dei cartelloni), la perdita dei due figli, che non rivide mai più, e la sua casa e i suoi beni sequestrati. Oscar Wilde che aveva incantato i salotti letterari e mondani di Londra e Parigi fu messo al bando e sarebbe morto in miseria tre anni dopo l’uscita dal carcere, lontano dall’Inghilterra. Qui per tutte le informazioni.
Roma, Parco Archeologico del Colosseo
PENELOPE: Astuzia e Resilienza Femminile in Mostra al Parco Archeologico del Colosseo
Un percorso immersivo tra mito, arte e psicoanalisi che esplora la figura della regina di Itaca, attraverso oltre cinquanta opere e un allestimento che celebra il potere simbolico della tessitura e la profondità del sogno.
Roma, 19 Settembre 2024
Inaugurata il 19 settembre 2024, la mostra “Penelope” presso il Parco Archeologico del Colosseo rappresenta una straordinaria occasione per esplorare la figura mitologica di Penelope, uno dei personaggi più complessi e affascinanti dell’Odissea. Curata da Alessandra Sarchi e Claudio Franzoni, e organizzata da Electa, l’esposizione si sviluppa negli spazi storici delle Uccelliere Farnesiane e del Tempio di Romolo, aperta al pubblico fino al 12 gennaio 2025. Attraverso oltre cinquanta opere, tra dipinti, sculture, rilievi e manoscritti, la mostra getta nuova luce sul mito di Penelope e sulla sua evoluzione nelle arti e nella letteratura, attraversando i secoli fino a oggi. L’allestimento della mostra è stato progettato per immergere il visitatore in un viaggio tra mito e realtà, ricreando le atmosfere di attesa e malinconia che caratterizzano il personaggio di Penelope. Le scelte curatoriali hanno puntato su una narrazione visiva intima e contemplativa: l’uso sapiente delle luci soffuse, in particolare, evoca l’ambiente domestico e segreto in cui Penelope tesseva e disfaceva la sua tela, creando un’aura di sospensione temporale. L’illuminazione fioca e direzionale su alcune opere chiave, come lo skyphos etrusco del Museo Nazionale di Chiusi e la lastra “Campana” del Museo Nazionale Romano, fa emergere dettagli della sua iconografia, come la postura malinconica e il telaio, che simboleggia la sua astuzia e resistenza. Il visitatore è accompagnato lungo un percorso fatto di ombre e chiaroscuri, in cui le luci sembrano voler sottolineare i momenti di riflessione e attesa che definiscono la figura di Penelope. Le opere esposte riflettono la fortuna iconografica e letteraria di Penelope: accanto a manufatti archeologici, trovano spazio dipinti rinascimentali e incisioni moderne, che ritraggono Penelope con le sue caratteristiche pose di malinconia e saggezza. Uno dei temi centrali della mostra è il telaio, simbolo del suo ingegno e della sua capacità di tenere sotto controllo il proprio destino in un mondo governato da forze maschili. La scelta di curatela ha voluto enfatizzare questo strumento come un ponte tra il mito e la condizione femminile attraverso i secoli: non più solo un oggetto di lavoro, ma una metafora del potere creativo e intellettuale di Penelope. Un altro punto focale dell’esposizione è il rapporto tra Penelope e il sogno. Nel XIX canto dell’Odissea, Penelope discute la differenza tra sogni veritieri e ingannevoli, quelli che escono dalle porte di corno e di avorio, un concetto che ha avuto grande influenza nella tradizione psicoanalitica, a partire dagli studi di Sigmund Freud. Freud vedeva in Penelope non solo un simbolo di fedeltà, ma anche un’archetipo di astuzia psicologica, capace di muoversi tra realtà e illusione con una padronanza rara. Questo aspetto viene rappresentato in mostra attraverso opere che ritraggono Penelope addormentata o nell’atto di svegliarsi, suggerendo l’importanza del sogno come elemento chiave per la sua interpretazione. Un omaggio speciale viene dedicato a Maria Lai, l’artista sarda che ha posto al centro della sua ricerca creativa il tema della tessitura. Le sue opere esposte nella mostra, in collaborazione con l’Archivio e la Fondazione Maria Lai, dialogano direttamente con il mito di Penelope, offrendo una riflessione contemporanea sul significato del tessere come atto di creazione, memoria e resistenza. Lai, conosciuta per installazioni come Legarsi alla montagna (1981), ha esplorato il rapporto tra l’individuo e la comunità, tra il gesto creativo e il legame con la terra e la cultura. La sua interpretazione della tessitura come strumento di narrazione la collega indissolubilmente alla figura di Penelope, trasformando il telaio in un simbolo di emancipazione femminile. L’allestimento si arricchisce anche di materiali tattili e tessili, con tessuti che evocano la trama di una tela in continuo divenire, una metafora del tempo che Penelope manipola con il suo astuto stratagemma. L’uso di superfici morbide e filamenti di tessuto che attraversano gli spazi espositivi fa emergere la dimensione materica e simbolica del telaio, richiamando l’idea di creazione e distruzione ciclica che tanto caratterizza la figura di Penelope. Ogni dettaglio dell’allestimento è pensato per evocare la dimensione domestica e onirica in cui Penelope vive e agisce, con una cura particolare per gli elementi tattili e sensoriali, che rendono il percorso espositivo una vera e propria immersione nel mito. Questa mostra, che inaugura una trilogia espositiva dedicata alle grandi figure femminili dell’antichità (seguiranno Antigone e Saffo), offre una riflessione profonda e ricca di sfumature su un mito che continua a parlare al presente. Penelope, con la sua determinazione e astuzia, rappresenta un modello di resilienza femminile, capace di attraversare i secoli e di porre interrogativi ancora attuali sul ruolo e la condizione delle donne nella società. ph Studio Zabalik
Le Cantate relative alla diciassettesima Domenica dopo la Trinità, sono tre, la seconda delle quali in ordine cronologico è Bringet dem Herrn Ehre seines Namens BWV 148 eseguita la prima volta a Lipsia il 19 settembre 1723. La Cantata è costruita su un testo poetico di 6 strofe dovuto a Christian Friedrich Henrici (Picander), con l’aggiunta di un versetto biblico all’inizio e di un Corale alla fine. Il versetto biblico è tratto dal Salmi 28: “Date al Signore la gloria del suo nome, prostratevi al Signore in santi ornamenti.” la trasposizione musicale che Bach dall’alto della sua rigorosa architettura, ci presenta la voce tonante di Dio attraverso una tromba solista svettante sugli archi e che impone la sua presenza anche all’interno del tessuto contrappuntistico al punto di figurare come un vero elemento dominante nella “fuga” Corale. Preparato da una introduzione strumentale il Coro intona due volte omofonicamente il primo emistichio per poi aprirsi in due esposizioni in stile di fuga, ciascuna delle quali riservata alle due sezioni del versetto salmistico. Il materiale per questo duplice sviluppo polifonico è già interamente presente nell’introduzione e questo risulterà ripreso con l’inserimento massiccio del coro che rileva ciò che era affidato agli strumenti nella parte conclusiva. Delle due arie tripartite, la prima (Nr.2) cantata dal tenore, vede la presenza di un violino concertante con il solo Basso Continuo, mentre la seconda (Nr.4) affidata al contralto è un mirabile quadro dall’atmosfera bucolica con la partecipazione di tre oboi.
Nr.1 – Coro
Date al Signore la gloria del suo nome,
prostratevi al Signore in santi ornamenti.
Nr. 2 – Aria (Tenore)
Mi affretto ad ascoltare
l’insegnamento di vita
e cerco con gioia la santa casa.
Con che bellezza risuonano
i felici canti
dei beati a lode dell’Altissimo!
Nr.3 – Recitativo (Contralto)
Come la cerva anela all’acqua fresca,
così io anelo a te, o Dio.
Poiché tutta la mia pace
è nulla senza te.
Quanto benedetta e preziosa,
o Altissimo, è la tua festa del Sabbat!
Allora loderò la tua potenza
in compagnia dei giusti.
Oh! Se i figli di questa notte
pensassero a tale tenerezza,
poiché Dio stesso dimora in me.
Nr. 4 – Aria (Contralto)
Bocca e cuore restano aperti per te,
Altissimo, discendi dentro di me!
Io in te, tu in me;
fede, amore, pazienza, speranza
saranno il letto del mio riposo.
Nr.5 – Recitativo (Tenore)
Mio Dio, resta in me
e donami il tuo Spirito
che mi guidi secondo la tua parola,
affinchè io segua come in pellegrinaggio
ciò che è a te gradito
e dopo la mia ora,
nella tua gloria,
mio caro Dio, con te
io possa meritare il grande Sabbat.
Nr.6 – Corale
Nel mio caro Dio
io credo nella paura e nel bisogno;
egli può liberarmi in ogni istante
dal dolore, dalla paura e dalle pene;
egli può cambiare la mia sventura,
tutto è nelle sue mani.
Traduzione Emanuele Antonacci
Roma, RomaEuropa Festival 2024
SASHA WALTZ & GUESTS – LUDWIG VAN BEETHOVEN – DIEGO NOGUERA
Beethoven 7
Coreografia Sasha Waltz
Musica Ludwig van Beethoven, Diego Noguera (Live)
Costume Design Bernd Skodzig, Federico Polucci
Light Design Martin Hauk, Jörg Bittner
Drammaturgia Jochen Sandig, Christopher Drum
Ripetitore Jirí Bartovanec
Assistenza Regia e Produzione Steffen Döring
Interpreti Rosa Dicuonzo, Edivaldo Ernesto, Yuya Fujinami, Tian Gao, Eva Georgitsopoulou, Hwanhee Hwang, Sara Koluchová, Annapaola Leso, Jaan Männima, Sean Nederlof, Virgis Puodziunas, Sasa Queliz, Zaratiana Randrianantenaina, Orlando Rodrigue
Prima Nazionale, Coproduzione REF
Roma, Auditorium Conciliazione, 13 settembre 2024
La ricordiamo costantemente al RomaEuropa Festival la coreografa tedesca di fama internazionale Sasha Waltz. Con Kreatur nel 2017 aveva contribuito a conferire una suggestiva visionarietà al festival, grazie anche al lavoro congiunto con la fashion designer Iris Van Herpen, il light designer Urs Schönebaum e il gruppo musicale newyorkese Soundwalk Collective. L’anno prima al Teatro dell’Opera di Roma aveva ambientato il racconto mitologico su Didone ed Enea in una spettacolare vasca piena d’acqua. Quattro anni fa aveva aperto la trentacinquesima edizione del festival con uno stupefacente adattamento de Le sacre du printemps di Stravinskij nella cavea dell’Auditorium Parco della Musica, riportando la speranza in uno dei momenti di tregua della paralizzante pandemia. Dopo l’assenza dello scorso anno, adesso Sasha Waltz è tornata a RomaEuropa Festival con lo spettacolo Beethoven 7. Il suo sguardo è qui rivolto sulla musica classica di Ludwig van Beethoven in uno speciale dialogo con le sonorità elettroniche del compositore berlinese di origine cilena Diego Noguera. Oggetto di particolare riflessione diviene la Sinfonia n. 7 in La maggiore op. 92 con la sua incandescenza e audacia ritmico-sonora, non a caso definita da Wagner stesso una “danza delle sfere a misura d’uomo”. Già nel 2021 la coreografa aveva realizzato sul secondo e quarto movimento della stessa sinfonia un allestimento site-specific per il tempio di Delfi in Grecia. Ora la musica è ripresa nella sua totalità in risposta ad interrogativi su libertà individuale e restrizioni sociali. Non del tutto evidente il rapporto con i suoni esplosivi della musica elettronica di Noguera dal titolo Freiheit/Extasis presentata nella prima parte della serata come una sorta di quinto movimento dello spettacolo. Al compositore è stato chiesto di portare la musica di Beethoven nella contemporaneità. E lui vi ha avvertito un “caos opprimente”. In concreto, la musica si combina con un’atmosfera rarefatta, creata dalla conturbante penetrazione delle luci di Martin Hauk e Jörg Bittner all’interno di una fitta nebbia di fumo. I danzatori hanno i volti ricoperti da sofisticate maschere disegnate da Federico Polucci, che li fanno apparire quasi degli autonomi. I movimenti prendono vita nei loro corpi, senza quasi dipendere da una loro specifica volontà. È una forza interiore a muoverli, che si intensifica grazie alle dinamiche di gruppo, ricordando a volte sentimenti di rivolta e ribellione. Un contrasto interiore non meglio specificato. Al confronto la musica di Beethoven mostra la sua intrinseca poderosità che si esplica in una struttura di ben più chiara limpidezza. Ciò si riflette innanzitutto nei costumi dei danzatori che con le loro fogge di morbide tuniche ed il loro iniziale candore ci riportano ad un’atmosfera classica, cosa che già all’estero ha portato la critica a citare il riferimento all’arte di Isadora Duncan. Una Duncan che a noi però ricorda più che altro le tournée in Russia e i rimandi all’Internazionale. Il tema della libertà affrontato dalla Waltz è evocato infatti visivamente dall’imponente sventolare di una bandiera. Ogni movimento della sinfonia è associato a diversi colori e a differenti drammaturgie corporee, ma nel complesso attraverso il linguaggio della coreografia contemporanea a emergere è soprattutto l’impressione della robustezza musicale, di cui la coreografa cerca di restituire la straordinaria ricchezza ritmica e il complicato ordito strutturale attraverso i passi e la composizione dei gruppi di danzatori sulla scena, senza aspirare a criteri di rigorosa oggettività o scientificità. La musica non avrebbe del resto bisogno di accompagnamento, ed in confronto ad alti lavori della Waltz la tessitura coreografica sembra dirigersi verso un rinnovamento all’insegna della semplificazione. In ultima analisi, tuttavia, come specifico della Waltz – la cui arte è stata definita una sintesi peculiare del Tanztheater tedesco e della New Dance americana, che fonde la teatralità ad una ricerca astratta sul movimento – ad emergere è il vigore della corporeità, riesplorato grazie al rischiarante genio beethoveniano. Una narrazione che si dimentica di essere tale, per esaltare la fisicità musicale dei movimenti. Foto Sebasti
Venezia, Teatro La Fenice, Lirica e Balletto, Stagione 2023-2024
“LA FABBRICA ILLUMINATA”
Per voce recitante e nastro magnetico
Libretto di Giuliano Scabia e Cesare Pavese
Musica di Luigi Nono
Soprano SARAH MARIA SUN
“ERWARTUNG” (Attesa)
Monodramma in un atto e quattro scene op.17
Libretto di Marie Pappenheim
Musica di Arnold Schönberg
La donna HEIDI MELTON
Orchestra del Teatro La Fenice
Direttore Jérémie Rhorer
Regia Daniele Abbado
Scene e light designer Angelo Linzalata
Costumi Giada Masi
Movimenti coreografici Riccardo Micheletti
Regia del suono (La fabbrica illuminata) Alvise Vidolin
Nuovo allestimento Fondazzione Teatro La Fenice
Venezia, 15 settembre 2024
A cent’anni dalla nascita di Luigi Nono e a centocinquant’anni da quella di Arnold Schönberg, la Fenice propone il dittico La fabbrica illumitata-Ervartung, due lavori cronologicamente distanti, ma entrambi legati all’espressionismo e alla sua visione della realtà come incubo. Preceduta da Intolleranza 1960, La fabbrica illuminata è l’esito della riflessione da parte di Luigi Nono sulla possibilità di rinnovare il teatro musicale. Fondamentale fu l’incontro con il poeta Giuliano Scabia, con cui Nono, nell’aprile del ’64, iniziò la composizione di Un diario italiano, un articolato lavoro che, utilizzando nuove potenzialità della scena, avrebbe messo a nudo la dura realtà di quegli anni; un progetto ben presto accantonato. Intanto Nono accetta la proposta pervenutagli dalla RAI di comporre un pezzo per il Prix Italia, che avrebbe avuto come location Genova: era l’occasione di entrare negli stabilimenti di Cornigliano. Qui vennero registrati i suoni della fabbrica e le voci degli operai, raccogliendo anche una quantità di pubblicazioni riguardanti la pericolosità delle lavorazioni e le conseguenti lotte operaie.
La fabbrica illuminata prende spunto da un frammento di Un diario italiano dal titolo Sogno incubo cinque donne, trasfigurazione onirica delle angosce di un’operaia. In vista di questa nuova pièce per la scena, Nono sceglie come“voce femminile” Carla Henius, già protagonista di Intolleranza 1960, con cui inaugura un nuovo metodo di lavoro, basato sull’invenzione estemporanea dell’interprete, che viene fissata su nastro magnetico a quattro piste. Sul palcoscenico, all’esecuzione dal vivo della cantante, si accompagna il materiale registrato: la voce femminile, materiali sonori raccolti in fabbrica, interventi del Coro della RAI di Milano. Da notare che la voce femminile viene scomposta – anche nello spazio – moltiplicando per cinque la protagonista. Rifiutata dalla RAI, La fabbrica illuminata non fu presentata, come previsto, a Genova, il 12 settembre 1964, ma tre giorni dopo, in forma di concerto sotto la direzione di Bruno Maderna alla Fenice, che dopo sessant’anni la mette in scena. Del lavoro di Nono il regista, Daniele Abbado, sottolinea gli aspetti innovativi, tra cui l’uso coraggioso, per l’epoca, della tecnologia. Rispettando la volontà degli autori, la sua messinscena rifugge da ogni tentazione mimetica, presentando la realtà della fabbrica come metonimia della condizione esistenziale dell’uomo. Così il palcoscenico è libero da qualsiasi elemento scenografico o realistico, mostrando solo una sorta di vela sul fondo – che raccoglie del materiale combusto e come una clessidra determina lo scorrere del tempo – , nonché qualche panca, elementi cui si aggiunge la proiezione di immagini dello stabilimento di Cornigliano, realizzate a suo tempo da Lisetta Carmi. Oltre alla protagonista, è presente sulla scena un gruppo di persone, a simboleggiare il popolo della fabbrica. Alcuni di loro si spogliano mostrando dei corpi emaciati. Efficace il contrasto, voluto da Giada Masi, tra l’abito da sera della cantante e i dimessi costumi degli altri. Lenti ed essenziali i movimenti scenici ideati da Riccardo Micheletti. Suggestivo il disegno delle luci – cupe, ad evocare l’atmosfera satura di polvere della fabbrica – ideato da Angelo Linzalata, responsabile anche delle scene. Impeccabile quanto a dizione ed espressività Sarah Maria Sun come voce dal vivo, capace di interagire – dimostrando equilibrio e musicalità – con le storiche registrazioni. Determinante l’apporto dell’esperto Alvise Vidolin. Quanto a Erwartung, Daniele Abbado – in linea con la scelta, operata da Fortunato Ortombina, di invertire la successione cronologica dei due titoli – svincola il monodramma schönberghiano dal suo contesto storico di riferimento e quindi da uno stretto legame con gli studi sull’isteria di Freud e Breuer, che ne farebbe il racconto di un caso clinico. Il regista gli assegna invece una valenza universale. Il palcoscenico suggerisce attraverso scarni elementi visivi una realtà minacciosa: il bosco, la strada, i corpi senza vita disseminati qua e là. Una realtà, che inqieta sempre più la donna nella sua spasmodica ricerca dell’amante, di cui poi trova il cadavere, replicato nei corpi giacenti sulla scena. Intanto si abbandona al suo delirante monologo. Come già sottolineato, Abbado rivisitando Erwartung, ci consegna un messaggio più attuale, cogliendovi il disorientamento dell’uomo contemporaneo. Se è leggendaria la rapidità con cui Schönberg compose la pièce (pare in soli 17 giorni), è altrettanto noto che l’autore volle tagliare dal testo di Marie Pappenheim la descrizione dettagliata dell’omicidio, per concentrarsi su una tematica più piùgenerale, quale la condizione dell’uomo contemporaneo costretto a vivere isolato, in una realtà che gli risulta estranea e determina in lui uno stato di sofferenza anche psichica. Il che avvalora pienamente la concezione del regista milanese. Autorevole Heidi Melton – che nel suo lungo monologo ha sfoggiato un’ampia gamma dinamica ed espressiva –, adeguatamente supportatta da Jérémie Rhorer, che saputo valorizzare appieno la prodigiosa orchestrazione di Schönberg, basata su pesi e forze variabili dell’orchestra, che passa da “post-wagneriane” esplosioni di suono a passaggi rarefatti, aderendo ai diversi stati psichici della protagonista. Successo caloroso per entrabi i pannelli del dittico.
Arnold Schönberg (Vienna 13 settembre 1874 – Los Angeles 13 luglio 1951)
Nel centenario della nascita
Opera in tre atti, incompiuta, Moses und Aron segnò una tappa importante nel cammino musicale e spirituale di Schönberg il quale, nel 1933, ritornò alla religione ebraica. Secondo una testimonianza del compositore, il primo progetto del Moses und Aron risale al 1923, anno in cui egli concepì il dramma in prosa Der bibliche Weg (La via della Bibbia), del quale protagonista è Max Aruns, ma fu soltanto nel 1926 che Schönberg iniziò la stesura del testo, musicato, limitatamente al primo e al secondo atto, nel biennio 1930-1932.
Dal punto di vista musicale l’opera è interamente costruita su un’unica serie di difficile identificazione, almeno nelle misure iniziali, al punto tale che il musicologo tedesco Karl Heinrich Wörner, nel suo saggio Gotteswort und Magie: die Oper Moses und Aron von Arnold Schönberg (Parola divina e magia: l’opera Mosè e Aronne di Arnold Schönberg), ha ritenuto che Schönberg non abbia tratto i temi da un’unica serie, ma la serie dai temi. Tutta l’opera è, infatti, originata dai due accordi iniziali, formati dai primi tre e dagli ultimi tre suoni della serie e affidati a sei voci soliste che intonano la vocale o, quasi ad esprimere, come ha notato Wörrner, la vera essenza di Dio che si presenta dicendo «Io sono il primo e Io l’ultimo» (Isaia 44, 6).
La prima scena dell’opera, il cui argomento è tratto dal secondo e dal quarto libro del Pentateuco, l’Esodo e i Numeri, si apre con Mosè che prega davanti al Roveto ardente. Dio ordina a Mosè di liberare il popolo di Israele dalla schiavitù del Faraone e, alla sua risposta la mia lingua è tarda: / io posso pensare / ma non parlare, lo esorta ad andare nel deserto dove avrebbe incontrato il fratello Aronne che gli avrebbe prestato la sua parola. L’incontro tra Mosè e Aronne il quale, nell’apprendere che deve parlare al popolo di un Dio invisibile e non raffigurabile, , dopo aver manifestato qualche perplessità, crede nell’onnipotenza del Dio che si è manifestato a Mosè e, quindi, nella sua capacità di liberare il popolo di Israele dalla schiavitù del Faraone. Nella scena terza il popolo, in attesa di Aronne direttosi nel deserto, manifesta tutti i suoi dubbi e le sue ansie cercando di dare forma alla natura di Dio. Una Ragazza, infatti, crede che Dio sia un bel giovane come Aronne, mentre un Giovane intuisce la natura spirituale e invisibile di Dio, mentre un Uomo, infine, spera che questo Dio possa salvarli dalla schiavitù del Faraone e diventare l’Unico Dio di Israele. Finalmente, nella quarta scena, Mosè e Aronne fanno ritorno in mezzo al loro popolo che, inizialmente, non crede, anzi, deride Aronne, per ricredersi solo dopo aver assistito ai prodigi compiuti da Mosè che trasforma il suo bastone in serpente e guarisce la sua mano dalla lebbra. Nell’atto secondo ambientato nel deserto ai piedi del monte Sinai, sul quale il Profeta sale per ricevere da Dio i comandamenti, il popolo si mostra sfiduciato perché crede che Mosè sia morto, folgorato da Dio per esserglisi avvicinato troppo, e chiede ad Aronne di ripristinare i vecchi dei. Alla fine Aronne cede e fa costruire un vitello d’oro.
Il testo, con alcune modifiche, è tratto da Riccardo Viagrande, L’opera nl 900′. Trame, successi e fiaschi in Italia, Europa e Stati Uniti, Monza, Casa Musicale Eco, 2020, pp. 318-320.
Roma, Domus Aurea
MOISAI 2024. Voci contemporanee in Domus Aurea
Terza edizione
27 settembre | 13 ottobre 2024
Nove visite guidate che culminano nella Sala Ottagona nell’esperienza dell’arte performativa nel segno del contemporaneo
Protagonisti: Laura Morante, Davide Alogna, Luca Provenzani, Peppe Servillo e Cristiano Califano, Concita De Gregorio ed Erica Mou, Michela Cescon, Tullio Visioli, Livia Cangialosi / Teatro Di Dioniso Fabio Stassi, Franco Piana, Rodrigo D’Erasmo e Nicola Galli, Giulia Spattini e Paolo Rosini / Balletto Civile, Giovanni Calcagno, Puccio Castrogiovanni, Marco Di Dato e Vanessa Lisi Giulia Dall’Ongaro ed Enrico Deotti / Teatrino Giullare
μαντέυεο, Μοῖσα, προφατέυσω δ´ἐγώ
Dai il tuo oracolo o Musa, e io sarò il tuo portavoce. (Pindaro, fr. 150 S.-M.)
Tutto pronto per la terza edizione di quello che è diventato uno degli appuntamenti imperdibili della Capitale: Moisai – Voci contemporanee in Domus Aurea. Un’occasione suggestiva e unica per immergersi nei luoghi della residenza imperiale che meglio riflettono uno degli aspetti più noti della figura di Nerone, ma raramente indagato: il suo amore per l’Arte. Partendo dal ciclo statuario delle Muse, realizzato per l’imperatore e conservato, in frammenti, all’interno della Domus, una visita guidata culmina nell’esperienza dell’arte performativa. Nove visite guidate e nove spettacoli, coniugati in tutte le sue diverse sfumature, nel segno del contemporaneo. L’evento, promosso e organizzato dal Parco archeologico del Colosseo con la direzione artistica a cura di PAV, è articolato in nove incontri – dal 27 settembre al 13 ottobre 2024, per tre weekend, dal venerdì alla domenica – ognuno dedicato ad una delle nove Muse del mito. In ognuna delle serate, un nuovo artista libererà il canto di una Musa diversa, facendosi suo portavoce contemporaneo in un gesto antichissimo, sciolto e compiuto negli ambienti della Sala Ottagona, straordinaria macchina scenica creata dagli architetti Severo e Celere per volere del progetto visionario di Nerone. Le visite guidate all’interno della Domus saranno seguite da serate evento per un totale di nove appuntamenti. Le visite saranno accompagnate da un percorso sonoro immersivo, appositamente ideato per l’evento. Dagli angoli silenziosi della Domus riecheggeranno suoni e voci di lingue antiche e moderne, dove i nomi delle nove muse emergono come frammenti ancestrali di un discorso poetico senza tempo. Si parte il 27 settembre con “E d’ogni male mi guarisce un bel verso (Farei parlando innamorar la gente). Breve discorso su Dante, la poesia, il dolore e la vulnerabilità”, di e con Fabio Stassi, accompagnato dal musicista Franco Piana. Il 28 settembre sarà la volta di “Lettera a una ragazza del futuro”, autrice e voce narrante Concita De Gregorio, canzoni, voce e chitarra Erica Mou. Si prosegue il 29 settembre con “Sconfinamenti. Dialogo tra danza e musica”, di e con Nicola Galli e Rodrigo D’Erasmo. Il secondo week end vede in scena – il 4 ottobre – “Elizabeth – Sorry for what?”, ideazione e regia Giulia Spattini, danzato e creato da Paolo Rosini e Giulia Spattini. Il 5 ottobre appuntamento con “Lavinia fuggita” di Teatro di Dioniso con Michela Cescon, Tullio Visioli, Livia Cangialosi. Domenica 6 ottobre, andrà in scena “Polifemo innamorato”, di e con Giovanni Calcagno, musiche eseguite dal vivo da Puccio Castrogiovanni e danza di Marco Di Dato e Vanessa Lisi. L’ultimo week end – venerdì 11 ottobre – “DRONE TRAGICO – un volo sull’Orestea” sarà lo spettacolo di Teatrino Giullare, creato, interpretato e diretto da Giulia Dall’Ongaro ed Enrico Deotti. Il 12 ottobre, Laura Morante sarà la voce recitante di “Notte di sfolgorante tenebra”, con Davide Alogna al violino e Luca Provenzani al violoncello. Moisai 2024 si concluderà il 13 ottobre con “Peppe Servillo legge Marcovaldo”, le fantasiose storie di uno dei personaggi più celebri della letteratura italiana per rendere omaggio a Italo Calvino, con Peppe Servillo voce recitante e Cristiano Califano alla chitarra. Ogni evento avrà inizio alle 17,30 con ingressi scaglionati per la visita all’interno della Domus Aurea. Le visite culmineranno con l’arrivo presso la Sala Ottagona, luogo dove avrà inizio lo spettacolo alle ore 18,30. Ricomincia in Domus Aurea la rassegna Moisai, dedicata alle 9 Muse con un programma di 9 eventi tra spettacoli e visite guidate in cui poesia musica e danza dialogano portando le voci contemporanee nella casa di Nerone, commenta Alfonsina Russo, Direttore del Parco archeologico del Colosseo. Anche quest’anno e per il terzo anno consecutivo la Sala Ottagona viene valorizzata in funzione del suo significato originale, tornando ad essere protagonista di suoni e parole.
Arnold Schönberg (Vienna 13 settembre 1874 – Los Angeles 13 luglio 1951)
Nel centenario della nascita – 3
Composta nel biennio 1928-1929, Von Heute auf Morgen (Dall’oggi al domani) è un’opera comica in un atto su libretto della moglie Gertrud che si firmò con lo pseudonimo Max Blonda, la cui trama molto semplice, come affermò lo stesso Schönberg in una lettera indirizzata alla Städtische Oper di Colonia il 18 aprile 1929: «si svolge in una sola scena, una camera; nessuna difficoltà di luci o di altri accorgimenti materiali; nessun costume, abiti moderni.»
Protagonisti sono due coniugi che, rientrati a casa di notte da una festa, commentano la serata finendo per litigare. La moglie, infatti, mostra la sua gelosia per una sua vecchia compagna di scuola presente alla festa, che il marito avrebbe corteggiato e, per dimostrare di essere alla moda e attraente , decide di indossare un négligé che non lascia indifferente l’uomo. Incominciano, allora, a parlare di bei vestiti, danzano e brindano producendo un baccano tale da svegliare il bambino di cui si occupa il marito. Intanto la moglie, che, da parte sua, aveva suscitato la gelosia del marito accettando l’invito di un cantante, che aveva mostrato un certo interessamento per lei alla festa, ad andare in un locale, avendo compreso di essere stata la causa dell’infelicità, decide d’indossare nuovamente le vesti della donna di casa e ritornare alla consueta vita. L’amica e il cantante, venuti a trovare la coppia, rimangono delusi, poiché pensavano che essi fossero due coniugi alla moda e se ne vanno. Marito e moglie affermano, allora, che è meglio essere una coppia di ieri, perché nell’amore risiede la vera felicità. Schönberg spiegò il significato dell’opera e del suo titolo con queste parole
Da un punto di vista musicale Schönberg, in quest’opera, il cui messaggio, secondo quanto affermato dallo stesso compositore, risiede nel fatto che il cosiddetto moderno, ciò che è pura e semplice moda, dura solo dall’oggi al domani, fornì un’ulteriore dimostrazione di come sia possibile adattare la grammatica seriale a forme proprie del genere lirico. In realtà il recupero delle forme classiche ha un sapore ironico soprattutto perché attuato in un contesto come quello dell’opera comica. A tale proposito si segnalano e sorprendono la totale assenza della Sprechstimme e la sporadica apparizione solo alla fine dell’opera della Sprechmelodie. L’opera si basa su un’unica serie, garante di quella stessa unità che, secondo Schönberg, era conferita dal Leitmotiv alle opere wagneriane.
Il testo, con alcune modifiche, è tratto da Riccardo Viagrande, L’opera nl 900′. Trame, successi e fiaschi in Italia, Europa e Stati Uniti, Monza, Casa Musicale Eco, 2020, pp. 317-318.
Il Teatro del Maggio riprende la programmazione operistica con La cenerentola, ossia la bontà in trionfo, di Gioachino Rossini. La prima è in cartellone il 20 settembre alle ore 20 e le repliche il 22 ( alle ore 15.30), poi il 24 e 27 settembre alle ore 20. Sul Podio dell’Orchestra e del Coro del Maggio, Gianluca Capuano. La regia è di Manu Lalli. Il direttore del Coro è Lorenzo Fratini. Nella parte di Cenerentola/Angelina, il mezzosoprano Teresa Iervolino, con lei Patrick Kabongo (Don Ramiro), William Hernandez (Dandini), Marco Filippo Romano (Don Magnifico), Maria Laura Iacobellis (Clorinda), Aleksandra Meteleva (Tisbe), Matteo D’Apolito (Alidoro). La prova generale del 17 settembre alle ore 20 grazie a Unicoop Firenze è aperta gratuitamente al pubblico di giovani fino ai 30 anni. L’allestimento, l’ultima volta visto al Maggio nel 2018 per le celebrazioni del 150enario dalla morte del Compositore, nasce dalla messa in scena ridotta del 2017 ideata per il pubblico dei giovani e giovanissimi, sempre di Manu Lalli per Venti Lucenti, e poi ampliato per “i grandi” ancora nel giugno 2017 a Palazzo Pitti. Nella versione di Lalli piena di spirito e fascino, si ricompongono con efficacia narrativa molti dei tratti favolistici della trama liberamente tratta da Perrault e che Rossini aveva tuttavia messo in secondo piano a favore invece di elementi comici e realistici. Si giova delle magnifiche scene dipinte e gli elementi architettonici di Roberta Lazzeri e dai costumi fantasiosi ed eloquenti di Gianna Poli. Le luci sono di Vincenzo Apicella, riprese da Valerio Tiberi. A sottolineare i tratti fiabeschi inoltre non mancano grazie a Manu Lalli le fate che danzano, la pioggia di stelline brillanti e la zucca che si trasformerà in carrozza per portare Angelina alla festa dove incontrerà il principe. Nella fiaba rossiniana la matrigna è sostituita dallo spassosissimo don Magnifico, “intendente dei bicchier e presidente al vendemmiar”; Cenerentola non perde la scarpetta, ma è il furbo Alidoro a organizzare la festa che le farà incontrare il principe, inscenando un falso incidente per permettere a lei di essere riconosciuta. Il lieto fine è assicurato, con una punta di malizia, dalla novella sposa che rivolgendosi al patrigno e alle sorellastre canta “sarà mia vendetta il lor perdono”.