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Aggiornato: 1 ora 10 min fa

87° Festival del Maggio Musicale Fiorentino: “Aida”

Gio, 26/06/2025 - 22:49

87° Festival del Maggio Musicale Fiorentino, Sala Grande del Teatro del Maggio
AIDA
Opera in quattro atti, su libretto di Antonio Ghislanzoni
Musica di GIUSEPPE VERDI
Aida OLGA MASLOVA
Amneris DANIELA BARCELLONA
Radams SEOKJONG BAEK
Amonasro DANIEL LUIS DE VICENTE
Ramfis SIMON LIM
Il re d’Egitto MANUEL FUENTES
Gran sacerdotessa SUJI KWON
Un messaggero YAOZHOU HOU
Orchestra e Coro del Maggio Musicale Fiorentino
Direttore Zubin Mehta
Maestro del coro Lorenzo Fratini
Regia Damiano Michieletto
Scene Paolo Fantin
Costumi Carla Teti
Luci Alessandro Carletti
Video rocafilm | Roland Horvath
Drammaturgia Mattia Palma
Movimenti coreografici Thomas Wilhelm
Allestimento della Bayerische Staatsoper di Monaco
Firenze, 25 giugno 2025
Assente in cartellone dalla rappresentazione del 2011, di cui alcuni spettatori ricorderanno il cinematografico allestimento di Ozpetek (inspiegabilmente mai riproposto), Aida torna al Festival del Maggio Musicale Fiorentino. La produzione della Bayerische Staatsoper, pur con le sue cifre stilistiche, solleva qualche riserva, col suo lasciare indefiniti i rapporti tra i personaggi e le dinamiche tra le due popolazioni. Domina lo squallore, luoghi chiusi che sono fin dal principio teatro di guerra, dove le scene di Paolo Fantin e le coreografie di Thomas Wilhelm materializzano i ricordi di un’Aida bambina, intenta a giocare con i compagni di scuola, in cui non c’è traccia delle tanto sospirate “foreste imbalsamate” del “patrio suol”. La regia di Damiano Michieletto e la drammaturgia di Mattia Palma battono, infatti, attorno alla condanna di una guerra che non porta onori o veri vincitori, ma solo distruzione e annichilimento, come testimonia il progressivo incenerimento scenico. Questo il maggiore punto di forza, che con la complicità delle truci proiezioni di rocafilmRoland Horvath culmina al momento del cerimoniale di premiazione dei condottieri, sulle note della marcia trionfale. Un messaggio chiaro e attuale, supportato dai moderni costumi di Carla Teti, tra i quali spicca l’abito nero con glitter dorati di Amneris; qui, le luci di Alessandro Carletti scivolano come a far trasparire una sorta di complementarietà con gli argentei bagliori della cenere, segno di un personaggio distrutto dal sistema del suo stesso popolo e dalla sua stessa indole. Ne risulta una linea registica indubbiamente significativa, ma calata in un quadro generale non sempre rispettoso del libretto e delle dinamiche interne, in cui l’apporto del maestoso e compatto coro di Lorenzo Fratini assume un ruolo cardine per la comprensione. A dispetto dei tanti anni di servizio alle spalle, la direzione di Zubin Mehta non perde i momenti di saggezza della “vecchia scuola”, restituendo con efficacia la concezione di una partitura pulsante e ricca di timbri evocativi, per una direzione caratterizzata da cromatismi audaci e silenzi eloquenti. Risulta, semmai, meno calzante la gestione ritmica, ora vibrante, ora rallentata nell’enfasi della sua magniloquenza, e la tendenza alla prevaricazione sonora, attitudini che hanno destato momenti di difficoltà tra i cantanti. Al limite del soddisfacente la performance del cast vocale, dominato dall’Aida di Olga Maslova, già convincente Turandot nel Festival dello scorso anno. La cantante russa è quella che meglio riesce nel sottile equilibrio tra intenzioni interpretative e risoluzione in voce, tratteggiando un personaggio credibile nella veemenza d’accento e capace d’immedesimazione nella culla della rievocazione della terra natìa, dove la voce si profonde in lunghi filati dal giusto squillo e dalla soffice proiezione. Non esente da qualche momento di maggiore fissità nei suoni (talora calanti in acuto) e da ristretti cromatismi, il soprano deve prestare attenzione agli estremi dell’estensione, che passano per qualche affondo più offuscato e da una ripetuta carenza d’armonici, che tanto sono mancati nella costituzione delle ipnotiche sospensioni acute a suggello della parte. Al suo fianco faceva sicura presa il singolare estro interpretativo-attoriale di Daniela Barcellona come Amneris, scolpita con un fraseggio permeato da combattiva prevaricazione, umano risentimento e inconsolabile rassegnazione. Ciononostante, il mezzosoprano non sembra del tutto a suo agio nel ruolo quanto a omogeneità e volume. La sua resa dà il meglio di sé nelle coinvolgenti volute proiettive del canto centro-acuto che foggiano la scena del giudizio e nel saggiare le fioriture d’inizio atto secondo, sebbene per una figlia del faraone di tutto rispetto ci saremmo aspettati maggiore rotondità e robustezza nella discesa ai gravi e acuti più folgoranti che stridenti. L’unico a brillare nella stratosfera dell’estensione era, dunque, il Radamès SeokJong Baek, stentoreo sulla tenuta di acuti, su cui si avverte la classica “lama” del tenore, ma decisamente più generico nel porgere e timbricamente meno compatto nel restante spettro vocale, a favore di un capitano non privo di momenti riflessivi, ma complessivamente piuttosto monocorde. Tra i vinti, Daniel Luis de Vicente esibisce il concitato piglio di un re oppresso, incastonato negli slanci di ampia gittata del tipico baritono verdiano, malgrado l’emissione risulti alle volte forzata e i suoni poco raccolti. Una caratteristica che l’accomuna al re egizio di Manuel Fuentes, risoluto in scena quanto fumoso nel timbro e, a tratti, al Ramfis di Simon Lim, che perlopiù riesce a compensare con volume e fermezza d’accento. Completavano la prova gli apporti di Yaozhou Hou, messaggero dal gentile timbro tenorile, e della sacerdotessa di Suji Kwon, che si è distinta per l’eterea e accurata esecuzione dal fuoriscena. Termina in tarda serata questa terza recita di Aida, tra gli applausi di un pubblico che sembra avere particolare entusiasmo soprattutto per il suo direttore onorario a vita.

Categorie: Musica corale

Città del Vaticano, Musei Vaticani: “Il restauro della sala di Costantino”

Gio, 26/06/2025 - 13:00

Citta’ del Vaticano, Musei Vaticani
RESTAURO DELLA SALA DI COSTANTINO
Città del Vaticano, 26 giugno 2025
La Sala di Costantino nei Musei Vaticani, l’ambiente più ampio tra quelli comunemente noti come “Stanze di Raffaello”, torna oggi pienamente leggibile grazie a un complesso intervento di restauro che ha permesso di ricostruirne non solo l’assetto cromatico e tecnico, ma la funzione ideologica e la storia materiale. Si tratta, a tutti gli effetti, di un dispositivo figurativo al servizio della teologia del potere papale, articolato secondo un programma iconografico che intendeva celebrare e legittimare, attraverso la figura di Costantino, la continuità tra l’autorità imperiale romana e il primato ecclesiastico della Chiesa di Roma. L’ambiente, identificato nelle fonti come Aula Pontificum Superior, fu concepito per accogliere cerimonie solenni e momenti di alta rappresentanza. La sua dedicazione a Costantino non è ornamentale ma strutturale: l’imperatore che abbraccia la fede cristiana assurge a fondatore simbolico della Roma papale, interprete e garante della translatio imperii in chiave ecclesiastica. Il ciclo pittorico dunque non decora, ma argomenta; non illustra, ma fonda. Il progetto fu affidato da Leone X a Raffaello, che vi si dedicò con un’intenzione sperimentale di grande rilievo. In luogo dell’affresco tradizionale, il maestro introdusse una tecnica allora poco diffusa in ambito murale: la pittura a olio su intonaco. Le due figure allegoriche della Comitas e della Iustitia, eseguite di sua mano, sono le uniche a portarne testimonianza. Le indagini diagnostiche hanno confermato l’uso di colofonia – una resina naturale applicata a caldo – come preparazione per la stesura dell’olio, e la presenza di chiodi annegati nella parete indica l’intento di realizzare l’intero ciclo con tale tecnica, più duttile e più sensibile ai ripensamenti, adatta alla ricerca luministica e tonale del Raffaello maturo. Alla morte del maestro, l’impresa venne proseguita dai suoi collaboratori più fidati, Giulio Romano e Giovanni Francesco Penni, che optarono per il ritorno alla tecnica ad affresco, più gestibile nella gestione collettiva del cantiere. Le quattro grandi scene parietali – Visione della Croce, Battaglia di Ponte Milvio, Battesimo di Costantino e Donazione di Roma – costituiscono un ciclo coerente che costruisce la figura dell’imperatore come precursore ideale del pontefice. In esse si manifesta una teatralità compositiva che riflette la tendenza, già in atto, verso la monumentalizzazione del linguaggio figurativo romano, preludio al Manierismo. Il restauro ha reso possibile la lettura delle giornate – le sezioni giornaliere di stesura dell’intonaco – grazie alla luce ultravioletta e ai rilievi multispettrali, permettendo una ricostruzione minuziosa delle modalità operative, dei ritmi di lavoro e delle gerarchie di bottega. Le stesure successive, i pentimenti, le differenze di mano all’interno delle medesime figure, emergono oggi con una chiarezza filologica che restituisce all’osservatore l’intelligenza artigianale del fare artistico. L’intervento ha inoltre rimosso patine di vernici, ossidazioni e restauri incongrui accumulatisi nel tempo, riportando alla luce gamme cromatiche insospettate e valori chiaroscurali originari. Di particolare rilievo è l’analisi e il recupero della volta, realizzata in sostituzione del soffitto ligneo originale. Il progetto fu affidato a Tommaso Laureti, pittore bolognese di formazione michelangiolesca e già allievo di Sebastiano del Piombo, che si confrontò con la struttura muraria secondo un approccio illusionistico di alto virtuosismo. La volta propone una finta tappezzeria trattenuta da cinghie dipinte in trompe-l’œil, al cui centro si dispiega la grande scena del Trionfo del Cristianesimo sul Paganesimo. Si tratta di una macchina retorica di rara sofisticazione: le pieghe simulate, le ombre proiettate, la composizione scorciata secondo un impianto prospettico rigoroso, producono un effetto di conquista visiva che rispecchia e rafforza il contenuto dottrinale dell’intera sala. Parallelamente, l’intervento ha implicato una riflessione museologica attenta. La sala è rimasta accessibile durante l’intera durata del restauro, con ponteggi progettati per minimizzare l’impatto visivo e percorsi pensati per integrare il pubblico nel processo. L’operazione è stata condotta come pratica trasparente, educativa, aperta: un cantiere esposto, non occultato, che ha trasformato il restauro stesso in atto culturale. La diagnostica scientifica ha supportato ogni fase con strumenti avanzati: riflettografie IR, spettrometria XRF, analisi multispettrali e confronti con la documentazione conservata presso il laboratorio dei Musei Vaticani, attivo da oltre un secolo. Questo patrimonio archivistico ha consentito di distinguere le integrazioni ottocentesche dalle stesure originarie, guidando l’intervento con criteri di rigorosa filologia pittorica. La Sala di Costantino si presenta oggi come un organismo stratificato ma coeso. Non più un insieme disomogeneo di interventi, ma una polifonia controllata, in cui le mani di Raffaello, Giulio Romano, Penni, Sebastiano del Piombo e Laureti si intrecciano in una partitura complessa, ma leggibile. Essa costituisce un vero e proprio atlante della pittura romana del Cinquecento: una macchina ideologica, una struttura figurativa e un documento tecnico, in cui forma e potere si equivalgono e si potenziano reciprocamente.

Categorie: Musica corale

Roma, GNAMC: “Giacomo Balla. Un Universo di Luce”

Gio, 26/06/2025 - 12:08

Balla illuminerà Parma: la grande arte moderna nel segno di una nuova alleanza culturale
Al Palazzo del Governatore, un’importante monografica inaugurerà la collaborazione tra GNAMC e la città emiliana
Roma, 25 giugno 2025
Un nuovo asse culturale unirà Roma e Parma in un progetto biennale che punta a espandere la fruizione del patrimonio pubblico attraverso una rete virtuosa tra istituzioni. La Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea e il Comune di Parma hanno firmato un accordo che prenderà avvio con Giacomo Balla. Un universo di luce, una mostra di grande respiro che sarà ospitata dal 5 ottobre 2025 al 2 febbraio 2026 negli spazi del Palazzo del Governatore. Con questa operazione, la GNAMC riaffermerà la propria vocazione a essere protagonista sulla scena nazionale, proseguendo una linea di relazioni già avviata con la Pinacoteca di Brera nel 2024. Si tratterà di un modello di disseminazione museale fondato non sulla semplice movimentazione di opere, ma su una progettualità condivisa, scientificamente strutturata e intellettualmente autonoma. «Questo progetto non nasce per delega ma per visione», ha dichiarato Renata Cristina Mazzantini, direttrice della Galleria Nazionale. «Abbiamo concepito, prodotto e curato integralmente questa mostra come atto di ricerca e responsabilità pubblica. A Parma giungeranno non solo sessanta opere di Balla, ma un dispositivo di pensiero, frutto del lavoro del nostro museo». L’esposizione sarà realizzata con il sostegno della Fondazione Cariparma e la collaborazione di Solares Fondazione delle Arti, sotto il coordinamento scientifico di Simona Tosini Pizzetti. La curatela sarà affidata alla stessa Mazzantini e a Cesare Biasini Selvaggi, figura di rilievo della critica d’arte italiana, che imprimerà alla mostra un taglio teorico e curatoriale di notevole coerenza. Il contributo di Elena Gigli, in qualità di supporto curatorio, accompagnerà il progetto nelle sue fasi esecutive. «Balla è un artista che continua a interrogarci, e la sfida sarà quella di liberarlo dai cliché storiografici», afferma Biasini Selvaggi. «Sceglieremo di mettere al centro la sua ossessione per la luce, per il moto, per la smaterializzazione della forma. Il percorso non sarà cronologico, ma visivo: seguirà la traiettoria di un pensiero che attraversa il secolo senza mai irrigidirsi in una formula». Non a caso, la mostra non si limiterà al periodo futurista più celebrato, ma abbraccerà l’intera vicenda creativa dell’artista torinese: dagli esordi influenzati dal realismo sociale e dal divisionismo (Nello specchio, 1901-02; Ritratto della madre, 1902 circa), sino ai lavori del secondo dopoguerra, più intimi e visionari, come La fila per l’agnello (1942) o Campagna romana (1956), eseguito a china. Il corpus principale proverrà dal fondo donato alla GNAMC dalle figlie dell’artista, Elica e Luce Balla, tra il 1984 e il 1998: una raccolta che copre l’arco intero dell’attività balliana e che, nella mostra, sarà messa a fuoco attraverso un allestimento organico e filologicamente attento. Tra i pezzi di maggior rilievo figureranno il polittico Dei viventi (1905), testimonianza di una sensibilità ancora pre-futurista ma già vibrante, il trittico Affetti (1910), riflessione pittorica sull’intimità familiare, e una selezione di disegni futuristi curata da Maurizio Fagiolo dell’Arco, che ne aveva già colto l’essenza strutturale e visionaria. Per Lorenzo Lavagetto, vicesindaco con delega alla cultura, l’iniziativa rappresenterà «una svolta concreta per la vocazione espositiva del Palazzo del Governatore, che ritroverà un’identità forte, capace di parlare sia alla cittadinanza che a un pubblico nazionale». La mostra si configurerà, infatti, non come un’esportazione di contenuti, ma come un laboratorio culturale: sarà il museo stesso a mettersi in movimento, trasferendo con sé competenze, saperi, dispositivi di interpretazione. Il titolo Un universo di luce non sarà metaforico. La luce, in Balla, non è semplice effetto ottico, ma materia mentale, forza generativa, linguaggio in sé. Sarà attraverso la luce che l’artista tenterà di rappresentare il tempo, l’energia, la velocità, anticipando in molti casi le dinamiche visive del presente. «In tempi dominati dall’algoritmo e dall’automatismo, Balla ci ricorda che anche l’astrazione ha un’origine emotiva e sensibile», sottolinea ancora Biasini Selvaggi. «La sua opera non smette di interrogare il nostro rapporto con l’immagine e con la modernità stessa». Questa esposizione non proporrà soltanto una rilettura dell’opera di Balla, ma affermerà con forza il ruolo pubblico delle istituzioni museali nel produrre conoscenza, creare senso, costruire memoria. Il lavoro congiunto di Renata Cristina Mazzantini e Cesare Biasini Selvaggi restituirà un’immagine attuale e potentemente attiva di uno dei grandi maestri del Novecento italiano. Un progetto che parlerà di rigore e visione, ma anche di futuro: quello dell’arte come motore di pensiero critico e come forma concreta di cittadinanza culturale.

Categorie: Musica corale

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