Tu sei qui

gbopera

Abbonamento a feed gbopera gbopera
Aggiornato: 36 min 28 sec fa

Roma, Museo di Roma in Trastevere: “80’s Dark Rome”

Mar, 10/09/2024 - 17:07

Roma, Museo di Roma in Trastevere
80’S DARK ROME
Il Museo di Roma in Trastevere presenta le fotografie con cui Dino Ignani ha ritratto la Roma ombrosa e scintillante, sotterranea e plateale, degli anni Ottanta del secolo scorso. 80’s Dark Rome è il titolo della mostra, a cura di Matteo Di Castro, promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Cultura, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, con i servizi museali di Zètema Progetto Cultura. Il nucleo centrale del progetto espositivo è costituito dal ciclo di ritratti, denominato Dark Portraits, che Ignani ha dedicato ai giovani che animavano la vita notturna dell’epoca e, in particolare, i luoghi e gli eventi legati alla scena dark. Pochi anni dopo l’esplosione del punk, in Italia viene chiamata dark una cultura di strada non riconducibile a un’unica tendenza musicale ma identificata soprattutto dal proprio look, in cui il colore nero assume un’inedita valenza simbolica. È proprio agli inizi del decennio che il termine look entra nel nostro linguaggio per indicare qualcosa che va ben al di là del modo di vestire: l’attitudine a vivere l’aspetto esteriore come un progetto vero e proprio, in cui, oltre all’abbigliamento, entrano in gioco gli accessori, l’acconciatura (taglio e colore), il make-up. Ignani segue e documenta questo fenomeno puntando sul classico ritratto in posa. Nei videobar, nelle storiche e nuove discoteche della capitale ma anche in locali di altro genere, invita i presenti a farsi ritrarre approntando un set ad hoc, come fosse in studio. Il risultato è un archivio di circa cinquecento immagini, per lo più in bianco e nero, che pur evocando a volte il linguaggio della fotografia di moda, nascono come un progetto personale, rigoroso quanto giocoso. Di queste, una selezione di duecento fotografie del ciclo Dark Portraits è risultata tra i vincitori del bando PAC 2022-2023 – Piano per l’Arte Contemporanea, promosso dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura, entrando così a far parte delle collezioni permanenti della Sovrintendenza Capitolina di Roma Capitale. La mostra è dunque l’occasione per presentare al pubblico questo corpus di opere recentemente acquisito dal Museo di Roma in Trastevere. In mostra sono esposti anche altri lavori realizzati negli anni ’80 da Ignani, in vario modo riconducibili al suo sguardo su una Roma notturna, in ombra, periferica e camaleontica. Dopo le prime visioni sul paesaggio urbano contemporaneo, il fotografo individua proprio nel ritratto il linguaggio con cui registrare le frequenze più profonde della città.  Nell’estate del 1979, sulla spiaggia di Castelporziano si tiene il Festival internazionale dei poeti. Ignani lo segue solo da spettatore, ma poco dopo inizia a fotografare poetesse e poeti che vivono a Roma, come Dario Bellezza, Patrizia Cavalli, Amelia Rosselli, Valentino Zeichen. Volti e corpi di donne e uomini di poesia, si affiancano dunque in mostra a quelli di ragazze e ragazzi che cercano a loro volta forme di espressione non convenzionali. Tra loro c’è anche Porpora Marcasciano, riconosciuta oggi come figura storica del movimento LGBTQ, attivista, scrittrice. Porpora è ancora una studentessa universitaria, giovane pittrice, quando Ignani sceglie lei come prima modella di un progetto, poi interrotto, sulla comunità trans romana. Tra i protagonisti della mostra anche la musicista e cantante statunitense di origine greca Diamanda Galás, ritratta nel gennaio 1985 in occasione di un suo concerto romano al Teatro Spazio Zero. Nel gennaio del 1985 i Dark Portraits sono esposti per la prima volta in uno spazio pubblico, a Palazzo Braschi, e tre mesi dopo compaiono sul mensile Rockstar, ad accompagnare un articolo di Roberto D’Agostino intitolato “Gente di notte”. Lo stesso D’Agostino scriverà poi un testo critico sul lavoro del fotografo. In occasione della mostra sarà pubblicato il libro Dark Rome 1982-1985, edito da Viaindustriae, a cura di Matteo Di Castro, con testi di Daniela AmentaDiego Mormorio, Emanuele De Donno e un’intervista a Dino Ignani. Dino Ignani (1950) è nato e vive a Roma. Ha iniziato a occuparsi di fotografia a metà degli anni Settanta del secolo scorso, privilegiando il lavoro di documentazione della scena artistica e culturale e dei suoi protagonisti. Da oltre quarant’anni, in particolare, si dedica a ritrarre i poeti italiani: scrittori già consacrati, ma anche autori emergenti, che hanno via via arricchito il suo progetto. Presentato per la prima volta nel 1987 da Enzo Siciliano e Diego Mormorio col titolo “Intimi ritratti”, esposto e pubblicato in più occasioni in Italia e all’estero, questo lavoro, unico nel suo genere, è entrato nelle collezioni del Museo di Fotografia Contemporanea di Cinisello Balsamo e della Biblioteca Nazionale Centrale di Roma. A partire dal 1982 e fino alla metà del decennio, Ignani sviluppa un ciclo di ritratti dedicato ai giovani che a Roma animano le serate e i club della new wave dell’epoca. Le fotografie sono esposte per la prima volta in pubblico nel 1985 nell’ambito della mostra collettiva Immagini per Roma. Archivio fotografico e divenire urbano, allestita a Palazzo Braschi. Nel 2013 ripropone questo lavoro sotto il titolo 80’s Dark Portraits. Nell’estate 2022 il Museo Marino Marini di Firenze ha prodotto e ospitato una nuova mostra, a cura di Matteo Di Castro e Bruno Casini: Dark Portraits. Florence/Rome 1982-1985.

Categorie: Musica corale

Roma, Museo Ebraico: Al via una serie di Mostre per la Giornata Europea della Cultura Ebraica

Mar, 10/09/2024 - 12:14

Roma, Museo Ebraico
LA FAMIGLIA DEL MONTE NEI SECOLI. ARTE, STORIA E MEMORIA.
LEGAMI. RITRATTI FAMILIARI DI ARTISTI EBREI DEL NOVECENTO.
CENTOVENTI ANNI DI MATRIMONI AL TEMPIO MAGGIORE: FAMIGLIA E TRADIZIONE DEGLI EBREI DI ROMA.

Al centro della Giornata Europea della Cultura Ebraica di quest’anno, che si terrà domenica 15 settembre e avrà come tema la “famiglia“, si trovano tre mostre organizzate presso il Museo Ebraico di Roma. La conferenza di presentazione, prevista per venerdì 13 settembre 2024 alle ore 11:00, offrirà un’anteprima esclusiva per la stampa. Le mostre includono: “La famiglia Del Monte nei secoli. Arte, storia e memoria“, con preziosi argenti, tessili, fotografie e manoscritti che raccontano la storia di una famiglia ebraica; “Legami. Ritratti familiari di artisti ebrei del Novecento“, un’esplorazione attraverso dipinti e sculture dei legami intimi tra gli artisti e le loro famiglie; e la mostra fotografica “Centoventi anni di matrimoni al Tempio Maggiore: famiglia e tradizione degli ebrei di Roma“, con venti scatti iconografici che raccontano i matrimoni della comunità ebraica romana dagli anni Dieci del Novecento a oggi, allestita lungo la cancellata del Tempio in via Catalana. La visita guidata sarà condotta dal Direttore del Museo Ebraico di Roma, Olga Melasecchi, e dal Direttore del Centro di Cultura Ebraica, Giorgia Calò, che offriranno approfondimenti sul tema.

 

Categorie: Musica corale

Roma, Palazzo Bonaparte: La Mostra “Fernando Botero” Dal 17 settembre 2024 al 25 gennaio 2025

Mar, 10/09/2024 - 11:25

Roma, Palazzo Bonaparte
LA MOSTRA: FERNANDO BOTERO
Palazzo Bonaparte
 si prepara a inaugurare un’importante stagione espositiva per l’anno 2025, in occasione del Giubileo e del 25° anniversario dalla nascita di Arthemisia. Un anno in cui la Capitale ospiterà grandi nomi dell’arte internazionale partendo proprio da questo settembre 2024 con una retrospettiva dedicata all’amatissimo artista colombiano Fernando Botero, recentemente scomparso.
Dipinti, acquarelli e sculture e alcuni inediti saranno esposti nelle sale del Palazzo in una mostra che sarà la più completa mai realizzata a Roma. Opere di medie e grandi dimensioni che rappresentano la sontuosa rotondità del suo universo femminile, restituito con effetti tridimensionali e colori spesso sgargianti, ma tutt’altro che sinonimo di sensualità o di estetica naïf, primitiva. Ciò che pare in Botero non è mai la realtà in sé, ma rivestita con una patina di un’ambiguità iperrealista di matrice sudamericana. Non mancheranno le versioni di capolavori della storia dell’arte, come le Menine di Velázquez e la Fornarina di Raffaello, il celebre dittico dei Montefeltro di Piero della Francesca, i ritratti borghesi di Rubens e van Eyck. E ancora, temi classici come il circo e la corrida, quest’ultimo forse il tema più interessante perché interpretato attraverso il filtro della tradizione ispanica molto sentita nell’arte, da Goya a Picasso. Una sala è dedicata, infine, alla più recente sperimentazione tecnica del maestro che, dal 2019, dipinse con acquerelli su tela: opere quasi diafane, frutto di un approccio delicato, forse senile, ai temi familiari di sempre.

Categorie: Musica corale

Conrad Susa (1935-2013): “The Dangerous Liasons” (1994)

Mar, 10/09/2024 - 09:31

Conrad Susa (1935-2013)
“THE DANGEROUS LIAISONS”
Opera in due atti su libretto by Philip Littel dal romanzo di Autore: Pierre-Ambroise-François Choderlos de Laclos (1782)
Prima rappresentazione: San Francisco Opera, 10 settembre 1994
Frederica von Stade (Marquise de Merteuil)
Thomas Hampson (Vicomte de Valmont)
Renée Fleming (Madame de Tourvel)
Judith Forst (Madame de Volanges)
Johanna Meier (Madame de Rosemonde)
Mary Mills (Cécile de Volanges)
David Hobson (Chevalier de Danceny)
Laura Claycomb (Josephine)
Elizabeth Bishop (Emilie)
James Scott Sikon (Monsieur Bertrand)
Pamela Dillard (Victoire)
Hector Vasquez (Azolan)
Kristen Clayton (Julie)
Matthew Lord (Duel Second No. 1)
Gregory Cross (Duel Second No. 2)
Man-Hua Gao (Maid)
Mika Shigematsu (Maid)
Alfredo Portilla (Footman)
Earle Patriarco (Footman)
George Weiss (Father Anselm)
Orchestra e Coro San Francisco Opera
Direttore Donald Runnicles
Regia Colin Graham
Scene Gerard Howland
Reg. 10.09.1994

Categorie: Musica corale

Napoli, Teatro di San Carlo: “La danza francese da Serge Lifar a Roland Petit”

Lun, 09/09/2024 - 17:15

Napoli, Teatro di San Carlo, stagione di Opera e Danza 2023/2024
“LA DANZA FRANCESE DA SERGE LIFAR A ROLAND PETIT”
“Suite en blanc”
Musica Édouard Lalo (Extrait de Namouna)
Coreografia Serge Lifar ripresa da Charles Jude, Stephanie Roublot
Scene e costumi Maurice Moulène
Luci Charles Jude
“Le Jeune Homme et la Mort”
Libretto Jean Cocteau
Musica Johann Sebastian Bach
Coreografia Roland Petit ripresa da Luigi Bonino
Scene Georges Wakhévitch
Costumi Barbara Karinska
Luci Jean-Michel Désiré
Le Jeune Homme ALESSANDRO STAIANO
La Mort CHIARA AMAZIO
“L’Arlesienne”
Musica Georges Bizet
Coreografia Roland Petit ripresa da Luigi Bonino, Gillian Whittingham
Scene René Allio
Costumi Christine Laurent
Luci Jean-Michel Désiré
Orchestra, Étoiles, Solisti, Corpo di ballo del Teatro di San Carlo
Direttore Jonathan Darlington
Direttore del Balletto Clotilde Vayer
Produzione del Teatro dell’Opera di Roma
Napoli, 7 settembre 2024

In scena al San Carlo di Napoli il trittico dal titolo La danza francese. Da Serge Lifar a Roland Petit, pensato dalla Direttrice Clotilde Vayer: «tre splendide coreografie», come lei stessa dichiara nelle note di sala, ossia Suite en blanc di Serge Lifar, Le jeune homme et la Mort e L’Arlésienne di Roland Petit. Un cartellone da lei costruito secondo una «progressione nei balletti e nei coreografi da affrontare», facendo riferimento ai più grandi coreografi del Novecento, tra cui Serge Lifar e Roland Petit. Ma aggiunge una considerazione importante, ossia quella di non aver abbastanza spettacoli per poter mettere in scena tutto ciò che vorrebbe. A buon intenditor poche parole: la danza sempre Cenerentola delle arti al San Carlo, a partire dall’allestimento, che non ha per nulla aiutato. Non solo un palcoscenico che non permetteva di vedere la parte inferiore delle gambe dei danzatori, ma una palese sciatteria da parte dei tecnici delle luci – e lo diciamo subito– mai attenti nei momenti più importanti con l’accensione e lo spegnimento dei riflettori. Distrazioni imperdonabili.
Ma veniamo allo spettacolo. Suite en blanc, su musica di Édouard Lalo, con la sua successione di virtuosismi astratti di grande difficoltà tecnica, fu danzato la prima volta all’Opéra di Parigi il 23 luglio del 1943. Come lo stesso Lifar scriveva su «Le Matin» del 21 luglio del 1943, in questa coreografia si era «preoccupato soltanto della pura danza» al fine di «creare belle immagini, immagini che non avessero nulla di cerebrale». Una «testimonianza per le generazioni future, alle quali trasmetteremo l’eterna fiaccola delle tradizioni accademiche». Il Corpo di ballo del Massimo napoletano ha portato in scena la coreografia con impegno e risultati in parte apprezzabili, anche se è molto lontano dallo stile richiesto. In difficoltà soprattutto alcune soliste, tanto che anche il pubblico ha iniziato ad applaudire in sordina. Il lavoro fatto sulla Compagnia è comunque chiaro, ma la disomogeneità dei tipi umani e la mancanza di una espressività univoca e concentrata da parte del corpo di ballo sono quei particolari che, ad alto livello, fanno la differenza.

Si cambia scena con Le Jeune Homme et la Mort, «mimodramma» –  come lo definì lo stesso Roland Petit – sulla solenne Passacaglia in do minore di Johann Sebastian Bach quale contrasto sonoro rispetto all’intimismo del dramma (tra l’altro scelta all’improvviso a tre giorni dalla prima,  a sostituire una composizione jazz inisiale), nell’orchestrazione di Ottorino Respighi, libretto di Jean Cocteau e scenografia di Georges Wakhevitch (prima rappresentazione al Théâtre des Champs-Élysées di Parigi nel 1946). Un dramma esistenzialista che vede protagonista ideale una donna (come ne L’Arlesienne), ma di fatto l’azione danzata principale è a carico dell’uomo, in un vortice di grande tecnica completamente asservita al vigore interpretativo del protagonista, cui fa da contraltare la cinica freddezza della donna provocatrice, che lo istiga al suicidio, rivelandosi infine come l’incarnazione della morte. Ottima l’interpretazione dell’étoile Alessandro Staiano, che con questo ruolo non semplice (visti i mostri sacri che lo hanno portato in scena in passato) conferma la propria crescita artistica, ormai nella sua piena maturità. Chiara Amazio nel suolo della Morte, tagliente e algida come da occorrenza, ha dato il giusto spessore al personaggio. Grande ovazione da parte del pubblico.
In conclusione, ottima prestazione anche per i protagonisti de L’Arlesienne, altro balletto ispirato a una figura femminile che esiste solo nei ricordi che affliggono la mente di Frédéri, il quale abbandona la sua sposa Vivette nel giorno delle nozze, a memoria perpetua della ricerca di ciò che non si ha. Per questa creazione Petit è folgorato dalla musica di Bizet, fonte di ispirazione. Questo avveniva il 23 maggio del 1973 e nel 1974 andava per la prima volta in scena. La gioviale articolazione delle masse attribuisce alla coreografia la caratteristica estetica petitiana, mentre il delicato ‘confronto’ tra i due sposi, in cui l’interlocutore maschile è sordo ai tentativi di lei di destare la sua attenzione, sono stati affidati alle due étoiles Claudia D’Antonio e Danilo Notaro. Delicata e precisa lei, dipinta come in un quadro verista, convincente e sicuro lui, benché in alcuni passaggi forse non al suo massimo, a causa di linee delle braccia troppo morbide laddove ci si sarebbe aspettato più vigore, ma bravissimo a reggere un assolo ancora una volta tecnico e drammatico di grande trasporto emotivo.
Si tratta, per le étoiles sancarliane, di danzatori ormai maturi che provengono tutti dalla Scuola di Anna Razzi, dove oltre alla tecnica era possibile accogliere un testimone artistico di cui questi ragazzi hanno saputo fare tesoro. Poi, è chiaro, la danza si trasforma e le stesse coreografie, riprese rispettivamente da Charles Jude (Suite) e da Luigi Bonino (Petit), non sono pezzi da museo; gli stessi Autori le avrebbero modificate a seconda degli interpreti, come è sempre stato e come sarà sempre nella storia della danza, in quando i danzatori partecipano necessariamente al processo di creazione /riprese.
L’orchestra del Teatro di San Carlo è stata diretta con partecipazione dal Maestro Jonathan Darlington, in brani di indiscutibile valore che, come tali, hanno contribuito alla completezza dello spettacolo.
Sonori applausi a fine spettacolo, a ripagare le fatiche di tutti gli artisti.(foto Luciano Romano)

Categorie: Musica corale

Richard Strauss: “Des Esels Schatten” (L’ombra dell’asino, op. pos 1949)

Dom, 08/09/2024 - 17:58

Richard Strauss (Monaco di Baviera, 11 giugno 1864 – Garmisch-Partenkirchen, 8 settembre 1949) – a 75 anni dalla morte del compositore
“Des Esels Schatten” (L’ombra dell’asino, op. pos 1949 – incompiuta)
Libretto by Hans Adler adapted from Martin Wieland’s novel `The Abderites’
Struthion – Peter Banoff
Antrax – Chris Merritt
Krobyle – Florentina Giurca
Gorgo – Felicitas Moravitz
Dame Salabanda – Getrud Ottenthal
Philippides – Georg Tichy
Physignatus – Ernst Dieter Suttheimer
Polyphonus – Paul Wolfrum
Pfriem Jaroslaw Stajnc
Agathyrsus – Ernst Gutstein
Strobylus – Wolfgang Muller-Lorenz
Kammerdiener – Josef Schwarz
Direttore: Ernst Marzendorfer
Regia: Wolfgang Weber
Festival di Hellbrunn1983

Categorie: Musica corale

Roma, RomaEuropaFestival 2024: “Biped / Mycelium”

Dom, 08/09/2024 - 11:52

Roma, RomaEuropa Festival 2024: Opening
CHRISTOS PAPADOPOULOS, MERCE CUNNINGHAM, GAVIN BRYARS ENSEMBLE, BALLET DE L’OPÉRA DE LYON
Biped
Creato nel 1999
Entrato nel repertorio del Ballet de l’Opéra de Lyon nel 2024
Coreografia Merce Cunningham
Musica Gavin Bryars
Scena e Ologrammi Paul Kaiser e Shelley Eshkar
Costumi Suzanne Gallo
Luci Aaron Copp
Corpo di ballo Ballet de l’Opéra de Lyon
Con il sostegno di Dance Reflections by Van Cleef & Arpels
Mycelium
Creato il 9 settembre 2023
Entrato nel repertorio del Ballet de l’Opéra de Lyon nel 2023
Prima Nazionale
Coreografia Christos Papadopoulos
Musica Coti K
Ideazione luci Eliza Alexandropoulou
Costumi Angelos Mentis
Corpo di ballo Ballet de l’Opéra de Lyon
Coproduzione Biennale de la danse de Lyon, Theatre de la Ville
Roma, 05 settembre 2024
Ha aperto al Teatro Costanzi la trentanovesima edizione del Romaeuropa Festival. La collaborazione tra il Festival e l’ente lirico capitolino è stata dedicata alla presenza del Ballet de l’Opéra de Lyon, ora diretto da Cédric Andrieux, nel suo valore simbolico di promotore di un dialogo tra il repertorio e le nuove tendenze coreografiche. Come spiega lo stesso direttore della compagnia, difatti “i danzatori che si uniscono al Ballet cercano una radice classica nell’approccio al movimento e allo stesso tempo la possibilità di scoprire i nuovi talenti coreografici”. Non è un caso che la prima coreografia interpretata sia una ripresa di BIPED, storica creazione di Merce Cunningham, padre della modern dance americana. Già danzatore della Martha Graham Dance Company, avviò la sua personale ricerca coreografica dopo l’incontro con il musicista John Cage. Nella sua visione, la musica e la danza condividono la dimensione spazio-temporale intrecciandosi in modo casuale al fine di privilegiare le potenzialità espressive insite nello stesso movimento, senza imporre una volontà autoriale. I corpi di Cunningham disegnano graficamente nello spazio, contrapponendo l’utilizzo flessuoso delle gambe ai movimenti del torso. E le complesse dinamiche corporali vengono indagate in maniera sofisticata grazie al coinvolgimento delle tecnologie digitali. Già nel 1990 Cunningham elabora coreografie digitali grazie al programma Life Forms, poi divenuto Dance Forms, capace di catturare il movimento attraverso un complesso sistema di sensori e telecamere a raggi infrarossi. Di tutto ciò è testimone peculiare la coreografia BIPED, nata dalla collaborazione con il compositore Gavin Bryars (John Cage era morto nel 1992). La musica delicata, fonde segmenti eseguiti dal vivo ed altri preregistrati, in un alternarsi di sentimenti che dal lirismo della sezione iniziale si spinge verso atmosfere più oscure e inquietanti. È la musica che oggi, al nostro sguardo, pur nel suo essere indipendente dalla coreografia, conduce dentro lo spettacolo, donando sostanza alle forme grafiche disegnate nello spazio dai corpi e al loro riverberarsi nelle proiezioni digitali, che amplificano la dimensione spettacolare grazie a un caleidoscopico uso di dissolvenze e fuochi d’artificio di colori. I movimenti in scena e quelli proiettati non si rispecchiano esattamente, creando una partitura visiva fondata su rimandi coreografici, nonché sul contrasto tra l’evanescenza digitale e l’incisività dei corpi in scena rivestiti di lurex. I movimenti nei loro puri intagli coniugano allungamenti e sospensioni, rotazioni e disequilibri, accelerazioni e indugi. Le composizioni si basano su assoli, duetti, danze d’insieme, che sostituiscono alla rigorosa logica del linguaggio classico un pensiero ispirato all’imprevedibilità scenica. Il clima immersivo e allo stesso tempo misterioso ben prelude al secondo pezzo della serata, Mycelium, creato dal coreografo greco Christos Papadopoulos sulla musica elettronica di Coti K. Anche in questo caso sono le pulsazioni ritmiche della musica a guidare lo spettatore attraverso le evoluzioni coreografiche di venti danzatori, ispirate alle ramificazioni biologiche del mondo dei funghi. Rispetto al precedente lavoro coreografico di Papadopoulos dal titolo Mellowing, visto l’anno scorso all’Auditorium Parco della Musica, le idee concettuali espresse nella coreografia sembrerebbero meno elaborate. Lo stesso movimento si ripete con poche variazioni lungo il corso della coreografia trasmettendosi dai piedi allineati, alle ginocchia, alle anche, all’avambraccio, alle mani. Il gruppo avanza compatto per poi sfaldarsi spazialmente, rimanendo allo stesso tempo unito nelle intenzioni di movimento. Eppure, la suggestione che ne deriva coinvolge e vivifica lo sguardo degli spettatori, trasportati nel mondo dell’immaginazione. Forse è proprio questo il legame con Cunningham. In questo amplificato minimalismo, l’autorialità si riduce per dare spazio all’imprevedibilità espressiva insita nell’intreccio non narrativo tra la potenza evocativa dei corpi e il fascino ipnotico della trama musicale. Foto Agathe Poupeney -Opera de Lyon e Romaeuropa Festival

Categorie: Musica corale

Le cantate di Johann Sebastian Bach: quindicesima domenica dopo la Trinità

Dom, 08/09/2024 - 01:18

Was Gott tut, das ist wohlgetan BWV 99 esguita la prima volta a Lipsia il 17 settembre 1724, è la seconda delle tre Cantate bachiane destinate alla quindicesima domenica dopo la Trinità. L’incipit di questa partitura lo ritroviamo in altre 2 Cantate, la nr.98 e la nr.100. Una Cantata, per quanto riguarda il testo, sul lied del 1574 di  Samuel Rodigast (1649-1708) che ha per protagonista il flauto traverso (frequentemente adoperato durante l’estate del 1724) qui utilizzato in tutti i brani, ad esclusione dei 2 recitativi, in funzione solistica, concertante (aria nr.3), o di ripieno (Nr.6, Corale), concertante con l’oboe (Coro nr.1) e dialogante con lo stesso strumento nell’aria-duetto (Nr.5) con il solo basso continuo, come nell’aria precedente. il tono virtuosistico è particolarmente presente nell’aria tripartita del tenore (nr.3), una superba pagina, in cui si alternano espressioni dolenti, passaggi cromatici ascendenti e discendenti, per sottolineare la disperazione dell’anima, con rapidi passi che sembrano tradurre la gioia di trovare in Dio colui che cura ogni male. Spicca comunque il coro d’apertura (nr.1), un Mottetto su “cantus firmus” alla voce di soprano con un raddoppio da parte del Coro, una esposizione vocale di tipo “arcaico” che si alterna con inserti strumentali concertanti di grande modernità.
Nr.1 – Coro
Ciò che Dio fa, è ben fatto,
i suoi disegni restano giusti;
qualunque sia il corso del mio destino,
mi atterrò in silenzio al suo volere.
Egli è il mio Dio,
nella necessità
saprà soccorrermi;
non ho che da lasciarlo agire.
Nr.2 – Recitativo (Basso)
La sua parola di verità è forte
e non mi deluderà
perché non abbandona né perde
coloro che credono.
Sì, mi conduce sul cammino della vita,
il mio cuore è sereno e soddisfatto
dell’amore paterno e misericordioso di Dio
e sa essere paziente
quando l’avversità lo colpisce.
Dio che tutto può con le sue mani
allontana da me la disgrazia.
Nr.3 – Aria (Tenore)
Non tremare, anima angosciata,
se il calice della croce
ha un gusto tanto amaro!
Dio è medico saggio e autore di miracoli,
che non ti offrirebbe un veleno mortale,
anche se la sua dolcezza fosse nascosta.
Nr.4 – Recitativo (Contralto)
Ora, l’alleanza stretta per l’eternità
resta il fondamento della mia fede.
Essa parla con fiducia,
nella morte e nella vita:
Dio è la mia luce,
a lui voglio donarmi.
E anche se ogni giorno
porta con sé la sua pena,
una volta superata la sofferenza,
dopo aver abbastanza pianto,
verrà infine il tempo della redenzione,
quando si manifesterà la sincera lealtà di Dio.
Nr.5 – Aria-Duetto (Soprano, Contralto)
Quando le amare sofferenze della croce
combattono le debolezze della carne,
questo è un bene.
Chi nei suoi vani pensieri
considera la croce insopportabile,
non avrà in futuro alcun piacere.
Nr.6 – Corale
Ciò che Dio fa, è ben fatto,
a questo voglio attenermi.
Se anche fossi spinto sull’aspra via
del pericolo, della morte, della miseria,
allora Dio
come un padre
mi prenderà tra le sue braccia;
perciò a lui voglio affidarmi.
Traduzione Emanuele Antonacci

www.gbopera.it · J.S.Bach: Cantata “Was Gott tut, das ist wohlgetan” BWV 99

 

Categorie: Musica corale

In ricordo di Magda Olivero, a dieci anni dalla morte

Dom, 08/09/2024 - 00:04

(Saluzzo,  25 marzo 1910 –  Milano, 8 settembre 2014)
La carriera della Olivero resta un caso particolare. Ella ha saputo conservare per oltre 50 anni una vocalità pressochè integra, grazie a una notevolissima tecnica e uan rigorosa scelta di repertorio, basato essenzialmente su Puccini e autori coevi. La Olivero resta uno dei maggiori esempi dell’interpretazione lirica del ‘900.

www.gbopera.it · Magda Olivero (1910-2014)

 

 

 

Allegati
Categorie: Musica corale

Roma, Sala Umberto: “Beatrice Cenci” dal 11 al 13 settembre 2024

Sab, 07/09/2024 - 08:00

Roma, Sala Umberto
BEATRICE CENCI
Vittima esemplare di una giustizia ingiusta
con Zoe Nochi, Antonio Melissa, Stefania Fratepietro, Giorgio Adamo, Ilaria Deangelis, Maurizio Semeraro, Danilo Ramon Giannini, Giuseppe Cartella’
Libretto di Simone Martino e Giuseppe Cartellà
Musiche di Simone Martino
Costumi Catia Mancini
Produzione esecutiva Paola Ferrari
Marketing e Distribuzione Giovanna Gattino
Regia di Simone Martino
Aiuto Regia Antonio Melissa
Ensemble: Alessandro Giorgi, Jasmine Lazzoni, Beatrice Mastrangeli, Luca Petrone,  Francesca Romana Reniers, Sofia Sandri, Martina Sbardella, Martina Torrisi.
Il copione di questo spettacolo musicale in due atti è del tutto originale. La sceneggiatura è tratta dalla vera storia di Beatrice Cenci nobildonna romana vissuta nella seconda metà del 1500 e riadattata dal Maestro Simone Martino insieme a Giuseppe Cartellà. Martino è compositore e autore di molte Opere musical, tra le più note citiamo: “Roma Opera musical”, “San Michele l’Angelo dell’Apocalisse”, “Lo sguardo oltre il fango”, “Il Canto di Natale – La favola musicale”, “Re Artù opera musical” e “Vlad Dracula”. La vicenda si svolge nella seconda metà del 1500 quando la giovane subì ripetuti abusi da parte di suo padre Francesco Cenci, un nobile di spicco della Roma papale. La giovane denunciò gli abusi scrivendo direttamente al  Papa, chiedendo di farsi rinchiudere in convento, pur di condividere la propria vita con quel mostro dentro casa,  ma le sue preghiere non vennero ascoltate. Queste ripetute violenze spingono Beatrice a voler eliminare suo padre,  sua unica via di scampo per essere libera. Con l’aiuto della matrigna Lucrezia Petroni Velli, del fratello Giacomo e  del castellano Olimpo Calvetti, Dopo due tentativi andati a vuoto riescono nel loro intento, cercando di far passare  la morte del nobile come un incidente, gettando il corpo già esanime dell’uomo da un mignano del casale di Petrella Salto (proprietà dei Cenci).  Le indagini proveranno il contrario e a nulla valgono le testimonianze delle violenze subite dalla giovane che verrà  processata assieme ai suoi complici e decapitata l’11 settembre 1599 nella piazza di Castel Sant’Angelo in Roma. Beatrice Cenci può essere considerato uno dei casi di violenza casalinga più documentati nella storia antica. La brutalità della legge romana della fine del 1500 non è certo paragonabile alla giurisdizione dei nostri giorni. Certo  la violenza sulle donne era, e purtroppo rimane ancora, una gravissima piaga della nostra società.  Per lo stesso motivo all’interno dell’opera viene inserita una figura femminile dei giorni d’oggi (Claudia), donna  che subisce abusi familiari e che, grazie al diario di Beatrice, consegnato dalla nostra protagonista sotto forma di  spirito [legenda romana] all’inizio dello spettacolo, trova la forza di denunciare e scappare dal suo carnefice.  Beatrice Cenci opera drammatica è un musical di denuncia contro la violenza di genere.  Lo spettacolo vanta il primo premio del concorso per nuove opere “Forse, domani Broadway” nel 2014 presso il Teatro Greco di Roma. Presidente in giuria il Maestro Gino Landi. Si narra che ogni notte a cavallo dell’11 settembre lo spirito di una nobildonna dall’aspetto etereo, quasi evanescente,  passeggi lentamente sul ponte di Castel Sant’Angelo, tenendo la sua testa sottobraccio. Per gli abitanti romani è lo  spirito di Beatrice Cenci. Qui per tutte le informazioni.

 

Categorie: Musica corale

Venezia, Teatro La Fenice: “Turandot”

Ven, 06/09/2024 - 19:38

Venezia, Teatro la Fenice, Lirica e Balletto, Stagione 2023/24
TURANDOT”
Dramma lirico in tre atti Libretto di Giuseppe Adami e Renato Simoni
Musica di Giacomo Puccini
Turandot SAIOA HERNÁNDEZ
L’imperatore Altoum MARCELLO NARDIS
Timur MICHELE PERTUSI
Calaf ROBERTO ARONICA
Liù SELENE ZANETTI
PingSIMONE ALBERGHINI
Pang VALENTINO BUZZA
Pong PAOLO ANTOGNETTI
Un mandarino ARMANDO GABBA
Il principe di Persia ALESSIO ZANETTI
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice
Direttore Francesco Ivan Ciampa
Maestro del Coro Alfonso Caiani
Piccoli Cantori Veneziani diretti da Diana D’Alessio
Regia Cecilia Ligorio
Scene Alessia Colosso
Costumi Simone Valsecchi
Light designer Fabio Barettin
Nuovo Allestimento Fondazione Teatro La Fenice 
Venezia, 3 settembre 2024
Torna alla Fenice la Turandot di Puccini nell’allestimento firmato da Cecilia Ligorio – con scene di Alessia Colosso, costumi di Simone Valsecchi e light design di Fabio Barettin –, che si basa su quello ideato dalla stesa regista veronese, insieme ai tre collaboratori appena citati, per la stagione 2018-2019. Mettere in scena l’ultimo titolo del catalogo pucciniano significa confrontarsi con una serie di enigmi. Non ci riferiamo tanto ai tre oscuri quesiti posti dall’algida principessa all’ardente Calaf, quanto ad un quarto enigma, ahimè, di impossibile soluzione: quello riguardante la scena finale, che Puccini riuscì solo ad abbozzare, prima che una morte prematura ponesse fine alla sua attività creativa. Peraltro, Turandot rimase incompiuta anche per il fatto che il compositore si era bloccato di fronte a cruciali problemi drammaturgici: soprattutto quello di rappresentare in modo credibile il repentino mutamento psicologico dei protagonisti. L’incarico di completare Turandot fu dato nel 1925 da Casa Ricordi a Franco Alfano, che peraltro si discostò molto dagli schizzi lasciati dal maestro, tra l’altro costruendo un finale, che richiede ai due interpreti di cimentarsi con una tessitura acutissima e di confrontarsi con un’ipertrofica orchestra. Così si opta generalmente per una versione ridotta. In ogni caso, non potremo mai sapere cosa intendesse Puccini con l’annotazione “Poi Tristano”, posta su un foglio di schizzi. Tornando alla concezione registica, Cecilia Ligorio vede nell’opera pucciniana la storia fiabesca del viaggio iniziatico di Calaf, a cui si intreccia quello della coppia Liù-Timur. Ma anche la crudele principessa dovrà affrontare, dopo l’incontro con Calaf, un suo percorso interiore verso il cambiamento. Anche le maschere – ognuna delle quali si confronta con i suo doppio bambino –sono, in questa messinscena che assegna loro particolare importanza, alla ricerca di una propria dimensione umana, nel momento in cui rimpiangono la “casa nell’Honan”, identificata con una vita da trascorrere serena, anziché al servizio di un potere violento. L’elemento fiabesco domina nelle scene – altamente metaforiche – poste da Alessia Colosso all’interno di una grande cornice di lacca blu, che delimita il regno della fiaba, della fantasia ed evoca la stessa Cina. Entro questa dimensione fantasmatica si agitano messaggi segreti, reconditi desideri, paure e sogni: così la luna diventa una grande sciabola che mozza il capo al Principino di Persia, le ombre dei defunti circondano Calaf e lo provocano, le stelle – una costellazione di lampadine – si spengono alla morte di Liù. Un impianto scenico, cui contribuisce con efficacia il disegno delle luci di Fabio Barettin, che privilegia la penombra finché, con la morte di Liù, alla fioca luce notturna subentra gradatamente quella del sole che sorge, e nel contempo i protagonisti assumono la loro propria identità. Originale la scelta di Simone Valsecchi, che – seguendo anche lui la logica dell’inconscio – ha disegnato costumi di varie fogge: ispirati a quelli delle popolazioni nomadi mongole (Calaf, Timur, Liù), desunti dalla tradizione cinese (Turandot, Altoum), di foggia contemporanea quelli per il popolo e il Mandarino, quest’ultimo munito anche di trench e ventriquattrore. La direzione musicale, Francesco Ivan Ciampa evidenzia – forse anche troppo – il ruolo estremamente suggestivo che Puccini assegna alle percussioni, nell’ambito di un potente organico orchestrale, tra l’altro, ispirato alle straussiane Salome ed Elektra. La sua lettura si caratterizza talora per un vigore esasperato di stampo espressionista, fin dal folgorante inizio in medias res – che ricorda l’incipit di Tosca –, il cui carattere sinistro è dovuto all’intervallo di quarta aumentata (tritòno), che intercorre tra la prima e la seconda cellula del tema. Ma il suo gesto direttoriale sa essere anche lieve nei momenti in cui l’orchestrazione diventa rarefatta come nella statica invocazione alla luna. Ne consegue un’interpretazione che restituisce tutta la modernità della partitura – dove, alla semplicità narrativa di una storia fiabesca, si contrappone un’indiscutibile ricchezza sinfonica –, immergendo il pubblico in una pluralità di stili e atmosfere, e nel contempo valorizzando la capacità – che solo Puccini aveva – di toccare immediatamente le corde dell’essere umano. Saioa Hernández è una principessa gelida ed altera: lo si è colto nel gesto come nell’uso della voce, particolarmente potente e corposa. Il soprano spagnolo ha brillato nell’ardua “In questa reggia”, affrontando agevolmente la tessitura siderale di questa pagina sublime. La sua Turandot è più incline ad un’espressività esasperata che alle espansioni liriche, nondimeno la sua “trasformazione” finale è apparsa abbastanza credibile, nonostante i problemi drammaturgici sopra accennati. Meno convincente il Calaf di Roberto Aronica , che ha manifestato qualche difficoltà con effetti sull’emissione – talora forzata – e sugli acuti – dal suono piuttosto aspro –, oltre che sulla capacità di prodursi in sfumature e sottigliezze interpretative, come si è constatato anche in “Nessun dorma”. Pienamente calata nella parte Selene Zanetti, che ci ha consegnato una Liù generosa ed eroica nel suo rinnegare se stessa per amore in antitesi all’egocentrismo della protagonista, imponendosi nelle sue due arie (“Signore, ascolta “ e “Tu, che di gel sei cinta”), nonostante qualche limitata défaillance. Ben timbrato e convincente nei panni di Timur Michele Pertusi. Affiatato nell’insieme, ma anche efficace nei singoli interventi, il Trio delle Maschere: Simone Alberghini (Ping), Valentino Buzza (Pang), Paolo Antognetti (Pong). Autorevole l’Altoum offerto da Marcello Nardis come il Mandarino di Armando Gabba. Ottima – per intonazione, coesione e fraseggio – la prestazione del Coro della Fenice e dei Piccoli Cantori Veneziani, rispettivamente istruiti da Alfonso Caiani e Diana D’Alessio. Applausi più che convinti a fine serata.

Categorie: Musica corale

César Franck (1822-1890): “Hulda” (1885)

Gio, 05/09/2024 - 17:20

Opéra en quatre actes da un dramma de Bjørnstjerne Bjørnson, libretto di Charles Grandmougin. Jennifer Holloway (Hulda), Véronique Gens (Gudrun), Judith van Wanroij (Swanhilde), Marie Gautrot (La Mère de Hulda / Halgerde), Ludivine Gombert (Thördis), Edgaras Montvidas (Eiolf), Matthieu Lécroart (Gudleik), Christian Helmer (Aslak), Artavazd Sargsyan (Eyric), François Rougier (Gunnar), Sébastien Droy (Eynar), Guilhem Worms (Thrond), Matthieu Toulouse (Arne / Un Héraut). Choeur de Chambre de Namur, Thibaut Lenaerts (maestro del coro), Orchestre Philharmonique Royal de Liège, Gergely Madaras (direttore). Registrazione: Namur – Concert Hall, 17 maggio 2022 e Liegi – Salle Philharmonique de Liège, 18-20 maggio 2022. 3 CD Fondazione Palazzetto Bru Zane
Il 2022 è stato l’anno del bicentenario della nascita di César Franck e la fondazione palazzetto Bru Zane non poteva perdere l’occasione di celebrare il compositore vallone. Titolo di punta delle celebrazioni è stata la prima registrazione integrale di “Hulda” sua principale opera lirica. Musicata tra il 1879 e il 1885 l’opera non riuscì mai ad andare in scena vivente il compositore e trovo la via del palcoscenico solo in una versione ridotta e rimaneggiata a Montecarlo nel 1894. L’occasione è quindi particolarmente interessante per vedere le doti di Franck alle prese con un genere per lui non abituale come quello dell’opera lirica. La vicenda è ispirata a una saga norvegese medioevale e attesta l’interesse verso il mondo nordico della cultura francese di fine secolo influenzata dai drammi wagneriani (l’esempio più noto è forse il “Sigurd” di Reyer del 1884).
L’opera si pone a cavallo tra la tradizione del grand’opéra – particolarmente evidente sul piano strutturale, la presenza di echi wagneriani e le ben note qualità sinfoniche di Franck. Non sorprende quindi la qualità magistrale della scrittura orchestrale che emerge ovviamente nei brani strumentali – come il lungo balletto del IV atto dove per altro la cupa ambientazione norrena cede il campo a una luminosità da miniatura gotica – ma sottende e guida in modo centrale anche il canto. Franck si dimostra abile anche nel trattamento delle voci con uno stile che alterna un prevalente declamato arioso a intense aperture melodiche di stampo prettamente francese e poco sensibile al gusto wagneriano così come assai poco significativo è l’uso di motivi conduttori. Sul piano drammaturgico l’opera risente di quella tenenza alla dispersione che accomuna molti lavori francesi del tempo con numerose pagine di contorno – tra cui si segnalano per la qualità della scrittura quelle corali – pagine di grande intensità e momenti un po’ buttati via – veramente mal sfruttato è il centrale episodio del duello tra Gudleik ed Eiolf così come poco evidenziata e la morte di quest’ultimo. Un lavoro quindi forse carente sul piano teatrale ma di altissima qualità musicale che la registrazione discografica permette di godere appieno grazie allo splendido suono.
La presente registrazione è pienamente in grado di rendere all’opera tutti i suoi meriti. L’Orchestre Philharmonique Royal de Liège è guidata per l’occasione dall’ungherese Gergely Madaras presenza forse un po’ esotica che dimostra di conoscere perfettamente gusto e stile del compositore e propone una lettura attenta ed equilibrata, capace di rendere la natura complessa della partitura e di mantenere un’apprezzabile unità d’insieme riuscendo a valorizzare la qualità musicale della scrittura di Franck. Il Chœur de Chambre de Namur è ben noto per essere una delle migliori compagini corali per la musica barocca e classica. Qui alle prese con un repertorio assai diverso dimostra tutta la propria completezza fornendo un’esecuzione impeccabile e senza mostrare alcuna difficoltà – nonostante i numeri ridotti della formazione – a svettare sull’imponente orchestra di Franck.
Il cast vocale è dominato dalla protagonista cui gli altri personaggi vengono in qualche modo a ruotare intorno. L’americana Jennifer Holloway non è  un nome particolarmente noto al pubblico europeo ma si dimostra cantante di notevole statura. Alle prese con una parte ampia e vocalmente impegnativa mostra grande  sicurezza grazie a uno strumento vocale solito e omogeneo, che svetta sicura sulla massa orchestrale – solo qualche durezza sugli estremi acuti – facendosi anche apprezzare per il gusto raffinato e musicale. Sul piano espressivo – anche grazie all’ottima dizione francese – tratteggia un personaggio ricco e appassionato, cogliendo al meglio una personalità complessa e spesso estrema nei suoi atteggiamenti.
In generale è proprio la parte femminile del cast che s’impone maggiormente. Véronique Gens affronta con la classe che ben si conosce il ruolo della regina Gudrun riuscendo a dare interessante spessore a un ruolo di suo un po’ monocorde. Judith van Wanroij è una radiosa Swanhilde mentre Marie Gautrot ha forse una vocalità troppo chiara per essere la madre di Hulda ma canta assai bene. Ludivine Gombert volteggia brillante e sicura nei panni di Thördis uno di quei ruoli di carattere così tipici dell’opera francese.
Corretti ma nel complesso più anonimi gli uomini. Edgaras Montvidas è un tenore lirico dalla voce morbida e dal canto elegante che cesella con raffinato lirismo i duetti con Hulda e Swanhilde ma manca un po’ del piglio epicheggiante che Eiolf richiede in alcuni punti. Corretto ma un po’ anonimo Matthieu Lécroart nei panni del perfido Gudleik, ruolo per altro assai mai sfruttato dal libretto. Bravi nei ruoli di contorno Christian Helmer,  Artavazd Sargsyan, François Rougier, Sébastien Droy e Guilhem Worms che forniscono prezioso contributo ai numerosi pezzi d’insieme. Come sempre ricchissimo il libretto di accompagnamento.

 

Categorie: Musica corale

101° Arena di Verona Opera Festival 2024: Michele Spotti dirige i Carmina Burana

Gio, 05/09/2024 - 00:14

101° Arena di Verona Opera Festival 2024
Orchestra e Coro della Fondazione Arena di Verona
Coro di voci bianche A.LI.VE, Coro di voci bianche A.D’A.MUS.
Direttore Michele Spotti
Maestro del Coro Roberto Gabbiani
Voci bianche dirette da Paolo Facincani, Elisabetta Zucca
Soprano  Gilda Fiume
Controtenore Filippo Mineccia
Baritono Youngjun Park
Carl Orff:“Carmina Burana”                                                                                    
Verona, 1 settembre 2024
A due anni di distanza dall’ultima rappresentazione, la monumentale cantata scenica di Carl Orff torna a risuonare nella vastità degli spazi areniani. Composta tra il 1935 e il 1936 con il titolo “Carmina Burana: Cantiones profanae cantoribus et choris, comitantibus instrumentis atque imaginibus magicis”, è basata su 24 componimenti poetici scelti tra la raccolta medioevale rinvenuta nel 1803 presso il monastero di Benediktbeuern, in Alta Baviera, dove era conservato il Codex Buranus. Si tratta di componimenti scritti dai goliardi e dai clerici vagantes, studenti che nel Basso Medioevo si spostavano per l’Europa. In un’epoca gravata oltremodo dalla propaganda nazista, questo repertorio era del tutto sconosciuto ed ignorato non sono dalla massa ma dalla stessa comunità musicale; Orff se ne appassionò, attratto dalla varietà degli argomenti trattati, arrivando a musicare 24 poesie in prevalenza su testo latino, il resto in alto tedesco e provenzale antico. Su tutte, la celeberrima O fortuna che apre e chiude la composizione, usata (ed abusata) spesso in diverse occasioni. Invisi al regime nazista per il contenuto erotico, licenzioso ed anticlericale di alcuni canti, i Carmina Burana richiedono un organico massiccio per esaltarne i colori, le melodie, le caratteristiche ritmiche e le sonorità strumentali che Orff tratta magistralmente creando suggestioni sonore accattivanti. La serata areniana vedeva sul podio l’orchestra e il coro della Fondazione al gran completo, due cori di voci bianche posizionati ai lati e i tre solisti. Partiamo dunque da questi ultimi con il soprano Gilda Fiume che dispiega un timbro luminoso sorretto da un uso impeccabile dei fiati e da una singolare musicalità, qualità non sempre scontata nei cantanti, incapaci talvolta di svincolarsi dai canoni stilistici dell’opera; qui il soprano dimostra un’intelligente compenetrazione nel Medioevo musicale immaginario di Orff. Filippo Mineccia, controtenore già presente nel 2022, eleva il suo canto con un timbro morbido e vellutato, mai invadente e con misurata emissione proponendo con garbata ed efficace ironia l’assolo Olim lacus colueram ottimamente interpretato con chiarezza di dizione. A chiudere il terzetto il baritono coreano Youngjun Park, dalla vocalità perentoria eppure capace di sfumature sonore morbide e vellutate cui si aggiungono una singolare capacità di declamazione ed intelligenza musicale, ampiamente dimostrata negli assoli, in particolare in Estuans interius. Dopo le bacchette di Battistoni e di Ezio Bosso, quest’anno la direzione era affidata a Michele Spotti, direttore che si sta costruendo una carriera di tutto rispetto. Dotato di gesto ampio, chiaro, teatrale, la sua concertazione non ha dato tuttavia l’impressione di uno scavo nella ricca partitura, basandosi su una semplice osservazione pedissequa delle indicazioni dell’autore e determinando un discorso musicale ben definito; un’interpretazione incompleta, sulla quale si sarebbe potuto lavorare a lungo, con qualche prova in più. Al netto di questo, però, è da sottolineare l’impegno dell’orchestra della Fondazione Arena, lodevole in ogni sezione (soprattutto le percussioni, in evidenza ma mai ridondanti) e del coro, preparato da Roberto Gabbiani, sempre sul pezzo nonostante qualche lieve imprecisione nelle sezioni maschili. Ottime, come sempre, le voci bianche del coro  A.LI.VE. e del coro A.D’A.MUS. diretti rispettivamente da Paolo Facincani e Elisabetta Zucca. Vivi i consensi da parte di un pubblico numeroso che ha riempito l’anfiteatro con qualche vuoto in platea; gli applausi, generosi, hanno salutato quasi ogni singolo brano con vivo disappunto di qualche purista. Ma questa è una delle liturgie dell’Arena di Verona. Foto Ennevi per Fondazione Arena

Categorie: Musica corale

Francesco Pegoretti: Il Genio delle Acconciature tra Cinema, Teatro e Lirica

Mar, 03/09/2024 - 18:36

Francesco Pegoretti, figura di spicco nel mondo dell’acconciatura per cinema, teatro, lirica, sfilate di moda ed eventi di lusso, ha saputo trasformare le visioni dei registi e creativi in realtà visive grazie alla sua maestria con i capelli. Con una carriera costellata da numerosi riconoscimenti, tra cui una nomination all’Oscar per Pinocchio (2019) e due David di Donatello nel 2016 e nel 2020, Pegoretti ha dimostrato un’abilità eccezionale nel creare acconciature che arricchiscono l’estetica di film, spettacoli teatrali e opere liriche. Il suo lavoro su progetti come Napoleon (2023) e Finalmente l’alba (2023) evidenzia la sua capacità di gestire progetti complessi . La sua dedizione ha elevato lo standard dell’hairstyling in molteplici ambiti, ispirando nuove generazioni di artisti e lasciando un’impronta indelebile nell’industria.
Come percepisci l’evoluzione delle acconciature nel cinema e nella televisione, specialmente in un’epoca in cui la tecnologia digitale sta diventando sempre più dominante?
L’acconciatura rappresenta ancora un mondo antico e artigianale, nonostante l’avanzata del digitale. Sebbene le nuove tecnologie possano correggere difetti ed errori, l’acconciatura rimane ancorata a un sapere tradizionale, fatto di gesti, esperienza e maestria manuale. Il digitale offre strumenti utili, ma non può sostituire la sensibilità e l’intuizione che derivano dall’esperienza diretta e dall’interazione fisica con il capello, mantenendo così l’acconciatura come un’arte tra tradizione e innovazione.
Quali sono gli elementi chiave che prendi in considerazione quando inizi a lavorare su un nuovo progetto, e come questi influenzano le tue scelte artistiche e creative?
Il processo creativo inizia sempre dalla sceneggiatura e da un dialogo con il regista, durante il quale raccolgo le parole chiave che orientano la mia ricerca. Attraverso un’indagine rigorosa e una rilettura critica, costruisco un immaginario ricco e coerente, capace di arricchire la rappresentazione con autenticità e profondità.
In che modo la tua formazione e le tue esperienze passate hanno modellato il tuo approccio  al lavoro, e come questo approccio è cambiato nel tempo?.
Crescendo, l’esperienza accumulata arricchisce il proprio bagaglio professionale, ma ogni film rappresenta sempre una nuova sfida, come il primo giorno di scuola. Ogni progetto ha una storia unica, una vita propria, che richiede la capacità di adattarsi e reinventarsi continuamente. È necessario attingere alle esperienze passate, facendole proprie, ma al contempo guardare con occhi nuovi e curiosi verso ciò che è inedito, verso l’ignoto che ogni nuova opera porta con sé.
Nel contesto di film storici, come affronti la sfida di ricreare acconciature che siano non solo fedeli all’epoca rappresentata, ma anche funzionali alle esigenze pratiche di riprese lunghe e impegnative? Quali tecniche o materiali innovativi utilizzi per garantire che le acconciature mantengano la loro integrità per tutta la durata delle riprese?
Sono profondamente fedele alle tecniche del periodo storico, ma amo inserire sempre un tocco contemporaneo che aggiunga freschezza e originalità. L’ampia varietà di materiali disponibili, così come l’uso sapiente di parrucche e posticci, sono strumenti preziosi che permettono di ampliare le possibilità creative. L’obiettivo principale è costruire un mondo credibile e autentico, lontano da un’eccessiva rigidità accademica, che serva a sostenere il racconto e favorisca la trasformazione degli attori e delle comparse in personaggi vividi e distinti.
Le acconciature cinematografiche possono spesso diventare un elemento iconico di un film. Come decidi quando è appropriato spingere i confini creativi delle acconciature per renderle distintive e memorabili, rispetto a quando mantenere un approccio più sobrio per servire meglio la narrazione e il realismo della storia?
Tutto dipende dalla sceneggiatura e dalla visione del regista. Mi impegno a seguire la sua immagine, cercando di trovare in ogni scena il giusto equilibrio. Non mi preoccupo se ciò che sto creando diventerà iconico in futuro; il mio obiettivo è trovare quel dettaglio che renda il personaggio autentico, credibile e profondamente umano.
Attualmente, su quale progetto stai lavorando e quali sfide o opportunità uniche stai incontrando in questo lavoro?
Al momento, sono immerso nel lavoro per la seconda stagione di “Mercoledì” di Tim Burton, un progetto che si sta rivelando un’esperienza straordinariamente stimolante e magica. Tuttavia, per ora, ogni dettaglio su ciò che stiamo creando deve rimanere avvolto nel mistero. Il viaggio creativo è in pieno fermento, ma le sorprese che riserva questo percorso meritano di essere svelate solo al momento giusto, quando la storia potrà dispiegarsi appieno di fronte agli occhi del pubblico.
C’è stato un momento particolare nella tua vita in cui hai capito che questo tuo percorso lavorativo sarebbe stata la tua strada? Come hai vissuto quel momento e come ha influenzato le tue scelte future?
Sin da bambino, sapevo che questo era il mestiere che volevo fare; non ho mai avuto alcun dubbio al riguardo. Certo, i miei 18-20 anni sono stati un periodo complesso, un momento di riflessione profonda per comprendere davvero quale fosse la mia strada, ma una volta intrapreso il cammino, la certezza non mi ha mai abbandonato. Mi considero fortunato, perché faccio il lavoro che ho sempre desiderato e, soprattutto, che amo profondamente. Il cinema, infatti, non si può fare senza una passione autentica e profonda; richiede un amore totale, incondizionato.
La tua carriera ti ha portato a lavorare su progetti internazionali di grande rilevanza. Quali esperienze al di fuori dell’Italia ti hanno influenzato maggiormente, sia a livello professionale che personale?
Ogni film a cui ho lavorato è stato fondamentale per il mio percorso creativo e personale. Progetti come Napoleon di Ridley Scott, Carnival Row e Chevalier hanno rappresentato sfide significative e opportunità di crescita, permettendomi di sperimentare nuovi orizzonti artistici. Queste esperienze mi hanno dato grande soddisfazione e visibilità, contribuendo a consolidare la mia voce e il mio stile in un contesto sempre più ampio.
Qual è il tuo sogno o obiettivo personale che speri di realizzare attraverso il tuo lavoro nel cinema e nella televisione, e in che modo pensi che questo sogno si intrecci con la tua crescita personale?
Il mio sogno è continuare a coltivare la mia creatività attraverso nuove opportunità che arricchiscano sia la mia crescita professionale che personale. Aspiro a rinascere ogni giorno attraverso l’arte, imparando dalle esperienze e esplorando nuove prospettive, in un viaggio di scoperta e crescita senza fine.

Categorie: Musica corale

Pompei, Parco Archeologico: “Aperture Notturne nei Siti del Parco Archeologico di Pompei, Oplontis, Stabia e Boscoreale”

Mar, 03/09/2024 - 13:30
Dal 7 settembre presso i siti del Parco archeologico, PompeiVilla Arianna e Villa San Marco, il Museo archeologico libero D’Orsi a Stabia, Villa di Poppea a Oplontis, l’Antiquarium e Villa Regina a Boscoreale, prendono il via gli appuntamenti serali. A Pompei sabato 7, 14 e 21 settembre le passeggiate serali prevedono un doppio itinerario al costo di 7 € (riduzioni e gratuità come da normativa), che consentirà l’accesso ad alcune case del lato orientale della città antica e alla Palestra grande, e dall’altro lato alla Villa dei Misteri. Il primo itinerario con ingresso da Piazza Anfiteatro consentirà di passeggiare tra alcune delle più eleganti domus pompeiane: i Praedia di Giulia Felice, una vera e propria villa urbana con ampio giardino e dallo scenografico porticato con colonne in marmo scanalate, la Casa della Venere in Conchiglia, che prende nome dal grande affresco posto su una parete del giardino,  e la casa di Loreio Tiburtino, caratterizzato da un grande canale ad imitazione di un paesaggio nilotico e da quadretti mitologici dalle Metamorfosi di Ovidio. Il percorso include l’accesso alla Mostra “L’altra Pompei. Vite comuni all’ombra del Vesuvio” allestita presso la Palestra grande degli scavi. Da Piazza Anfiteatro partirà anche l’attività dedicata ai più piccoli e alle famiglie, organizzata dal Pompeii Children’s Museum che prevede la visita didattica speciale nelle domus del percorso, preceduta da una performance attoriale presso Casa Rosellino, a cura di Fabio Cocifoglia, sotto il grande Cavallo rosso di Mimmo Paladino.  Il costo è di 5 € a partecipante (oltre il costo ingresso al sito) e la durata della visita + performance è di circa 1 ora e 40 minuti, con inizio alle ore 20.00.  Le prenotazioni e l’acquisto biglietti si possono effettuare online scrivendo a info@pompeiichildrensmuseum.it L’altro percorso, incluso nel biglietto di 7€, prevede l’ingresso diretto da strada urbana esterna, alla Villa dei Misteri illuminata, iconica villa suburbana che deve il suo nome al salone delle megalografie con scene dei misteri dionisiaci. L’orario di accesso alla Villa dei Misteri sarà il seguente: 19.30-23.30 con ultimo ingresso alle 22.30. Durata del percorso: circa 40 minuti Sarà possibile usufruire del servizio navetta Pompeii Artebus in partenza da Piazza Esedra (orari consultabili sul sito www.pompeiisites.org). La Villa di Poppea ad Oplontis, maestosa dimora attribuita alla seconda moglie di Nerone, sarà aperta per le passeggiate serali il 7 settembre in occasione della Notte Bianca, organizzata dal comune di Torre Annunziata, e a seguire il 13 settembre. Il percorso serale consente di ammirare anche la suggestiva esposizione di statue e opere che arricchiscono la visita agli ambienti della villa, nell’ambito di un progetto di Museo diffuso permanente. Per la Notte Bianca sono in programma visite sul tema “Vinalia Rustica” con degustazione di vini locali e lettura di versi di poeti greci e latini a cura dell’Archeoclub di Torre annunziata – “Mario Prosperi.”
La Villa Arianna e Villa San Marco a Castellammare di Stabia, due esempi di grandiose ville aristocratiche romane, un tempo con affaccio panoramico sul mare, saranno visitabili di sera nei giorni: venerdì 13 e venerdì 20 settembre. Anche il Museo archeologico di Stabia, presso la Reggia del Quisisana sarà visitabile la sera di venerdì 13 e di venerdì 20 settembre, nel suo allestimento rinnovato di recente e arricchito di nuovi reperti provenienti dal territorio e dalle ville di Stabia. Il 13 settembre è prevista l’apertura straordinaria dei depositi archeologici. A conclusione del percorso di visita del museo, il visitatore sarà calato fisicamente nei sotterranei del palazzo reale, per visitare il nuovo allestimento dei depositi. Il 20 settembre (alle ore 19.30 e alle ore 21.00 per gruppi di 35 persone per turno) è in programma una visita teatralizzata al Museo “Dialoghi con Stabia” a cura del Comitato per gli Scavi di Stabia. Con il supporto artistico degli allievi della scuola Tavole da Palcoscenico Academy (di Maia e Iolanda Salvato), diretti dall’attore e drammaturgo stabiese Cristian Izzo, andrà in scena una suggestiva rappresentazione di “Labirinti – Teseo, Arianna, Dioniso”, una installazione/performance immersiva da Cesare Pavese a Jorge Luis Borges. La performance si inserirà all’interno di una visita, guidata da un socio esperto del Comitato che condurrà i visitatori nelle bellezze artistiche del Museo, seguendo il file rouge rappresentato dalla figura di Arianna tanto cara a Stabiae, per una serata sospesa tra mito e realtà.  L’evento è promosso dal Comitato per gli Scavi di Stabia, in collaborazione con Tavole di Palcoscenico Academy, con Serena Cascone, Maria Giovanna Danise, Annamaria Falcone, Cosimo Guida, Renato Marrazzo, Arturo Antonio Ruggiero, Imma Sorrentino. Regia di Cristian Izzo.  È tuttavia possibile effettuare la visita al museo in autonomia. L’Antiquarium di Boscoreale e la Villa Regina saranno aperti sabato 7, 14 e 21 settembre. La passeggiata serale consente la vista a Villa Regina, un esempio di fattoria romana dedita alla produzione del vino e all’Antiquarium che dall’anno scorso espone, oltre e reperti del territorio vesuviano, anche una nuova sala interamente dedicata alle recenti scoperte della villa suburbana in località Civita Giuliana, tra le quali il celebre carro cerimoniale e il calco del cavallo. Inoltre, sempre nel mese di settembre si celebrano in tutti i siti della Grande Pompei, sabato 28 e domenica 29 le GEP, Giornate Europee del Patrimonio, che a Pompei in particolare saranno caratterizzate da un grande evento che conclude gli appuntamenti con i Ludi Pompeiani. (Ingresso al costo consueto). Sarà previsto un grande raduno dei gruppi storici del I secolo d.C. composto da oltre 100 rievocatori con accampamento militare nei pressi dell’anfiteatro. L’arena sarà, difatti, nuovamente sede di dimostrazioni di Legionari in formazione e combattimenti gladiatori con un torneo dedicato all’Imperatore Tito, impersonato e rievocato nell’occasione. Sarà, inoltre, evidenziata la compagine di Corte imperiale composta da Pretoriani e da tutti gli altri ufficiali delle Legioni presenti. Il Foro sarà sede della rievocazione di una cerimonia religiosa, cui seguirà un corteo storico che si sposterà verso l’Anfiteatro, attraversando la via dell’Abbondanza. In occasione delle GEP, sarà prevista in tutti i siti del Parco apertura serale sabato notte 28 settembre al costo di 1€, dalle ore 20.00 alle 23.00 (ultimo ingresso ore 22.00). A Pompei gli orari di accesso, per il percorso con accesso all’Anfiteatro, saranno i seguenti: ore 20.00-23.00 (ultimo ingresso ore 21.30).
Categorie: Musica corale

Ercolano, Parco Archeologico: “”Il Teatro Antico Riapre: Visite Esclusive nel Cuore Sotterraneo dell’Archeologia”

Mar, 03/09/2024 - 13:00
Venerdì 30 agosto si è tenuta l’ultima serata ai percorsi del Parco Archeologico di Ercolano I Venerdì di Ercolano che, come ogni estate, si confermano la scelta preferita per le serate da trascorrere all’aria aperta ma immersi nel suggestivo scenario delle antiche strade illuminate e rese vive grazie alle performances teatrali create ad hoc da Teatri 35. Sono stati 2.487 i fortunati visitatori che hanno potuto accedere nonostante i numerosi i sold out nei 16 turni che si sono ripetuti ogni venerdì a partire dal 2 agosto. L’itinerario del 2024 ha dato valore particolare all’Antica Spiaggia, fissando la partenza del percorso dal simbolico luogo recentemente restituito alla fruizione dei visitatori, per proseguire all’interno di case e strade in un viaggio nel tempo, sulle tracce di Ercole, ravvivate dalle esibizioni degli attori di Teatri 35. “Ancora un anno di successi – dichiara il Direttore Sirano – sono orgoglioso che il Parco sia protagonista delle scelte dei visitatori del territorio durante l’estate e soddisfatto delle opportunità che offriamo andando incontro alle diverse esigenze. Così per le serate dei Venerdì, come per la novità dei percorsi all’alba che anche ha riscontrato il suo interesse. Veniamo dalla prima domenica di settembre con 1.837 visitatori e ci apprestiamo a riaprire il Teatro Antico per riproporre un’esperienza catartica e suggestiva a metri e metri di profondità, un invito ad unire all’esplorazione del sito all’aperto l’emozione della visita sotterranea” Gli ingressi accompagnati al Teatro Antico riprendono il 4 settembre e si ripeteranno con un aperture bisettimanali in gruppi di 10 persone fino al 9 novembre con 6 turni di visita. I visitatori potranno trasformarsi in esploratori con caschi, mantelline e torce, per andare alla scoperta della storia dell’antica città;  un viaggio nel tempo attraverso i cunicoli settecenteschi accompagnati dal personale del Parco nell’ambito del progetto di valorizzazione. Le visite si svolgeranno il mercoledì e il sabato alle 9:30, 10:30, 11:30, 14:30, 15:30, 16:30, (in lingua inglese alle ore 11.30 e 16.30). I biglietti potranno essere acquistati on line sul sito http://ercolano.coopculture.it e direttamente presso la biglietteria del Parco. Per maggiori info www.ercolano.beniculturali.it.
Categorie: Musica corale

Giovanni Da Verrazzano: Dal Rinascimento a New York City

Mar, 03/09/2024 - 11:23

GIOVANNI DA VERRAZZANO: DAL RINASCIMENTO A NEW YORK
Il documentario “Giovanni Da Verrazzano: Dal Rinascimento a New York City“, diretto da Giuseppe Pedersoli e prodotto da Alan Friedman, riporta alla luce l’avvincente storia dell’esploratore italiano che affrontò l’ignoto con spirito innovativo e rispetto per le culture indigene. Questo film, presentato con successo a New York e Firenze, non solo esplora documenti inediti ma offre anche nuove prospettive su un uomo che, con passione e intuizione, tracciò rotte di esplorazione che hanno unito continenti, promuovendo il dialogo e la scoperta reciproca. Nel fervente clima del XVI secolo, dominato dalle esplorazioni delle grandi potenze europee, Giovanni da Verrazzano emerge come una figura di straordinario rilievo al servizio della Francia. In un’epoca segnata dal fermento culturale del Rinascimento italiano, Verrazzano incarnava la sete di conoscenza e la voglia di esplorazione tipiche del suo tempo. Nato a Greve in Chianti, vicino Firenze, intorno al 1485, proveniva da una famiglia agiata e fu probabilmente influenzato dalla vibrante scena intellettuale fiorentina. Dopo essersi trasferito in Francia, fu scelto dal re Francesco I per esplorare nuove rotte verso l’Asia attraversando il Nuovo Mondo. La sua più famosa impresa, nel 1524, lo vide navigare lungo la costa orientale del Nord America, mappando territori inesplorati dalla Carolina del Nord fino a Terranova. A differenza di molti suoi contemporanei, Verrazzano cercò il dialogo e lo scambio pacifico con le popolazioni indigene, come i Narragansett, invece di perseguire conquiste territoriali. Questo approccio umanista lo rende una figura affascinante, come evidenziato nel documentario “Giovanni Da Verrazzano: Dal Rinascimento a New York City“. Il Docufilm, presentato in anteprima mondiale il 17 aprile 2024 al Paley Media Center di New York per commemorare il 500º anniversario del suo arrivo nella baia di New York, e successivamente a Firenze, nel Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio, il 23 aprile 2024, ha attirato grande attenzione per la sua accuratezza storica e narrazione coinvolgente. Pedersoli, alla regia, fonde con maestria il rigore storico con un’estetica cinematografica elegante, mentre le musiche di Marco Marrone amplificano l’intensità emotiva della narrazione. La colonna sonora si armonizza con la voce narrante di Neri Marcorè, creando un’esperienza fluida e avvolgente per lo spettatore. Il montaggio di Davide La Porta, delicato come le acque solcate da Verrazzano, mantiene una continuità narrativa che permette allo spettatore di immergersi nel viaggio senza interruzioni. L’interpretazione mimica di Carlo Pedersoli Jr. nel ruolo di Verrazzano, priva di dialoghi espliciti, enfatizza gesti ed espressioni, offrendo una rappresentazione intensa delle esperienze vissute dall’esploratore. La sceneggiatura è arricchita da interventi di storici e studiosi, creando un racconto unico che bilancia approfondimento e accessibilità. Tra le rivelazioni del documentario, emergono documenti inediti, come quelli relativi al finanziamento della spedizione di Verrazzano da parte della Banca Gondi, scoperti dall’archivista Marco Calafati. Questi documenti, che evidenziano un investimento di 700 scudi, offrono una nuova prospettiva sulle motivazioni e le sfide affrontate dall’esploratore per ottenere il sostegno del re francese Francesco I, aggiungendo ulteriore autenticità storica al racconto. Oggi, il nome di Verrazzano risuona ancora attraverso il Ponte Verrazzano-Narrows di New York, inaugurato nel 1964, che collega Brooklyn a Staten Island. Questo ponte, uno dei più lunghi al mondo, simboleggia non solo un collegamento fisico, ma anche il legame culturale tra l’Europa e il Nuovo Mondo, celebrando la curiosità e lo spirito di dialogo di Verrazzano. Già trasmesso su Rai 3 e ora disponibile su RaiPlay, “Giovanni Da Verrazzano: Dal Rinascimento a New York City” invita gli spettatori a riscoprire la figura di un esploratore che ha unito mondi lontani attraverso la curiosità e il dialogo, non la forza. In questo contesto, una citazione di Carl Sagan appare particolarmente appropriata: “Da qualche parte, qualcosa di incredibile è in attesa di essere conosciuto.” Verrazzano incarna pienamente questa visione, esplorando nuovi territori non solo per espandere confini geografici, ma per abbracciare l’ignoto con un desiderio di apprendimento e connessione. Dopo questa prima spedizione, Verrazzano ne intraprese altre due. Nell’ultima, il suo obiettivo era raggiungere l’Estremo Oriente. La spedizione del 1528, che includeva suo fratello Girolamo, si arenò alle Bahamas. Verrazzano e parte dell’equipaggio sbarcarono per esplorare l’isola. Nonostante non ci siano dati certi sulla sua morte, molti raccontano che durante questa spedizione Verrazzano e il suo gruppo furono catturati da indigeni cannibali e uccisi, mentre suo fratello Girolamo osservava impotente dalla nave ammiraglia. Fu questa la vera fine di questo indomito esploratore? Non lo sapremo mai con certezza. Tuttavia, possiamo affermare che Giovanni da Verrazzano fu il primo europeo a esplorare la costa atlantica degli odierni Stati Uniti e che per molto tempo non ha ricevuto i riconoscimenti che meritava. Giovanni da Verrazzano: Il Documentario di Alan Friedman e Giuseppe Pedersoli tra Passione e Nuove Scoperte offre così non solo un omaggio a un grande navigatore, ma anche un invito a riflettere sul vero significato della scoperta, trasformando ogni incontro con l’altro in un’opportunità per rinnovare la nostra percezione del mondo.

Categorie: Musica corale

Roma, Palazzo Primoli: “Intrecci di Vita e Arte: La Casa Museo di Mario Praz, Scrigno di Memorie e Passioni”

Lun, 02/09/2024 - 19:32

CASA MUSEO MARIO PRAZ
Dall’assolato pomeriggio romano scivoliamo nella penombra dell’atrio di Palazzo Primoli, lo stesso che accanto ospita il suggestivo Museo Napoleonico. Al terzo piano dell’edificio gentilizio, veniamo introdotti nella Casa Museo di Mario Praz. “Travelling, Empire forniture”, rispose alla domanda sulle sue distrazioni. Tre parole per le passioni di tutta una vita, quella di uno dei più acuti e originali intellettuali del’900 italiano. Critico d’arte, scrittore, anglista, traduttore, giornalista, fu docente alla Sapienza per la prima cattedra di letteratura inglese in Italia, mentre a Manchester deteneva quella di Letteratura italiana. Autore di testi di capitali nella storia del gusto europeo come “La carne, la morte e il diavolo nella Letteratura romantica” o “Il patto col serpente”, ma anche una “Storia della letteratura inglese” sulla quale si sono formati generazioni di studenti. Ma Praz non era solo questo, ci ammonisce il critico e scrittore statunitense Edward Wilson, che per Praz coniò l’epiteto di The Genie of via Giulia. In via Giulia si trovava infatti all’epoca la dimora di Mario Praz e fu in quella casa che iniziò questa leggendaria collezione di oggetti che ora ci abbaglia e di cui scrisse nel suo “La casa della vita” del 1958. Dal 1969, in seguito ad un tentativo di furto, che Praz visse come una intima violazione, lo scrittore si trasferì a Palazzo Primoli, dove rimase fino alla sua morte. L’appartamento è stato mantenuto così com’era alla morte del proprietario dal Ministero della Cultura, che acquistò la collezione e aprì al pubblico il museo nel 1995. Il primo marzo del 2024, dopo due anni di intensi restauri, la casa riapre sotto la direzione di Francesca Condò, per raccontare con i suoi 1200 reperti ed arredi il mondo interiore di un Genie.  Cristalli di Boemia scintillano accanto a bronzi francesi, mentre il verde delle malachiti russe ospitano delicate porcellane tedesche. Mobili italiani sostenuti da piedini a forma di tartaruga, come voleva a moda dell’epoca, guardano ai busti degli zar e ai ritratti della famiglia dei Borboni e dei Bonaparte. Una vertiginosa varietà di oggetti e materiali ci avvolge e ci attira attraverso la casa museo mentre ad ogni passo emerge il ritratto di un gusto e di un’epoca, quella dell’Impero e della Restaurazione. La ricchezza della collezione non sta nella presenza di capolavori ma proprio in questo. L’anima del neoclassicismo è nobile e serena e profondamente gaia, diceva Praz. Dalle miniature di Santarelli, ai microintagli in legno di bosso, in cera, in tessuto, alle statue di marmo: la nostra guida, Ornella Sanni, ci racconta come Praz acquistasse da antiquari europei un oggetto e poi lo disponesse in un punto prestabilito della sua favolosa casa, così che il nuovo elemento entrasse in dialogo con il resto dell’arredamento, poiché quella posizione andava a liberare qualità e signicati che rivitalizzavano gli oggetti circostanti. È la stessa procedura che il Praz scrittore seguiva nella sua critica letteraria e artistica, rintracciando di ogni elemento le ascendenze lontane, identificando la persistenza di pattern e motivi. E vi diranno che lo Zeitgeist è una frottola e chi ci crede un sempliciotto, diceva Praz, grande evocatore nei suoi scritti e nella sua casa dello spirito di un’epoca e capace di restituirci attraverso la filosofia dell’arredamento incarnata nella sua dimora, l’immagine un’Europa raffinata e cosmopolita. Ma, ci dice la nostra guida, Praz non era un mero collezionista, lui questi oggetti li amava. E così avviene questa trasmutazione alchemica, per la quale un passé mort come lo chiamava Vernon Lee, la scrittrice da lui conosciuta e ammirata, diventa un passé vivant , proprio attraverso la memoria affettiva. E quel riunire due fatti o due oggetti all’apparenza slegati ritrova un’identità nascosta, una corrispondenza profonda e segreta. Perciò la casa museo può essere considerata la materializzazione di un atteggiamento critico che osserva gli oggetti più disparati alla ricerca di una loro intrinseca coerenza. Praz privilegia indubbiamente un’unità di tempo e di stile, come espresso compiutamente nella “Filosofia dell’Arredamento”, che registra il mutamento del gusto nella decorazione di interni attraverso i secoli. “La Casa della Vita” è la sua autobiografia, narrata attraverso questi stessi oggetti. Ed è forse per questo che i reperti che la sua curiosità rabdomantica sapeva scovare ovunque nei suoi viaggi, entravano in risonanza con la sua anima. Viene in mente a proposito la grande amicizia dello scrittore con Eugenio Montale, che diceva io sono amico dell’invisibile. Nella sua stanza vi è un letto acquistato da Praz poco prima del matrimonio con Vivien e che l’amico Montale aveva obiettato essere forse un po’ troppo piccolo. Al che lui, dopo breve riflessione, aveva risposto andrà benissimo così. Infatti, dice Montale in un’intervista, il matrimonio non durò molto. Sostando davanti ai dipinti Pieces of Conversation o Gruppi di famiglia, genere in voga in Inghilterra in quell’epoca, Ornella ci narra che Praz immaginava spesso che aspettassero che loro uscissero per riprendere la conversazione. E, scherzo del destino, in “Gruppo di famiglia in un interno”, intenso capolavoro con Silvana Mangano e Helmut Berger, Visconti si ispirò proprio a Praz per il personaggio del Professore, interpretato da Burt Lancaster, che infatti in una scena si vede sfogliare un libro dello scrittore. Quando Mario Praz vide il film si arrabbiò moltissimo, non riconoscendosi nel vecchio ombroso che amava gli oggetti e non sopportava le persone. Straordinari sono i dipinti che paiono prosecuzione degli ambienti in cui si trovano, ricostruiti a imitazione di quegli acquerelli biedermeier che Praz amava collezionare: l‘effetto è quello di una mise en abyme, tecnica per la quale l’immagine contiene una copia di se stessa. Ma chissà se nel mondo interiore di Praz era l’ambiente reale a contenere il quadro o, al contrario, era il quadro, l’arte, a contenere la vita.

Categorie: Musica corale

“Prima che ti svegli”: Angelo Mellone racconta l’amore tra verità e silenzi

Lun, 02/09/2024 - 18:34

 ANGELO MELLONE: PRIMA CHE TI SVEGLI
«…voglio parlare di noi e noi non è un dittongo ma un bisillabo al quale il trattino va tolto per riuscire a leggerne il significato, averlo meritato è l’impresa di una vita, il contorno di una ferita, la fine di un lamento, vedersi dopo la morte se è confermato l’appuntamento.»
Con queste parole della prefazione di Franco Arminio, il lettore viene introdotto al nuovo romanzo di Angelo Mellone, un’opera che si muove sul filo sottile delle emozioni, esplorando l’amore nelle sue molteplici forme.
Angelo Mellone, già noto per la sua attività di giornalista e dirigente televisivo, ha scelto con questo libro di indagare la complessità dei rapporti umani, facendo emergere la delicatezza delle verità celate tra due persone alla fine di una storia. “Prima che ti svegli” si svolge nell’arco di un’ultima notte condivisa tra D. e P., in cui ogni parola, gesto e silenzio diventa essenziale per comprendere il significato del loro legame e le verità che entrambi cercano di comunicare.
La scrittura di Mellone in quest’opera riflette una sensibilità profondamente “femminile” e intima, concentrandosi su un ascolto attento delle emozioni più sottili e dei momenti di vulnerabilità. È un’evoluzione significativa rispetto ai suoi lavori precedenti, come “Nessuna croce manca” e “Incantesimo d’amore”, dove l’autore esplorava temi di identità culturale e sociale, o in “Fino alla fine” e “Nelle migliori famiglie”, che trattavano le dinamiche familiari con una prospettiva più ampia.
In “Prima che ti svegli”, Mellone mostra un ulteriore sviluppo nella sua scrittura, che diventa più intima e dettagliata, rivolgendo l’attenzione verso le dinamiche profonde dell’amore. Questo approccio, arricchito dall’introduzione poetica di Franco Arminio, riflette un’autentica ricerca di autenticità e bellezza, ponendo il lettore di fronte a domande universali sul significato delle relazioni e sull’essenza dell’amore.
Mellone stesso descrive questo libro come un tentativo di raccontare l’amore “nella purezza del suo manifestarsi, nascondersi, eclissarsi“, usando parole dosate una per una. Invita i lettori a partecipare a questo viaggio narrativo, con l’auspicio che possano ritrovare nelle pagine una parte della propria storia emotiva, con la promessa di presentazioni future e forse, qualche sorpresa. “Prima che ti svegli” si presenta, dunque, come il punto di incontro tra introspezione emotiva e maturità narrativa, consolidando Mellone come un autore capace di raccontare la complessità dell’animo umano con sensibilità e profondità. Come scrisse Rainer Maria Rilke, “L’amore consiste in questo, che due solitudini si proteggono a vicenda, si toccano, si salutano.” Questo romanzo di Mellone riflette proprio questa complessità, raccontando un legame profondo tra due persone, un incontro tra vulnerabilità e autenticità che si manifesta in un’ultima notte condivisa.

Categorie: Musica corale

Louis Couperin (1626-1661): “Complete Harpsichord Music”

Lun, 02/09/2024 - 08:56

Louis Couperin (1626-1661): Suite No.1 in G minor; Suite No.2 in D minor; Suite No.3 in D; Suite No.4 in G minor; Prélude in G minor; Suite No.5 in A minor; Suite No.6 in A minor; Suite No.7 in A; Suite No.8 in C; Prélude in C; Suite No.9 in C; Suite No.10 in F; Suite No.11 in F; Suite No.12 in E minor; Suite No.13 in C minor; Suite No.14 in G; Suite No.15 in G; Suite No.16 in D minor; Suite No.17 in B minor; Pavane in F-sharp minor. Massimo Berghella (clavicembalo). Registrazione: 25-26 maggio e  22-23 dicembre 2021, 20-21 aprile 1-2 giugno 2022, Canepina, Viterbo, Italy. T. Time: 59′ 32″ (CD 1); 67′ 53″ (CD 2); 64′ 14″ (CD 3); 72′ 16″ (CD 4); 69′ 42″ (CD5). 5 CD Brilliant Classics LC09421
Figlio dell’organista Charles Couperin e zio di François Couperin “Le Grand”, Louis Couperin (1626-1661), durante la sua breve vita, non riuscì ad imporsi nel mondo musicale francese, come avrebbe meritato non solo per le sue doti di clavicembalista, ma anche di compositore. Il suo nome, infatti, non uscì dalla ristretta cerchia della corte di Luigi XIV, a Versailles, nonostante le sue doti fossero state notate da Jacques Champion De Chambonnieres, all’epoca musicien ordinaire de chambre du roi, il quale, dopo averlo ascoltato in occasione di un concerto organizzato dai tre fratelli Couperin in suo onore, aveva dichiarato: Un uomo di tal talento non è fatto per restare in provincia. Apprezzato, comunque, presso la corte di Luigi XIV, divenne organista a Saint-Gervais, nel 1653 uno degli organisti della Chappelle du Roi anche se tra il 1656 e il 1657 rifiutò, per fedeltà nei confronti del suo mentore, il posto offertogli di jouer d’espinette, che era stato di Chambonnieres, nel frattempo caduto in disgrazia a corte, e che fu preso da Jean-Henri D’Anglebert, un altro allievo dell’illustre compositore. Non pubblicata durante la vita, la vasta produzione clavicembalistica di Couperin, che consta di circa 129 composizioni ritenute autentiche, è oggi protagonista di un’interessante proposta discografica della Brilliant Classics, costituita da ben 5 album. Essa è, infatti, una delle pietre miliari del repertorio francese anche perché in essa trovano spazio i famosi 16 preludi non misurati, nei quali l’esecutore può dare sfogo al suo estro improvvisativo pur non allontanandosi da quei punti fermi, segnati dal compositore, che costituiscono una guida da seguire. Insieme a questi si trova un grandissimo numero di danze tipiche della suite dell’epoca che, in questi 5 album, sono state ordinate in suite in base alla contiguità tonale.
Di altissimo livello è l’interpretazione che ci viene fornita da Massimo Berghella, il quale, oltre a mostrare un solido senso dello stile, ci fornisce, su una copia, realizzata nel 2018 da Andrea di Maio, di Vincent Thibaut del 1681, accordato con diapason a 392 hz, particolarmente adatta a questo repertorio, un’esecuzione storicamente informata, con le inégalités ben evidenziate, dell’integrale della produzione clavicembalistica di Couperin. Nella sua interpretazione emerge il carattere malinconico soprattutto di alcune pagine di questo grandissimo clavicembalista.

 

Categorie: Musica corale

Pagine