Wolfgang Amadeus Mozart: “Se l’augellin sen fugge” (“La finta giardiniera” K. 196); “Ah se a morir mi chiama” (“Lucio Silla” K 135), “E giunge a questo segno…Va pure ad altri in braccio” (“La finta giardiniera” K 196); “Lungi le cure ingrate” (“Davidde penitente”) K. 469; “Parto, parto, ma tu, ben mio”, “Deh per questo istante solo” (“La clemenza di Tito” K. 621); “Exsultate, jubilate”, “Fulget amica dies”, “Virginum corona”, “Alleluja”, (“Exsultate, jubilate” K. 165). Kammerorchester Basel, Daniel Bard (direttore), Franco Fagioli (controtenore). Registrazione: Don Bosco, Paul Sacher Saal, Basilea. 3 e 9 ottobre 2020. 1 CD Pentatone PTC 5187 044
I ruoli scritti da Mozart per castrato sono ancora affidati principalmente a mezzosoprani – o soprani – en travesti, mentre più raro è l’uso di falsettisti nel repertorio del salisburghese. Quasi una sfida a questa tradizione arriva dal nuovo CD di Franco Fagioli. Il controtenore argentino si cimenta in questo repertorio offrendo una prestazione assai interessante nonostante il contenuto sia fin troppo ridotto durando la registrazione appena quarantasette minuti e lasciando ampi vuoti in un possibile catalogo dei ruoli mozartiani per castrato. La voce di Fagioli si distingue per l’ampiezza dell’estensione – fino al Do acuto come Venanzio Rauzzini uno dei destinatari dei brani proposti – e per la robustezza del mezzo dotato di una compattezza e omogeneità non così scontate per questa tipologia di voci.
Accompagnato con il giusto rigore filologico dalla Kammerorchester Basel diretta da Daniel Bard Fagioli offre una carrellata – in ordine sostanzialmente cronologico almeno per i brani operistici – della produzione mozartiana per questo tipo di vocalità
Posta in apertura “Se l’augellin sen fugge” da “La finta semplice” – unica piccola anticipazione cronologica rispetto alle arie successive – colpisce per la leggerezza dell’esecuzione di cui è colto perfettamente il carattere galante. Con la successiva “Ah se a morir mi chiama” Fagioli può far valere due delle migliori frecce al suo arco ovvero la facilità della tessitura acuta e la propensione per un canto patetico entrambe centrali nell’aria di Cecilio scritta per Rauzzini. Allo stesso cantante era dedicato il mottetto “Exsultate, jubilate”– di poco successivo all’opera – posto in chiusura di programma, dove Fagioli può dar fuoco alle polveri del virtuosismo svettando facilissimo sull’alta tessitura e sciorinando con facilità i rapidi passaggi di coloratura dove però resta un sentore di costruito che da un tono quasi aggressivo all’”Alleluja” conclusivo.
Una seconda aria anche da “La finta giardiniera”, dopo un recitativo ben eseguito – la dizione è nel complesso corretta anche se manca un po’ di nitidezza – segue l’aria di furore “Va pure ad altri in braccio” in cui Fagioli grazie alla pienezza del timbro riesce a risultare autenticamente intenso e drammatico e non solo superficialmente frenetico come spesso queste voci risultano in questo tipo di brani.
Di rarissimo ascolto “Lungi le cure ingrate” da “Davidde penitente” rientra tra quei brani lirici particolarmente adatti alla voce di Fagioli e rappresenta l’unica incursione oratoriale del programma offrendo anche un estratto da un titolo molto poco frequentato.
Il breve programma si chiude con le due arie di Sesto da “La clemenza di Tito” che possono rappresentare una sorta di cartina tornasole di tutta l’operazione. Vocalmente la prestazione è buona. La compattezza della linea di canto e il colore vocale innegabilmente bello non distinguono troppo questa voce da quella di un mezzosoprano. La tessitura è retta con sicurezza ammirevole e le difficoltà risolte con abilità e una buona naturalezza. Sul piano espressivo Fagioli punta a un taglio passionale e diretto che sicuramente colpisce al primo ascolto ma che a un’analisi più attenta mostra anche una certa superficialità. In brani come questi è possibile – e sarebbe auspicabile tanto più in un prodotto discografico – un approccio più curato e raffinato, un gioco di accenti e di colori più vario e sensibile che qui non troviamo sostituito da un’impetuosità che lambisce appena la ricchezza emotiva del ruolo.
L’orchestra come già detto suona con rigore e buona presenza sonora ma forse solo nell’aria de “La finta giardiniera” riesce a emergere con una certa autonomia dal semplice accompagnamento e nella fin troppo eccessiva stringatezza del programma non è stato concesso all’orchestra nessuno spazio per un momento puramente strumentale.
Roma, Eur
ROMA ARTE IN NUVOLA
Dal 22 al 24 novembre 2024, Roma ospiterà la quarta edizione di “Roma Arte in Nuvola”, la grande fiera internazionale d’arte moderna e contemporanea, ideata e diretta da Alessandro Nicosia con la direzione artistica di Adriana Polveroni e promossa da Eur SpA. Questo evento rappresenta un’importante piattaforma per il dialogo artistico e culturale, un appuntamento imperdibile per gli appassionati d’arte nella suggestiva cornice della Nuvola di Fuksas. Dopo il successo dell’edizione precedente, che ha visto la partecipazione di oltre 35.000 visitatori e riscontri positivi dalla critica e dal pubblico, l’edizione del 2024 promette di superare le aspettative. Con 140 gallerie partecipanti, sia italiane che internazionali, la fiera non solo facilita l’incontro e il confronto tra artisti e pubblico, ma mira anche a espandere i propri orizzonti includendo le correnti artistiche più influenti ed emergenti. Una delle principali novità di questa edizione è l’aumento del numero di gallerie presenti e la maggiore partecipazione di espositori internazionali, con un focus sulle nuove tendenze artistiche. Particolare attenzione sarà rivolta agli artisti provenienti dal Centro e Sud Italia, con città rappresentate come Napoli, Catania, Pescara e Nuoro . Il paese ospite di quest’anno sarà il Portogallo, che presenterà una selezione di opere dalla Collezione Statale d’arte Contemporanea, curata da Sandra Vieira Jürgens, in collaborazione con il Ministero della Cultura e l’Ambasciata del Portogallo in Italia . Roma Arte in Nuvola non è solo una fiera, ma un vero e proprio festival culturale con un programma ricco di eventi collaterali. Tra i progetti speciali, spicca l’omaggio a Pietro Consagra, pioniere dell’arte astratta, con una ricostruzione del suo studio romano e l’esposizione di sculture interattive come i Matacubi. Inoltre, ci sarà una mostra dedicata al duo Vedovamazzei e una retrospettiva sul pittore siciliano Piero Guccione, in occasione del settantesimo anniversario del suo arrivo a Roma . Le collaborazioni con istituzioni pubbliche e museali saranno fondamentali per arricchire il programma della fiera. Partecipano il Ministero della Cultura, il MAXXI – Museo nazionale delle arti del XXI secolo, l’Istituto Centrale per la Grafica e il Museo delle Civiltà, tra gli altri. Queste collaborazioni permetteranno di realizzare progetti speciali e spazi di conoscenza per il grande pubblico . L’edizione 2024 si caratterizza per la sua capacità di rappresentare tutte le discipline artistiche, dalla pittura alla scultura, dalle installazioni alle performance, dalla video arte alla digital art e alla street art. La fiera è suddivisa in tre sezioni principali: Main Section, New Entries e Solo Show. Queste sezioni permettono di dare spazio sia agli artisti affermati che a quelli emergenti, offrendo una panoramica completa del panorama artistico contemporaneo. Roma Arte in Nuvola 2024 si prepara a essere un evento imperdibile per collezionisti, curatori, artisti e appassionati d’arte. Con un programma ricco di novità, progetti speciali e collaborazioni prestigiose, la fiera consolida il suo ruolo di rilievo nel panorama artistico internazionale, offrendo un’esperienza culturale unica e di alto profilo .
Martedì 19 novembre 2024 alle ore 20 la prima delle sei recite del nuovo allestimento del capolavoro verdiano in cartellone. Sul podio della Sala Grande il maestro Renato Palumbo; la regia è di Stefania Grazioli. In scena, nelle parti principali, Carolina Lopez Moreno e Julia Muzychenko (recite del 21, 26/11 e 1/12) come Violetta, Giovanni Sala e Matheus Pompeu (recite del 21, 26/11 e 1/12) interpretano Alfredo Germont Lodovico Filippo Ravizza e Min Kim (recite del 21, 26/11 e 1/12) sono Giorgio Germont. Negli altri ruoli troviamo Oronzo d’Urso e Yurii Strakhov, artisti dell’Accademia del Maggio, sono rispettivamente Gastone e il Il barone Douphol; Gonzalo Godoy Sepúlveda e Huigang Liu interpretano Il marchese d’Obigny e Il dottor Grenvil e Alessandro Lanzi è Giuseppe. Completano il cast vocale due artisti del Coro del Maggio: Lisandro Guinis e Nicolò Ayroldi sono rispettivamente Un commissionario e Un servo. Le scene sono di Roberta Lazzeri, i costumi di Veronica Pattuelli e le luci di Valerio Tiberi. I movimenti coreografici sono di Elena Barsotti. Le scene sono di Roberta Lazzeri, i costumi di Veronica Pattuelli e le luci di Valerio Tiberi. I movimenti coreografici sono di Elena Barsotti.
La recita del 26 novembre 2024 sarà trasmessa in diretta su Rai Radio 3
Roma, Teatro Ambra Jovinelli
VENERE NEMICA
con Drusilla Foer
scritto da Drusilla Foer e Giancarlo Marinelli
Regia Dimitri Milopulos
con la partecipazione di Elena Talenti
Produzione artistica di Franco Godi per Best Sound
Produzione esecutiva e distribuzione Savà Produzioni Creative
Roma, 13 Novembre 2024
Drusilla Foer, con la sua inconfondibile cifra artistica, porta in scena “Venere Nemica”, una produzione che rappresenta un manifesto di ironia sofisticata e sensibilità profonda, reinterpretando il mito di Amore e Psiche tratto dalla favola di Apuleio. La dea della bellezza e dell’amore è qui rappresentata come una figura immortale, esiliata dall’Olimpo e immersa nel lusso e nelle imperfezioni del vivere quotidiano a Parigi, lontano dalla perfezione soffocante della sua natura divina e dalle eccentricità dei suoi simili. La Venere di Foer, caratterizzata da un atteggiamento ironico e tagliente, osserva con invidia sottile la condizione mortale degli uomini, una fragilità che conferisce loro un’urgenza esistenziale, donando profondità e autenticità alle emozioni. Attraverso confessioni leggere e riflessioni più intime, la dea si abbandona a momenti di comicità acuta: “Immaginate la mia gioia. Una dea, condannata a vivere nell’eterna umidità del mare, scoprire l’esistenza della messa in piega!”. Accanto alla sua enigmatica e inseparabile cameriera, bellissima e taciturna, Venere ripercorre, quasi per gioco, il passato che la lega al figlio Amore e alla nuora Psiche. In un’epoca in cui gli uomini hanno cessato di credere agli dei per consacrarsi agli eroi, riemerge il dramma della dea tradita e ferita, che riversa tutta la sua collera sulla straordinaria Psiche, la mortale che osò incarnare la bellezza divina, guadagnandosi il titolo di “Venere in terra”. La vendetta di Venere, implacabile e feroce, rivela un paradosso intriso di dolcezza e commozione. Nel corso del suo percorso, Venere giunge a scoprire una verità che nemmeno la sua natura divina le aveva rivelato: l’amore incondizionato per quel figlio che torna a lei, ferito nell’anima e nel corpo, in cerca di un conforto che solo una madre, pur nella sua imperfezione, può offrire. Questa reinterpretazione del mito non si limita a una narrazione classica, ma declina i grandi temi della tragedia antica in chiave contemporanea: la competizione tra suocera e nuora, la paura della bellezza che svanisce, la possessività materna e l’eterna tensione tra uomini e divinità. Drusilla Foer offre una performance magnetica, tratteggiando una Venere incredibilmente umana, vulnerabile e, al contempo, divina. La sua ironia raffinata si fonde con una capacità straordinaria di evocare dolore, rimpianto e amore, rendendo il personaggio complesso e coinvolgente. La sua voce, calda e avvolgente, alterna toni pungenti e momenti di intimità, creando un legame profondo e indissolubile con il pubblico. Accanto a lei, Elena Talenti, nel ruolo della misteriosa cameriera, offre una presenza scenica misurata e incisiva, che funge da contrappunto silenzioso ma potente alla vitalità di Venere. L’alchimia tra le due figure arricchisce la rappresentazione, trasformandola in un dialogo sottile e carico di significati. La pièce, impreziosita da un repertorio musicale sofisticato e, a tratti, spietato, si avvicina alla dimensione del musical senza mai perdere la sua essenza teatrale. Le musiche, intense e ben calibrate, si integrano perfettamente con il testo, amplificando le emozioni e trasportando il pubblico in una dimensione sospesa tra mito e contemporaneità. Ogni brano musicale è stato scelto con cura per risuonare con le emozioni evocate in scena, creando una continuità espressiva tra la parola e la sonorità che accompagna lo sviluppo narrativo. L’allestimento scenico è stato concepito con un minimalismo che esalta l’espressività degli interpreti e valorizza l’azione scenica attraverso elementi simbolici. L’essenzialità delle scenografie, arricchita da giochi di luci magistralmente orchestrati, sottolinea i passaggi drammatici e i cambiamenti di tono, modulando le atmosfere in maniera estremamente raffinata. Il disegno luci, infatti, non si limita ad accompagnare l’azione ma diviene parte integrante del racconto, giocando con ombre e contrasti per evidenziare la dualità di Venere tra divino e umano. I costumi, curati fin nei minimi dettagli, rappresentano un ulteriore elemento narrativo che definisce i personaggi e le loro evoluzioni. Venere indossa abiti che oscillano tra la sontuosità propria di una divinità e la praticità imposta dalla vita terrena, riflettendo visivamente il suo conflitto interiore. La scelta dei materiali e dei colori non è casuale: ogni tessuto, ogni nuance contribuisce a creare un’immagine simbolica che arricchisce la lettura psicologica del personaggio. La regia, firmata da Dimitri Milopulos lavora su un sottile equilibrio tra comicità e tragedia, evitando di cadere nella caricatura o nella superficialità. La direzione si concentra sulla valorizzazione delle sfumature emotive, creando un crescendo che conduce lo spettatore attraverso un viaggio fatto di risate, momenti di riflessione e intensi passaggi emotivi. La capacità della regia di alternare toni leggeri a profondi momenti di introspezione fa sì che “Venere Nemica” risulti non solo uno spettacolo di intrattenimento, ma un’esperienza di grande intensità artistica. Drusilla Foer emerge come una delle voci più significative del panorama teatrale contemporaneo, capace di dare corpo e anima a un personaggio che, pur radicato nella mitologia, risuona profondamente con le problematiche e le sfide della nostra epoca. La rappresentazione di Venere come una figura imperfetta, capace di amare e soffrire, rende lo spettacolo un potente riflesso delle dinamiche umane, in cui la ricerca di un senso, di un amore, di una redenzione diventa il filo conduttore di un’esperienza scenica che, per intensità e bellezza, rimane impressa nella memoria dello spettatore.
Roma, Teatro Olimpico
“RAFFAELLA! OMAGGIO ALLA CARRA’”
Un’icona della cultura pop, simbolo di libertà
Con Beatrice Baldaccini
Direzione artistica Claudia Campolongo
Regia Gabriele Colferai
Coreografie Angelo Di Figlia
Band Miki Cappai, Domenico Vena, Omar Ceriotti, Fabio Marchiori, Claudia Campolongo
Corpo di ballo Ilaria Gattafoni, Silvia Gattafoni, Lorenzo Longobardi, Nicholas Jay, Gioele Marcante
Coro Linnverso
Produzione Teatro Verdi di Montecatini
Direttore di produzione Giulia Flosi
Roma, 12 Novembre 2024
“Raffaella! – Omaggio alla Carrà” è un’esplosione di energia e nostalgia che, il 12 novembre 2024, ha riempito il Teatro Olimpico di Roma. La direzione artistica di Claudia Campolongo, la regia di Gabriele Colferai e le coreografie di Angelo Di Figlia hanno orchestrato una performance straordinaria, capace di rendere giustizia alla figura iconica di Raffaella Carrà, una delle più grandi showgirl della televisione italiana. La leggendaria artista pop ha saputo unire diverse generazioni, e la prova è stata un teatro trasformato in un tripudio di emozioni condivise da bambini, ragazzi, adulti e persone di ogni età. Lo spettacolo prende vita attraverso la storia di un giovane fan appassionato, interpretato da Gabriele Colferai, che racconta alla madre (interpretata da Claudia Campolongo) cosa rappresenti per lui la Carrà. Questo filo narrativo permette di rivivere i suoi successi più celebri, da “Fatalità” a “Tanti auguri”, “Ballo ballo”, “Pedro”, “A far l’amore comincia tu”, la travolgente “Rumore”, cantata all’unisono dal pubblico. Ma non solo. L’esibizione omaggia la showgirl anche grazie ai costumi di scena. Ogni abito è simbolo della sua grande personalità: all’elegante vestito rosso lucido, emblema della sua raffinatezza, ai sensuali body, alle spiritose maniche voluminose con volant, agli abiti corti e pantaloni a zampa, fino ai celebri top che lasciano scoperto l’ombelico. Negli anni ’70, mostrare l’ombelico in televisione fu un vero e proprio scandalo, ma anche un atto rivoluzionario che trasformò un semplice capo d’abbigliamento in un potente vessillo di emancipazione femminile. La carriera straordinaria della Carrà viene ripercorsa attraverso il ricordo dei suoi programmi storici come “Pronto Raffaella”, “Canzonissima”, “A raccontare comincia tu”, in cui faceva visita ai personaggi noti della TV, del cinema e della vita pubblica, intervistando nelle loro case in un clima di serenità e amicizia. Il pubblico è, così, immerso in un viaggio musicale e visivo straordinario, dove Beatrice Baldaccini, nel ruolo della mitica Raffaella Carrà, incanta con la sua voce straordinaria e la capacità di reinterpretare le movenze iconiche della star: dalla gestualità raffinata al celebre casqué, accompagnato dal suo distintivo caschetto biondo. La cura dei dettagli rende l’illusione perfetta, regalando la sensazione di trovarsi davvero in uno degli indimenticabili show della Carrà. Le luci, potenti come quelle degli spettacoli televisivi, arricchiscono la messa in scena e avvolgono la sala in un’atmosfera sfavillante, evocando i fasti dei grandi varietà in cui la star brillava, accompagnata da un energico corpo di ballo. L’esperienza interattiva coinvolge gli spettatori, che rispondono a domande sulla vita e la carriera della Carrà e si divertono a ballare il celebre “Tuca Tuca” sul palco. Non manca il riferimento alla canzone di Tiziano Ferro, grande amico dell’artista, con la sua “E Raffaella è mia”. Lo spettacolo si conclude con un trascinante ballo collettivo: tutti sono in piedi, e la sala si riempie di gioia e spensieratezza. Si torna a casa con il cuore leggero e l’anima colma della contagiosa vitalità che ha sempre caratterizzato Raffaella Carrà, portando con sé il suo lascito più prezioso: la gioia di vivere e la libertà di essere sé stessi. Lo spettacolo proseguirà il suo tour in Italia con tappe imperdibili a Torino, Firenze, Avellino… Non perdete l’occasione di assistere: ne vale davvero la pena!
Roma, Teatro Vascello
LA SCORTECATA
liberamente tratto da Lo cunto de li cunti
di Giambattista Basile
testo e regia Emma Dante
con Salvatore D’Onofrio, Carmine Maringola
elementi scenici e costumi Emma Dante
luci Cristian Zucaro
assistente di produzione Daniela Gusmano
assistente alla regia Manuel Capraro
produzione Atto Unico / Compagnia Sud Costa Occidentale, e Carnezzeria.
coordinamento e distribuzione Aldo Miguel Grompone, Roma
“Oh, Valentine, un favore,” disse Maximilien “il vostro dito mignolo, che io possa baciarlo attraverso queste assi!” Valentine salì su una panchina, e passò, non il mignolo attraverso l’apertura, ma tutta la mano al di sopra del recinto. Maximilien mandò un grido, e, arrampicandosi con un balzo sullo steccato, afferrò quella mano adorata, e vi impresse le labbra ardenti; ma subito la piccola mano sgusciò dalle sue, e il giovane sentì fuggire Valentine, spaventata forse per quella sensazione a lei sconosciuta. Il conte di Montecristo Alexandre Dumas
Lo cunto de li cunti overo lo trattenimiento de peccerille, noto anche col titolo di Pentamerone (cinque giornate), è una raccolta di cinquanta fiabe raccontate in cinque giornate. Prendendo spunto dalle fiabe popolari, Giambattista Basile crea un mondo affascinante e sofisticato partendo dal basso. Il dialetto napoletano dei suoi personaggi, nutrito di espressioni gergali, proverbi e invettive popolari, produce modi e forme espressamente teatrali tra lazzi della commedia dell’arte e dialoghi shakespeariani. Come una partitura metrica, la lingua di Basile cerca la verità senza rinunciare ai ghirigori barocchi della scrittura. La scortecata è lo trattenimiento decemo de la iornata primma e narra la storia di un re che s’innamora della voce di una vecchia, la quale vive in una catapecchia insieme alla sorella più vecchia di lei. Il re, gabbato dal dito che la vecchia gli mostra dal buco della serratura, la invita a dormire con lui. Ma dopo l’amplesso, accorgendosi di essere stato ingannato, la butta giù dalla finestra. La vecchia non muore ma resta appesa a un albero. Da lì passa una fata che le fa un incantesimo e diventata una bellissima giovane, il re se la prende per moglie. In una scena vuota, due uomini, a cui sono affidati i ruoli femminili come nella tradizione del teatro settecentesco, drammatizzano la fiaba incarnando le due vecchie e il re. Basteranno due seggiulelle per fare il vascio, una porta per fare entra ed esci dalla catapecchia e un castello in miniatura per evocare il sogno. Le due vecchie, sole e brutte, si sopportano a fatica ma non possono vivere l’una senza l’altra. Per far passare il tempo nella loro miseria vita inscenano la favola con umorismo e volgarità, e quando alla fine non arriva il fatidico: “e vissero felici e contenti…” la più giovane, novantenne, chiede alla sorella di scorticarla per far uscire dalla pelle vecchia la pelle nuova. La morale: il maledetto vizio delle femmine di apparire belle le riduce a tali eccessi che, per indorare la cornice della fronte, guastano il quadro della faccia; per sbiancare le pellecchie della carne rovinano le ossa dei denti e per dare luce alle membra coprono d’ombre la vista. Ma, se merita biasimo una fanciulla che troppo vana si dà a queste civetterie, quanto è più degna di castigo una vecchia che, volendo competere con le figliole, si causa l’allucco della gente e la rovina di sé stessa. Qui per tutte le informazioni.
Roma, Teatro Quirino Vittorio Gassman
La Pirandelliana
presenta
TRAPPOLA PER TOPI
di Agatha Christie
traduzione e adattamento Edoardo Erba
con Ettore Bassi, Claudia Campagnola, Dario Merlini, Stefano Annoni, Maria Lauria, Marco Casazza, Matteo Palazzo, Raffaella Anzalone
scene Luigi Ferrigno
costumi Francesca Marsella
musiche Paolo Silvestri
luci Antonio Molinaro
regia Giorgio Gallione
Il 25 novembre 1952 all’Ambassadors Theatre di Londra andava in scena per la prima volta “Trappola per topi” di Agatha Christie. Da allora, per 70 anni ininterrottamente, il sipario si è alzato su questa commedia “gialla” senza tempo e di straordinaria efficacia scenica. Ed ora tocca a noi… Non è consueto per me, spesso regista drammaturgo in proprio, misurarmi con un classico della letteratura teatrale. Certo da interpretare, ma da servire e rispettare. Ma non ho avuto dubbi ad accettare. Perché “Trappola per topi” ha un plot ferreo ed incalzante, è impregnata di suspense ed ironia, ed è abitata da personaggi che non sono mai solo silhouette o stereotipi di genere, ma creature bizzarre ed ambigue il giusto per stimolare e permettere una messa in scena non polverosa o di cliché. In fondo è questo che cerco nel mio lavoro: un mix di rigore ed eccentricità. D’altronde, dice il poeta, il dovere di tramandare non deve censurare il piacere di interpretare. Altra considerazione: nonostante l’ambientazione d’epoca e tipicamente British, il racconto e la trama possono essere vissuti come contemporanei, senza obbligatoriamente appoggiarsi sul già visto, un po’ calligrafico o di maniera, fatto spesso di boiserie, kilt, pipe e tè. Stereotipi della Gran Bretagna non lontani dalla semplicistica visione dell’Italia pizza e mandolino. Credo che i personaggi di Trappola nascano ovviamente nella loro epoca, ma siano vivi e rappresentabili oggi, perché i conflitti, le ferite esistenziali, i segreti che ognuno di loro esplicita o nasconde sono quelli dell’uomo contemporaneo, dell’io diviso, della pazzia inconsapevole. E credo riusciremo a dimostrarlo grazie alla potenza senza tempo di Agatha Christie, ma anche e soprattutto con il talento e l’adesione di una compagnia di artisti che gioca seriamente con un’opera “chiusa” e precisa come una filigrana, che però lascia spazio all’invenzione e alla sorpresa, una promessa di imprevedibilità e insieme di esattezza. E poi c’è la neve, la tormenta, l’incubo dell’isolamento e della bivalenza, il sospetto e la consapevolezza che il confine tra vittima e carnefice può essere superato in qualsiasi momento. Ingredienti succosi ed intriganti che spero intrappoleranno il pubblico. Giorgio Gallione Qui per tutte le informazioni.
Roma, Teatro Ambra Jovinelli
VENERE NEMICA
con Drusilla Foer
scritto da Drusilla Foer e Giancarlo Marinelli
Regia Dimitri Milopulos
con la partecipazione di Elena Talenti
Produzione artistica di Franco Godi per Best Sound
Produzione esecutiva e distribuzione Savà Produzioni Creative
Venere, Dea della bellezza e dell’amore esiste ancora. Creatura immortale, l’antica Dea vive oggi lontano dall’Olimpo e dai suoi parenti, immaturi, vendicativi, capricciosi, prigionieri come la Dea stessa nell’eterna bolla di tempo che è l’immortalità. Ha trovato casa a Parigi, fra gli uomini, di cui teneramente invidia la mortalità, che li costringe all’urgenza di vivere emozioni, esperienze sentimenti. Venere può permettersi di essere imperfetta tra gli umani. Si sa: in tempi duri per tutti – in particolare per gli Dei in deficit crescente di fede e consenso – potersi permettere finalmente di vivere nell’imperfezione dell’umano esistere, godendo delle debolezze umane come la moda e il lusso, non è cosa da poco per la nostra Immortale Eroina. “Immaginate la mia gioia. Una dea, condannata a vivere nell’eterna umidità del mare, scoprire l’esistenza della messa in piega!”. Grazie al rapporto con la sua misteriosa e inseparabile cameriera, bellissima, Venere, quasi per gioco, nel momento in cui gli uomini non credono più agli dei ma agli eroi, ripiomba nel passato: nella storia di Amore, il figlio ingrato e disobbediente, e Psiche, sulla quale Venere- da suocera nemica- riversa tutto il suo rancore di Dea frustrata e di Madre tradita. “Contro la straordinaria mortale, creduta Venere in terra”, la vendetta sarà inesorabile e terribile. Ma nel paradosso feroce e dolcissimo della vita che non risparmia nessuno, nemmeno gli Dei, Venere insieme all’odio scoprirà anche l’amore (… Io che sono sempre stata la mia sola priorità); un amore infinito e incondizionato per quel figlio ferito che, in fuga dall’amata, torna da sua madre per curare le ferite del corpo e dell’anima. Ispirato alla favola di Apuleio “Amore e Psiche”, Venere Nemica rilegge il Mito in modo divertente e commovente a un tempo, in bilico tra tragedia e commedia, declinando i grandi temi del Classico nella contemporaneità: la competizione suocera/nuora, la bellezza che sfiorisce, la possessività materna nei confronti dei figli, il conflitto secolare fra uomini e Dei. “Se c’è una cosa che un Dio detesta è non essere creduto”. Ma dinnanzi a Venere, a questa Venere – lieve, ironica, tagliente, spietata – e al suo incredibile colpo di teatro, come si fa a resistere? Come si fa a non credere? Venere Nemica è una pièce teatrale supportata dalla musica con un repertorio inaspettato, intenso crudele, a tratti musical, interpretato da Drusilla Foer e Elena Talenti Durata: 70 minuti, senza intervallo
Roma, AlbumArte
WHEN IN ROMA. AL DI LA’ DELLA PERIFERIA DELLA PELLE
a cura di Adriana Polveroni
Lunedì 18 novembre 2024, alle ore 18.30, AlbumArte, centro di produzione artistica indipendente di Roma, inaugura la mostra WHEN IN ROME. Al di là della periferia della pelle, a cura di Adriana Polveroni, con le opere inedite e site specific di Verdiana Bove, Guglielmo Maggini, Pietro Moretti, Caterina Sammartino, Adelisa Selimbašic, in programma fino al 4 gennaio 2025. La mostra è la prima tappa del progetto itinerante When in Rome, curato da Adriana Polveroni, prodotto da AlbumArte, con la direzione di Cristina Cobianchi e finanziato dalla Regione Lazio nell’ambito dell’avviso pubblico Lazio Contemporaneo 2022. Il progetto sarà realizzato in sette città italiane in collaborazione con Adiacenze Bologna e Accademia di Belle Arti di Venezia, Accademia di Belle Arti di Frosinone, RUFA – Rome University of Fine Arts, Casa degli Artisti Milano, Mucho Mas! Torino, Toast Project Space Firenze, Quartiere Intelligente – Zona Rosa Napoli, CONDOTTO48 Roma. Presentato in anteprima all’Accademia di Belle Arti di Venezia il 10 giugno 2024, When in Rome prevede oltre la mostra a Roma dal 18 novembre 2024 al 4 gennaio 2025, una serie di dibattiti e confronti con il pubblico a Casa degli Artisti di Milano, Quartiere Intelligente – Zona Rosa a Napoli, Toast Project Space a Firenze, Mucho Mas! a Torino, per concludersi a Bologna, con la seconda tappa della mostra presso Adiacenze, spazio per la ricerca e sperimentazione delle arti visive contemporanee, dal 9 al 23 gennaio 2025. When in Rome, titolo abbreviato da When in Rome do as Romans do, vuole fare il verso a quell’attitudine degli stranieri che, arrivati a Roma, imparano a “fare alla romana” sedotti dal fascino della città e dalle sue abitudini ed è un omaggio anche a un celebre concerto dei Genesis del 2007. Al centro del progetto, i risultati dell’indagine condotta da Cristina Cobianchi e Adriana Polveroni sui giovani talenti under 35 che operano a Roma, soprattutto in spazi di lavoro fondati e gestiti anche con curatori altrettanto giovani in zone periferiche, in fabbriche dismesse, ex officine o vecchie autorimesse, laboratori artigianali in disuso, e che stanno modificando il tessuto e il fermento artistico della Capitale con la loro ricerca aperta sul presente e sul dialogo a più voci. La mostra di Verdiana Bove, Guglielmo Maggini, Pietro Moretti, Caterina Sammartino e Adelisa Selimbašic si declina secondo la loro comune riflessione Al di là della periferia della pelle e presenta opere inedite e site-specific che indagano il tema della marginalità, intesa come “confine che separa”, esattamente come la pelle che delimita il corpo dall’esterno e che, al contempo, costituisce il primo contatto con l’ambiente circostante, la prima possibilità di conoscenza. Anche oggi, nel momento in cui il corpo ha subito una radicale trasformazione, posto al centro di varie tensioni sociali e culturali, la pelle è ciò che delimita, e quindi definisce, primariamente il corpo. Ogni artista coinvolto nel progetto ha la sua originale interpretazione dell’idea della “pelle” e della spinta ad andare “al di là della periferia della pelle”. Al di là, quindi, dei confini dati. Non necessariamente per superarli in una sorta di tensione titanica, ma forse per esplorarli nella loro marginalità, nel loro essere periferia di un grande corpo decentrato quale è la stessa profonda articolazione, l’inesauribile alfabeto delle pratiche artistiche. “Al di là della periferia della pelle” indica la necessità di porsi nel proprio tempo, nella contingenza del proprio essere nel mondo, avviando un confronto a più voci. Applicando questo concetto a Roma, spesso additata come una Grande Madre alternativamente santa e dannata, la città è vista come un grande organismo, non privo di confini, il luogo prediletto per osservare, indagare, con inedite possibilità di lavoro e inediti percorsi interpretativi.
Roma, Palazzo delle Esposizioni
ANIMA NOMADE: Francesco Clemente
a cura di Bartolomeo Pietromarchi
promossa da Assessorato alla Cultura di Roma Capitale e Azienda Speciale Palaexpo
prodotta e organizzata da Azienda Speciale Palaexpo
Dal 23 novembre 2024 al 30 marzo 2025 Palazzo Esposizioni Roma presenta la mostra personale di Francesco Clemente intitolata ANIMA NOMADE. A cura di Bartolomeo Pietromarchi, l’esposizione è promossa da Assessorato alla Cultura di Roma Capitale e Azienda Speciale Palaexpo, prodotta e organizzata da Azienda Speciale Palaexpo. Una grande mostra personale di Francesco Clemente mai realizzata in Italia, concepita come un’installazione unica che si snoda in tutte le sale del piano nobile di Palazzo Esposizioni, con una serie di opere ambientali per restituire l’importanza di uno dei grandi artisti italiani riconosciuti a livello mondiale. Il percorso di mostra si concentra sull’idea di immersione nella tradizione indiana e orientale, che da sempre è per Clemente fonte di ispirazione per lo sviluppo di una materia densa di riferimenti iconografici e per la sensibilità privata e diaristica delle sue opere. Napoletano di nascita ma nomade per vocazione, fortemente influenzato dalla letteratura e dalla poesia, Clemente è un poeta a pieno titolo, con un vasto lessico di immagini simboliche e metaforiche. Le sue opere si delineano in un paesaggio estetico totalizzante, denso di riferimenti metafisici, misticismo e natura del sé, spesso intrecciati a riferimenti erotici, sempre con un approccio lirico ed emotivo espresso dal senso unico del colore. A partire dalle straordinarie Tents realizzate nel 2013 e mai più esposte da allora, la mostra presenta anche una serie di grandi wall drawing, creati per l’esposizione romana intorno all’idea di anima nomade dell’artista e delle sue influenze orientali, per approfondire le fonti filosofiche e spirituali che hanno formato l’arte di Clemente lungo il corso di tutta la sua produzione.
“GASPARE SPONTINI. CELESTE AMORE”
film dal 14/11 su Rai5 e RaiPlay
Debutta su Rai 5, giovedì 14 novembre ore 22:48, e poi su Rai Play, il docufilm “Gaspare Spontini. Celeste amore”, con Lodo Guenzi e Simona Ripari, una produzione Subwaylab dedicata al grande compositore e filantropo di Maiolati Spontini (1774-1851) di cui si celebreranno i 250 anni dalla nascita. È la storia del musicista vista con gli occhi della moglie Celeste Erard, immaginariamente catapultata nei giorni nostri a raccontare ad una ragazzina della generazione Z l’affascinante vita di Spontini, intrecciata con i grandi del suo tempo. Il soggetto è di Marco Cercaci e Marco Spagnoli, la sceneggiatura di Claudio Centioni, la regia di Andrea Antolini, Alessandro Tarabelli, Diego Morresi. Il lungometraggio è realizzato da Subwaylab, casa di produzione indipendente marchigiana, con il sostegno di Regione Marche-assessorato alla Cultura e di Marche Film Commission – Fondazione Marche Cultura, in collaborazione con Comune di Maiolati Spontini, Comune di Jesi, Fondazione Pergolesi Spontini. Alla fiction si alternano le testimonianze dei nostri giorni. Partecipano i musicisti marchigiani Dardust, Raphael Gualazzi, Ruben Camillas, Paolo Marzocchi e Giancarlo Aquilanti, il compositore e direttore artistico della Fondazione Pergolesi Spontini Cristian Carrara, Lucia Chiatti direttore generale della Fondazione Pergolesi Spontini, il musicologo Federico Agostinelli, il critico musicale Guido Barbieri, Gabriella Cinti nipote del Podestà di Maiolati, Tiziano Consoli sindaco di Maiolati Spontini dal 2019 al 2022. Quella di Spontini fu una vita intrecciata a grandi nomi: Napoleone e Giuseppina Bonaparte, Ferdinando IV Re delle due Sicilie, Federico Guglielmo III Re di Prussia, Costanza Mozart, Richard Wagner fino ad arrivare a Papa Pio IX. Una vita piena di successi ma non priva di invidie e gelosie, che partendo dalla provincia italiana conquista l’Europa. Nel 1851 Gaspare Spontini tornò in Italia. Dopo un’eclatante carriera, il musicista sentì di tornare alle origini, e nella sua città natale crea strutture per aiutare i più poveri e bisognosi; il film mostra così anche il profondo lato filantropico dell’artista e come tra i suoi concittadini il suo nome sia ancora vivo e riecheggi nei vicoli. La vita del compositore è occasione per raccontare un territorio, quello marchigiano, apparentemente al di fuori delle rotte culturali dei grandi centri ma in cui fioriscono ancora oggi proposte vitali e di avanguardia. Regione d’Europa con la più alta percentuale di teatri, le Marche sono state fucina di veri e propri giganti dell’Opera che fra il ‘700 e l’800 hanno emozionato e continuano a strabiliare i teatri di tutto il mondo: Spontini, Rossini, Pergolesi, Vaccaj, Crescentini. Con il coinvolgimento di storici e artisti, il docufilm cerca di mettere in luce le cause di quel fermento, scoprendo infine la vivacità della scena musicale di questa poliedrica e sorprendente regione.
“LES MISÉRABLES – THE ARENA MUSICAL SPECTACULAR” PER LA PRIMA VOLTA IN ITALIA al TAM dal 14 al 24/11
TAM ospita l’evento teatrale dell’anno: “LES MISÉRABLES THE ARENA MUSICAL SPECTACULAR”, il fenomeno planetario che arriva per la prima volta in Italia! “LES MISÉRABLES THE ARENA MUSICAL SPECTACULAR” è una straordinaria rappresentazione che porta sul palco la celebre opera di Victor Hugo, un racconto avvincente fatto di sogni, amori, passione, sacrificio e redenzione. Una storia senza tempo della sopravvivenza dello spirito umano. Lo show ha una colonna sonora composta da brani indimenticabili tra cui “I Dreamed a Dream“, “On My Own“, “Bring Him Home“, “One Day More”. Il musical LES MISÉRABLES è di fatto il musical più longevo al mondo ed è stato rappresentato in 53 paesi e 439 città in tutto il mondo. Il World Tour inizierà quando il musical entrerà nel suo 39° anno e proseguirà durante le celebrazioni del 40° anniversario del musical nel 2025. LES MISÉRABLES THE ARENA MUSICAL SPECTACULAR è una rappresentazione del musical in forma di concerto con una spettacolare produzione composta da elementi scenici, design video integrato, costumi originali e una grande orchestra. La compagnia inglese è composta da 110 fra attori, musicisti e crew. Lo show prende origine da “Les Misérables The Staged Concert”, straordinario successo andato in scena per oltre 200 repliche, un vero record nel West End. Per info e biglietti: qui
“ANDREA CHÉNIER” di Umberto Giordano al Teatro Sociale di Como il 15 e il 17/11.
Il secondo titolo della Stagione d’Opera 2024/25 del Teatro Sociale di Como è “Andrea Chénier” di Umberto Giordano, in scena venerdì 15 novembre alle ore 20.00 e domenica 17 novembre alle ore 15.30. “Andrea Chénier” è, insieme a “Fedora”, la più famosa opera di Giordano. L’opera, in quattro quadri, debuttò alla Scala a Milano nel marzo del 1896 riscuotendo un grandissimo successo, grazie all’autore del libretto, Luigi Illica, che aveva saputo trasformare in una tragedia ardente la biografia del poeta francese André Chénier, vittima della Rivoluzione francese, e a Giordano che scrisse una musica ricca di straordinari brani. Nel dramma, Chénier è un idealista, impreparato ad affrontare le trame del terrore giacobino e innamorato di Maddalena, un’aristocratica in fuga dai rivoluzionari; i due, vittime di Gérard, resteranno uniti fino alla morte. Questa produzione, che vede impegnati i Teatri di OperaLombardia, insieme al Teatro Verdi di Pisa, Teatro del Giglio di Lucca e Teatro Sociale di Rovigo, affida la regia ad Andrea Cigni, di cui il pubblico di Como e del circuito di OperaLombardia ha potuto già vedere “La fanciulla del West” nella stagione 2021/22. Alla direzione dell’Orchestra dei Pomeriggi Musicali di Milano tornerà il M° Francesco Pasqualetti, direttore poliedrico ed eclettico, il cui repertorio spazia da Mozart a Nino Rota, passando per gli autori meno eseguiti del Novecento storico italiano, già altre volte visto sul podio comasco. L’opera presenterà un cast d’eccezione. Tra i ruoli principali, Angelo Villari debutta nel ruolo del titolo, il baritono Angelo Veccia, già protagonista nelle scorse stagioni in “Don Carlo”, “La Gioconda”, in “Otello” al Festival Como Città della Musica, torna a Como e sarà Carlo Gérard, mentre Maria Teresa Leva interpreterà il ruolo di Maddalena di Coigny. Per info e biglietti, qui.
“I POEMETTI” di Shakespeare riletti da Valter Malosti al Teatro Menotti di Milano, dal 19 al 24/11
Dopo aver vinto nel 2009 il Premio dell’Associazione Nazionale Critici di Teatro (ANCT) per lo spettacolo Shakespeare. Venere e Adone e aver diretto nel 2012 Lo stupro di Lucrezia (Premio Ubu 2013 come nuova attrice under 30 ad Alice Spisa), il direttore di ERT / Teatro Nazionale Valter Malosti ha visto pubblicare nel 2022 le sue due traduzioni dei Poemetti di William Shakespeare nella prestigiosa collezione bianca di poesia di Einaudi. I Poemetti vengono presentati di nuovo sul palco in forma di concerto al Teatro Menotti dal 19 al 24 novembre. Malosti sarà in scena accanto al compositore e musicista Gup Alcaro (Premio Ubu 2023 per il miglior disegno del suono in Lazarus) che firma ed esegue dal vivo il progetto sonoro. Una versione in cui il regista e interprete amplifica l’alta densità musicale dei due spettacoli, trasfigurando la scena in un paesaggio acustico di grande suggestione, interamente creato dalla potenza della voce e del suono e pervaso dalla ricerca sulla lingua, sul ritmo, e la musica dell’originale shakespeariano. E anche se nella versione italiana della musica shakespeariana si perde una percentuale altissima, il materiale che resta è da considerarsi un dono inestimabile. Per il grande poeta inglese Ted Hughes, autore del visionario saggio Shakespeare and The Goddess of Complete Being, i Poemetti sono la base in cui individuare idealmente tutta la strategia poetica e i fondamenti metafisici dell’intera opera shakespeariana. Durata: 120′ più intervallo. Per info e biglietti: qui
A Verona La Cenerentola rossiniana torna per quattro recite sotto la direzione del maestro Francesco Lanzillotta, atteso ritorno sul podio di Orchestra di Fondazione Arena e Coro preparato da Roberto Gabbiani.
Angelina, la protagonista del titolo, è il mezzosoprano Maria Kataeva, al debutto al Filarmonico, mentre il Principe Don Ramiro è il tenore Pietro Adaini, già applaudito come esordiente proprio in questo ruolo otto anni fa. I buffi Dandini e Don Magnifico hanno voce e corpo rispettivamente del baritono Alessandro Luongo e del basso Carlo Lepore, mentre le sorellastre Clorinda e Tisbe sono interpretate dal soprano Daniela Cappiello e dal mezzosoprano Valeria Girardello,come l’Alidoro del bassoGabriele Sagona. L’opera è qui proposta nell’allestimento del Maggio Musicale Fiorentino firmato da Manu Lalli, nato per il Giardino di Boboli e ripreso con successo anche al nuovo Teatro, con scene di Roberta Lazzeri e costumi di Gianna Poli. Dopo la prima di domenica 17 novembre alle 15.30 La Cenerentola replica mercoledì 20 novembre alle 19, venerdì 22 novembre alle 20 e domenica 24 novembre alle 15.30.
Biglietti, disponibili al link https://www.arena.it/it/teatro-filarmonico, alla Biglietteria dell’Arena e, due ore prima di ogni recita, alla Biglietteria stessa del Teatro Filarmonico in via Mutilati.
Roma, Teatro Sala Umberto
VORREI UNA VOCE
con le canzoni di Mina
ispirato dall’incontro con le detenute-attrici del teatro Piccolo Shakespeare all’interno della Casa Circondariale di Messina nell’ambito del progetto Il Teatro per Sognare di D’aRteventi
diretto da Daniela Ursino
disegno luci Luigi Biondi
costumi Aurora Damanti
regista assistente Alessandro Bandini
produzione LAC Lugano Arte e Cultura
in collaborazione con Proxima Res
partner di produzione Gruppo Ospedaliero Moncucco
di e con Tindaro Granata
Roma, 12 novembre 2024
“E improvvisamente ti accorgi che il silenzio ha il volto delle cose che hai perduto.” MINA
“Vorrei una voce”, scritto e interpretato da Tindaro Granata, si configura come un’esperienza scenica di intensa delicatezza, dove la teatralità si fonde con il racconto umano per dare voce a chi vive ai margini. Lo spettacolo nasce dall’incontro dell’autore con le detenute-attrici del Teatro Piccolo Shakespeare, attivo nella Casa Circondariale di Messina, nell’ambito del progetto “Il Teatro per Sognare”, promosso da D’aRteventi sotto la direzione artistica di Daniela Ursino. In questo contesto, le canzoni di Mina si ergono a simbolo di un linguaggio universale capace di tradurre l’indicibile e di restituire frammenti di un’identità altrimenti sepolta. La produzione, affidata alla cura del LAC Lugano Arte e Cultura, in collaborazione con Proxima Res e sostenuta dal Gruppo Ospedaliero Moncucco, si avvale di un impianto scenico sobrio ma altamente evocativo. I costumi di Aurora Damanti delineano, con grazia sottile, un’umanità ricca di sfumature, mentre il disegno luci di Luigi Biondi modula spazi e stati d’animo, accompagnando lo spettatore in un viaggio emotivo che dal buio dell’isolamento conduce verso una tenue luminosità di speranza. Il lavoro di regia garantisce equilibrio tra la dimensione narrativa e quella visiva, permettendo al testo di fiorire in tutta la sua potenza comunicativa. La scelta drammaturgica di Granata, che utilizza il playback delle canzoni di Mina, si rivela una soluzione di rara forza espressiva. Le labbra che si muovono senza produrre suono amplificano il senso di una voce negata, spezzata dall’assenza di libertà. Ma al contempo, il canto che affiora da questa evocazione genera un cortocircuito emotivo, dove la musica diventa veicolo di resistenza, riscatto e trasformazione. Ogni nota sembra cucire, nel tessuto drammatico, le storie delle detenute, che emergono come tessere di un mosaico fatto di perdite, ricordi e sogni infranti. L’atmosfera scenica è un intreccio sapiente di malinconia e lirismo. Il palco spoglio, quasi ascetico, si trasforma in uno spazio immaginifico dove le luci e i movimenti di Granata costruiscono mondi invisibili, sospesi tra la memoria e il desiderio di un altrove. L’eco dell’ultimo concerto di Mina alla Bussola nel 1978, evocato nello spettacolo, non si limita a una rievocazione nostalgica, ma diventa simbolo di una femminilità perduta e ritrovata, un filo rosso che unisce le protagoniste delle storie al pubblico in un patto di comprensione e complicità. Granata, con un’interpretazione misurata e intensissima, si pone al centro di un rito collettivo di riconciliazione con l’umanità ferita. Non è solo narratore, ma diviene essenza incarnata di quelle voci, prestando loro il proprio corpo e la propria anima, restituendone la dignità con una sensibilità che sfiora il sublime poetico. Ogni gesto è ponderato, ogni pausa si carica di una tensione che sa sfidare il silenzio, ogni melodia s’insinua negli anfratti più profondi dell’animo dello spettatore, trasformando l’ascolto in un’esperienza viscerale. Con rara audacia, l’attore si spoglia delle convenzioni per raccontare di sé, delle proprie prigioni interiori. Granata non teme di rivelarsi carcerato e carcerata, un’identità molteplice e stratificata che si intreccia a quella delle vite narrate, trovando accoglienza e amore in un microcosmo parallelo, dove diviene, a sua volta, una donna tra le donne. È proprio in questa fusione che si compie la magia del teatro, quel luogo che consente di tradurre il dolore individuale in un canto universale, in cui il pubblico è chiamato a rispecchiarsi e a farsi partecipe. “Vorrei una voce” non è semplicemente un’opera teatrale, ma una vera e propria liturgia dell’umano, uno spettacolo che abbraccia chi assiste, trasportandolo in una dimensione altra, dove l’empatia si erge come strumento per scardinare le barriere del pregiudizio. E così che il suo protagonista, nel suo atto performativo, rinnova il senso più alto del teatro, rivelandone il potere catartico e sociale. È un canto sospeso nel tempo e nello spazio, un invito a volgere lo sguardo oltre le sbarre dell’esclusione, là dove, contro ogni aspettativa, si cela un frammento di bellezza inesprimibile.
Bergamo, Teatro Donizetti
FESTIVAL DONIZETTI OPERA
Toccano quota dieci le edizioni del festival Donizetti Opera – manifestazione di rilievo internazionale dedicata al compositore bergamasco e organizzata dalla Fondazione Teatro Donizetti presieduta da Giorgio Berta con la direzione generale di Massimo Boffelli, la direzione artistica di Francesco Micheli e quella musicale di Riccardo Frizza – che si svolgerà a Bergamo “Città di Gaetano Donizetti” dal 14 novembre al 1° dicembre 2024.
«È la decima edizione del Donizetti Opera – sottolinea il direttore artistico Francesco Micheli – il decimo anno in cui si lavora alla costruzione del monumento a questo artista la cui grandezza è ancora tutta da esplorare, un monumento di cui siamo fieri, e grati, di aver potuto costruire il primo tassello. Abbiamo cercato, da un lato, di risalire alla fonte dell’uomo e dell’artista, proponendo le sue opere, sia quelle più note che quelle che lo sono meno, in edizioni filologicamente ineccepibili e coerenti con la prassi esecutiva dell’epoca. Dall’altro, abbiamo voluto coniugare al presente la rivoluzionaria teatralità di Donizetti, convinti che nessun teatro sia contemporaneo, vitale e necessario come il suo. L’obiettivo è sempre lo stesso, oggi come dieci anni fa: divulgare l’opera di Donizetti, e diffondere il benefico contagio del nostro amore per lui a Bergamo, in Italia e nel mondo intero».
L’edizione 2024 del festival Donizetti Opera sarà quindi speciale e celebrativa, con i weekend che “cominciano” il giovedì. Sarà riproposta LU OpeRave (giovedì 14, giovedì 21 e venerdì 29 novembre https://www.donizetti.org/it/festival-donizetti-opera/lu-operave-2/2024-11-14/), la nuova creazione 2023 ispirata alla più celebre delle opere donizettiane; per questa ripresa “con variazioni”, LU OpeRave sarà riallestita in un luogo diverso da quello del 2023, non specificatamente teatrale, aperto sempre alla convivialità e con uno sguardo verso la contemporaneità e l’innovazione. Al Teatro Donizetti andranno in scena due celebri capolavori di Gaetano Donizetti: “Roberto Devereux” (venerdì 15, sabato 23 e giovedì 28 novembre https://www.donizetti.org/it/festival-donizetti-opera/roberto-devereux/2024-11-15/) con l’atteso debutto di Jessica Pratt nel Ruolo di Elisabetta I affiancata da John Osborn, Raffaella Lupinacci e Simone Piazzolla direzione di Riccardo Frizza e regia di Stephen Langridge e “Don Pasquale” (domenica 17, venerdì 22 e sabato 30 novembre https://www.donizetti.org/it/festival-donizetti-opera/don-pasquale/2024-11-17/) con il ritorno a Bergamo di Javier Camarena al fianco di Roberto De Candia e dei giovani artisti della Bottega Donizetti, la direzione è affidata a Iván López Reynoso e la regia a Amélie Niemeyer. Andrà in scena al Teatro Sociale la versione “Roma 1824” di “Zoraida di Granata” (sabato 16 novembre, domenica 24 novembre, domenica 1° dicembre https://www.donizetti.org/it/festival-donizetti-opera/zoraida-di-granata/2024-11-16/) per il ciclo #donizetti200 con le voci di Konu Kim, Zuzana Marková e Cecilia Molinari dirige l’orchestra Gli Originali – impegnata su strumenti d’epoca – Alberto Zanardi mentre la regia è di Bruno Ravella. Lo spettacolo è in coproduzione con il Wexford Festival Opera. Si tratta della prima ripresa moderna della versione del 1834 essendo andata in scena in Irlanda la precedente versione del 1822. E’ stata sottoscritta la firma di un accordo editoriale con la LIM – Libreria Musicale Italiana, una delle maggiori case editrici specializzate italiane, incentrato sulla valorizzazione delle iniziative di ricerca della sezione scientifica del festival. https://www.donizetti.org/it/festival-donizetti/donizetti-opera-2024/
“Difettosa” di Nagla Augelli
Un’autobiografia che parla di cicatrici, autonomia e tabù con l’ironia di chi non si prende mai troppo sul serio.
Il cuore che ride, anche quando il mondo inciampa. “Difettosa” di Nagla Augelli è il diario di una vita che si ribella al pietismo, un’autobiografia che trasforma ogni cicatrice in una risata sorniona e ogni ostacolo in un invito a ballare su un palcoscenico un po’ traballante. La copertina è già un manifesto di intenti: un cuore stilizzato, spezzato e ricucito. Senza promesse di redenzione epica o drammatismi hollywoodiani; un cuore che esiste, punto e basta, e ti guarda con l’aria di chi è passato attraverso l’inferno solo per scoprire che non era poi così caldo. Con lo stesso spirito, l’autrice racconta la sua vita con capitoli chirurgicamente precisi (ventuno operazioni, per chi ama la precisione) e avventure che sembrano uscite dalla penna di un regista con un debole per l’assurdo. “Difettosa” è ironico, diretto e a tratti spietato come quell’amico sincero che non ha paura di farti notare quando stai dicendo delle scemenze. Augelli narra senza veli e senza sconti: genitori che se ne vanno come comparse svogliate e un corpo che si diverte a demolire il concetto di “normalità“. Ma niente lacrime facili qui, per favore. L’abbandono genitoriale è trattato quasi come un favore inatteso (“Meno adulti inutili intorno, meglio si sta”) e le cicatrici diventano pezzi di un puzzle più interessante di qualsiasi figura patinata. Non c’è vittimismo, solo una cronaca di battaglie vinte o perse senza troppe cerimonie. La sessualità – il grande tabù della disabilità – è affrontata con la schiettezza di chi apre la porta e ti invita ad accomodarti, dicendoti però di lasciare fuori dalla soglia ogni tabù. Il desiderio, l’intimità, il bisogno di contatto: non sono mica spariti per magia, semplicemente sono ignorati dagli altri, il che è tutta un’altra faccenda. Augelli ne parla con la naturalezza che imbarazza chi è abituato a girare la testa dall’altra parte: è proprio questo imbarazzo che, nelle sue pagine, viene schernito con una risata liberatoria. L’autonomia non è la ricerca della perfezione, ma piuttosto una lotta grottesca contro un mondo pensato per tutti, tranne che per chiunque sia realmente diverso. Porte strette, leggi contorte scritte da burocrati in stato d’ebbrezza, e quegli sguardi pieni di una compassione paternalistica che ti fanno venire voglia di ridere. Qui non si cerca indulgenza, men che meno approvazione: si cerca la libertà, quella autentica, quella che si trova nel riuscire a ridere degli ostacoli quotidiani. Quanto al pietismo, è lasciato fuori scena. “Difettosa” è un atto di resistenza contro il vittimismo e contro quel paternalismo soffocante che vorrebbe farla diventare un’eroina a tutti i costi. L’autrice smonta pezzo per pezzo ogni tentativo di idealizzarla, e lo fa con un sarcasmo raffinato, mai gratuito, che colpisce dritto al bersaglio: non vuole essere speciale, vuole essere libera, e ogni battuta è un invito a smettere di costruire altari per le differenze invece di imparare a comprenderle davvero. C’è una forza intrinseca in ogni pagina di “Difettosa”, una forza che deriva dalla capacità dell’autrice di affrontare con coraggio e umorismo anche i momenti più difficili. Il libro è popolato da personaggi secondari che, pur restando sullo sfondo, contribuiscono a delineare il contesto in cui la protagonista vive e cresce. Ci sono amici fedeli, compagni di viaggio e figure che, con le loro contraddizioni, rappresentano un mondo spesso troppo impreparato ad accogliere la diversità. Ma più di tutto, c’è una protagonista che non si lascia definire dagli altri, che non accetta etichette preconfezionate e che, con una risata, manda all’aria ogni tentativo di incasellarla. Un altro aspetto affascinante di “Difettosa” è il modo in cui Augelli descrive la sua relazione con il corpo. Un corpo che non è mai stato docile, mai stato “normale” secondo i canoni imposti, ma che ha comunque imparato ad amare. La narrazione diventa qui quasi poetica, un inno all’accettazione di sé stessi al di là di qualsiasi limite imposto dalla società. C’è una bellezza in questa libertà, una bellezza che va oltre l’apparenza, che si radica nella verità di chi ha imparato a convivere con le proprie imperfezioni e a farne una forza. La sua scrittura è potente proprio perché non cerca di addolcire la realtà: ci sono momenti di sconforto, momenti in cui la sofferenza sembra prendere il sopravvento, ma c’è sempre, sullo sfondo, una luce, una speranza che non viene mai meno. Questo equilibrio tra la crudezza della realtà e la leggerezza dell’ironia è uno degli aspetti che rendono “Difettosa” un libro unico. Le barriere architettoniche diventano metafora di quelle mentali, e la lotta per l’accessibilità diventa una lotta per il riconoscimento del diritto di esistere e di partecipare. Ogni ostacolo fisico è un simbolo delle barriere invisibili che le persone con disabilità devono affrontare ogni giorno, e ogni superamento di questi ostacoli è un atto di resistenza contro una società che spesso preferisce ignorare ciò che non riesce a comprendere. Ma “Difettosa” non è un libro amaro: è un libro che, pur denunciando le ingiustizie, lo fa con un sorriso, con la consapevolezza che la risata è una delle armi più potenti contro l’assurdità del mondo. “Difettosa” è un invito a guardare oltre le apparenze, a capire che la diversità non è qualcosa da temere, ma una fonte di ricchezza. È un libro che ci insegna che la vera forza non sta nella perfezione, ma nella capacità di affrontare le proprie fragilità con coraggio e con un pizzico di ironia. Come quel cuore cucito sulla copertina, “Difettosa” non chiede di essere perfetto, chiede di essere vero. Ed è proprio questa autenticità a renderlo un libro bellissimo. Un libro che, una volta chiuso, lascia un segno, una traccia indelebile nel cuore di chi l’ha letto. La bellezza sta nell’imperfezione, che la forza sta nella vulnerabilità, e che, alla fine, quello che conta davvero è avere il coraggio di essere se stessi, senza vergogna. E questo è un messaggio di cui tutti , in fondo, abbiamo bisogno.
Giovedì 7 novembre, in occasione dei tre giorni dedicati ad un’importante personalità del Rinascimento italiano dal titolo «Redescubriendo a un genio: Luca Pacioli», si è tenuto un concerto memorabile per ricordare Giacomo Puccini nella ricorrenza dei cento anni dalla sua morte. Il grande evento, alla presenza di una delegazione ufficiale (sindaco, assessore alla cultura e bibliotecaria) della città natale di Pacioli, Sansepolcro (Ar) – organizzato dal Grupo Salinas, eccellenza nel campo imprenditoriale del Messico – per l’alto valore scientifico, culturale ed artistico (6-8 novembre: https://www.geniuspacioli.com/) è stato un’autentica celebrazione del genio italiano. Protagonista del concerto l’Orquesta Sinfónica del Instituto Superior de Música Esperanza Azteca sostenuta dal Grupo Salinas e concepita secondo il celeberrimo modello di El Sistema promosso da José Antonio Abreu, molto apprezzato e sostenuto in tutto il mondo, in primis da Claudio Abbado. Ascoltare quest’orchestra è stato un autentico caleidoscopio di emozioni e non poteva essere diversamente considerando i vari input ricevuti dalle significative collaborazioni con direttori e star internazionali come Valery Gergiev, Placido Domingo o Yo-Yo Ma, senza dimenticare che «Far parte dell’orchestra e Coro Esperanza Azteca permette ai bambini e ai giovani di immaginare un futuro migliore» (Ricardo B. Salinas Pliego). Il concerto sinfonico è stato diretto dal maestro italiano Salvatore Dell’Atti, presente anche in veste di musicologo con la relazione «Speculazioni artistico-musicali al tempo di Luca Pacioli». La sua lettura esegetica del programma musicale è stata definita dai media «interpretación magistral». Già dall’esecuzione dell’inno nazionale italiano (quello messicano diretto dal primo violino m. Julio Saldaña) si poteva percepire sia il solenne spirito di unità nazionale, coinvolgendo tutti gli italiani presenti nel canto, quanto lo spirito di amicizia che unisce i due popoli. Il programma, dalla significativa correspondence libretto – musica lasciava trapelare l’intenzione del direttore a non tradire la dimensione lirica delle composizioni con realismo drammaturgico tanto da poter ascoltare agevolmente le struggenti melodie di A sera e Crisantemi, i cui temi vengono in seguito utilizzati rispettivamente nel Preludio dell’Atto III di Wally e nell’ultimo atto di Manon Lescaut. Si è trattato di una full immersion di sentimenti, valori e passioni di un’umanità sempre più desiderosa di incanto che, in questo contesto ‘matematico’ e di proporzioni, come ha sottolineato il maestro Dell’Atti, i giovani dell’orchestra rappresentavano i tanti numeri capaci di generare armonia e bellezza. Il programma lasciava subito intendere il fil rouge che gravitava intorno alla figura di Puccini e i tre intermezzi in programma, secondo il direttore italiano, «più che brani sinfonici posti tra atti diversi di un’opera, vanno percepiti non disgiunti per il loro descrittivismo verista e per un’ispirazione melodica tipicamente italiana». Alla dolcezza, unitamente al carattere energico e struggente, del primo brano di Mascagni (si segnala l’incisivo ’canto dell’oboe’ e la dolcezza dell’arpa) è seguito l’Andante mesto di Catalani A sera con il suono smorzato (in sordina) dei soli archi e nell’interpretazione del maestro italiano hanno restituito un’autentica pace interiore. L’Andante cantabile di Giordano è stato un avvicinarsi allo stile più pucciniano in cui tutta l’orchestra, nella divisione dei compiti tra archi e fiati, ha saputo restituire il giusto lirismo e i caldi colori della partitura. A concludere il programma due celeberrime composizioni di Puccini. Con Crisantemi (Andante mesto), composto in una notte del 1890 «Alla memoria di Amedeo di Savoia Duca d’Aosta», si è percepita l’inquieta ricerca del mistero della morte nella stessa spasmodica interpretazione delle reiterate indicazioni dell’ampio ventaglio di variazioni agogiche. L’orchestra è riuscita ad offrire allo stesso tempo un’intensa fusione del colore unitamente ad una vivida chiarezza nel fraseggio. Con il celeberrimo intermezzo tratto da Manon è stato un crescendo di emozioni: se all’inizio i soli del violoncello, viola e violino (con chiara e bella espressività) sembravano ricercare il doloroso ‘canto’ di Des Grieux nel disperato tentativo di ottenere la libertà della donna amata, le melodie struggenti – così come i contrasti di colore provenienti dalle diverse sezioni dell’orchestra – hanno reso un risultato di grande pathos in cui il suono ed il fraseggio impeccabile dell’orchestra erano sempre in simbiosi con quelli del direttore, un musicista che, nel servizio incondizionato alla partitura, ha sempre valorizzato il respiro della melodia, la ricchezza del colore ed il talento dei musicisti messicani. Grande successo per tutti conclusosi con molti applausi ed un graditissimo omaggio al maestro Dell’Atti (autentico dono agli italiani presenti e al nostro Paese) con Danzón n. 2, brano del compositore messicano Arturo Márquez (1950-) diretto dal maestro Saldaña. Ancora una volta si è voluto così sottolineare l’apprezzamento della cultura italiana, per molti aspetti unica nel panorama mondiale.